Medea? Era figlia di un pirata


 

Un giovane si avventura in un lungo viaggio per mare, ma finisce nelle mani dei pirati, che prima lo prendono prigioniero, poi chiedono alla famiglia un cospicuo riscatto in cambio della sua liberazione. Senonché, mentre il padre del ragazzo esita a muoversi, la vicenda conosce uno sviluppo inatteso: la figlia del capo dei pirati si innamora di lui e promette di liberarlo a patto che il giovane, una volta tornato in patria, la prenda in moglie; detto fatto, la coppia di amanti clandestini riesce a fuggire e a fare rientro sula terraferma. Potrebbe essere la conclusione di una storia a tinte rosa, il “Vissero felici e contenti” di una fiaba sui generis, e invece non è finita: ecco infatti apparire all’orizzonte un partito matrimoniale molto allettante, una ricca ereditiera in età da marito. Il padre del ragazzo, lo stesso che si era mostrato alquanto restio a mettersi in mare quando si era trattato di riscattare il figlio, ordina allora a quest’ultimo di ripudiare la figlia del pirata e di sposare l’orfana danarosa, salvo reagire con un provvedimento di diseredazione quando il novello marito si rifiuta di obbedirgli.

La storia rocambolesca che abbiamo appena raccontato è in realtà il tema di una controversia, uno dei “compiti in classe” delle scuole romane di retorica, nate all’inizio del I secolo a.C. e divenute nell’età imperiale un passaggio obbligato per chiunque aspirasse a un’istruzione di alto profilo, in grado di aprire la strada alle professioni forensi, ma anche alla carriera politica e ai ruoli della burocrazia pubblica. Le controversie sono casi giuridici fittizi, spesso piuttosto inverosimili, a volte decisamente intricati, nei quali gli allievi erano chiamati a sostenere l’una o l’altra delle parti in causa – meglio ancora se entrambe, per abituarsi a trovare argomenti persuasivi quale che fosse la tesi che dovevano difendere. In questa controversia, ad esempio, ad affrontarsi sono le ragioni del padre, poco soddisfatto di imparentarsi con una donna che deve apparire ai suoi occhi impresentabile e attratto invece dal patrimonio dell’ereditiera, e quelle del figlio, che con la moglie ha contratto, se non altro, un debito incolmabile di riconoscenza.

Certo, è difficile che uno studente o un lettore antico, di fronte a un tema del genere, non pensasse immediatamente al mito di Medea, la principessa della Colchide, la maga che grazie ai suoi filtri consente agli Argonauti guidati dall’eroe Giasone di mettere le mani sul vello d’oro custodito dal padre della stessa Medea, il re Eeta e di portarlo con sé in Grecia. Anche Giasone affronta un difficile viaggio per mare; anche lui promette a Medea di condurla via e di sposarla una volta rientrato in patria se accetterà di aiutarlo; e anche nel caso di Giasone le nozze con la straniera che ha tradito la sua famiglia per salvarlo sono messe a rischio dall’apparire di un partito matrimoniale ben più promettente, rappresentato dalla figlia del re di Corinto. È vero che nel mito è Giasone stesso ad abbandonare Medea, mentre nel tema scolastico il giovane sceglie di rimanere fedele alla figlia del pirata; ma non c’è dubbio che i due canovacci presentino troppi punti di contatto per considerarli frutto del caso.

Il fatto è che nel mondo antico i miti sono ovunque. Intanto circolano in forma orale, raccontati dalle balie per addormentare i loro bambini o dai maestri per educare i loro allievi; poi forniscono l’argomento di testi universalmente noti come i poemi omerici, che vengono imparati a memoria e rappresentano la base dell’istruzione elementare, o come le tragedie che vanno in scena ogni anno nei teatri. Ancora, le vicende del mito sono effigiate sui monumenti pubblici, ma anche su vasi, coppe e stoviglie che accompagnano i momenti della socialità quotidiana, per non parlare dei templi o delle statue che popolano il paesaggio delle città piccole e grandi e spesso raffigurano dèi o eroi, delle immagini poste su tombe o sarcofagi, persino dei proverbi o delle esclamazioni, che spesso rimandano al nome di un dio.

In un contesto del genere, non c’è neppure bisogno di ipotizzare che i maestri di retorica abbiano consapevolmente ripreso il mito di Medea per congegnare la storia della figlia del pirata: quel mito era inscritto in profondità nel loro linguaggio e nel loro immaginario e finiva quasi inevitabilmente per modellare anche la loro creatività. Come in fondo ha continuato a fare ben oltre la fine della cultura che per prima lo aveva raccontato.