Infinito, nel parlare ai morti
e ai santi, parole concrete
agl’invisibili in ascolto più prossimi
dei vivi, e nel rispondere allo sguardo
dei fiori…
In un’era segnata sempre più dall’eccesso di materia, che mediante i dispositivi tecnologici inizia a controllare anche le relazioni, quanto può essere significativo l’attrito di una voce nel coro e la dissonanza dell’invisibile e del sacro?
Nei versi di Mariateresa Giani brulica un microcosmo di energia universale e spiritualità dove anche la materia da bene concreto si fa origine, corpo terrestre nel quale penetrare.
Nel suo ultimo libro, L’integrità del mondo, edito nel 2022 dall’Associazione Culturale Contatti, collana Rubedo, la Giani sposta lo sguardo dall’inorganicità del regno minerale alla sua atomicità spingendosi fino a superare il concetto di energia e a trattare la materia in modo animistico.
L’anima spenta del regno minerale è superata, l’autrice trova il filo rosso di fuoco e di sangue che orienta l’universo dai sepolcri di polveri agli altari di luce. E come in un nido costruito a mezz’aria da un uccello moderno, i versi attingono e intrecciano elementi di vario genere, frammenti di visibile e invisibile si installano in una struttura composita originale.
È quindi facile trovare in una sola poesia la solidità della madre terra, l’energia di un vulcano, l’ingenuità della gemma, una piuma. Il regno di sopra e quello di sotto si uniscono e ogni fenomeno fisico e non può apparire tra queste pagine. Luce, ombra, infinito, sguardo, parola, mare, le stagioni, la divinità.
Tutto contiene l’intima fibra del mondo, in perfetto equilibrio gli opposti si alternano, l’ombra genera la sua luce, i versi si susseguono in un crescendo di tensione. La parola dell’autrice è guidata da una vista interiore che lei stessa definisce segreta luce di bellezza/che il Custode del mondo racchiuse/in ogni cosa; e, dentro la chiocciola/recondita dell’orecchio ottuso, /coglie l’udito profondo.
La poesia sfiora la mistica saggiando l’ineffabile. Un’abbondanza audace di versi e di temi avulsa dal contesto della poesia contemporanea, una scrittura in cui tutto è analizzato al microscopio, tutto accade al rallentatore come se l’autrice avesse una percezione allargata del reale, un tempo dell’interiorità e uno della mente. La sua parola divide l’universo in una bolla eterea di mondi concreati dall’anima, assimila nel sangue i regni della terra.
Emilia Barbato
Per sensi interni
Come un luminoso raggio erompe
nel cielo aperto da dietro cumuli
cupi, così, oltre l’occhio spento,
sprigiona la vista interiore
quella segreta luce di bellezza
che il Custode del mondo racchiuse
in ogni cosa; e, dentro la chiocciola
recondita dell’orecchio ottuso,
coglie l’udito profondo l’eco
di una voce che chiama per nome.
Umanità
Umanità, quell’onda greve di teste
in schiavitù, ora ricurva su sé,
sulle proprie rapine e idolatrie,
concupiscenze e vanità; ora distesa
nell’oceano del tempo in labbri
queruli di fuso acciaio o argento
nel vaniloquio d’un moto apparente;
ora, sbalzata da interne correnti,
da venti violenti, rigurgita odio
verso se stessa e, per fatalità
connaturale, si schianta, devasta
e immemore rinasce a quiete
temporanea.
La materia
Dove tu sia, non è dato sapere.
Se fossi te, vorrei essere libera
nell’etere, un pensare palese,
ebbrezza pura i sensi e sottile
tanto da penetrare rocce interdette
infiltrandone l’aspro grigiore
d’anime spente, addolcendone il gelo
con vibrazioni di canto suadente;
ed, esplorandone gli arabeschi di quarzo
e d’argento, le pomici e lo zolfo
dei primitivi ribollimenti delle interiora,
attingervi il filo rosso di fuoco
e di sangue che orienta l’universo
dai sepolcri di polveri agli altari
di luce e, come in vita così nei labirinti
della morte, farmene guidare.
Il mare
I
L’armonia ondulante del mare,
flusso d’un respiro musicale,
inebria i sottili sensi dell’animo.
Una cinerina migrante, collo lungo,
esili zampe in merletti di schiuma,
da una rampa di roccia fissa
l’acqua come ipnotizzata, icona
impenetrabile. Baluginando a tratti
del sole al tramonto, altalenando
in voli alti un languido stormo
celebra il rito serale.
II
D’indole passiva, accogliente vita
nel profondo ventre, si turba
il mare e s’increspa all’aria
che ne solletica in brividi costanti
superficie. Ma gelidi venti
di tramontana o libeccio vanno
urticando negli oscuri letti
démoni dormienti che inarcano
i poderosi dorsi incalzandosi
in scorrerie di fragore e schiuma.
Ma ecco che al sole smaschera
il mare un volatile cuore
di vapore nelle nubi-vele.
III
Esci, sole, coraggio, liberati
dell’assedio buio, lotta per me,
sconcerta le nubi col cipiglio
da cosmico despota, filtrale,
favoloso alchimista, in lapislazzulo
puro, dissolvine l’ultima tarda
velatura, inabissa il tuo fallo
d’oro nell’acquiescente mare!