L’inganno della superficie – Marco Pelliccioli

L'inganno della superficie - Marco Pelliccioli

L’inganno della superficie, Marco Pelliccioli (Stampa 2009).

Secondo decennio del duemila, quasi tutto sembra fermarsi alla pura superficie rendendo i valori sempre più distanti e inafferrabili, provocando, in chi ancora riesce a creare attrito con la società liquida, una sensazione di forte straniamento.

Marco Pelliccioli, autore del libro L’inganno della superficie, (Stampa 2009, anno di edizione 2019) muovendosi nella Milano attuale sperimenta il vacuo e il rifiuto per tutto ciò che appare, individui compresi. Il malessere affiora tra le pagine così come la necessità di sottolineare l’inganno di una realtà popolata da uomini gelatina, tipi da business class, donne ciondolo e simili. Tutto è filtrato attraverso uno sguardo impietoso, con calma e precisione l’atomo del quotidiano viene messo a fuoco passando in rassegna la psiche, l’abbigliamento, le emozioni, il lessico, gli accessori di questi manichini da vetrina.

Con un linguaggio estremamente tecnico, nonché fisico-mimico, l’autore ci porta con sé in un tour dell’assurdo. Nei versi dedicati alla sfera privata, invece, il tono diventa intimo. Echi dialettali introducono la familiarità e la confidenza, la cura al male contemporaneo. Così l’Angiolina (madre e simbolo di un mondo ancora autentico) e il Nino, con semplicità e pudicizia, fanno da contraltare a tutta la volgarità dei prodotti umani creati dall’utile.

Alternando prosa e poesia, con compiutezza e grande discrezione di tono, Pelliccioli restituisce al lettore un mondo pulviscolare. Chiede alle cose, enumerandole, e alla totalità dei fonemi, che ne esprimono il significato generico, una certezza e se il linguaggio diventa sempre più aziendale e gli uomini tutti uguali e indistinti, la parola, precisa. Gli oggetti diventano appiglio nel vuoto, memoria e storia nell’impermanenza.

Concludendo, la successione di frammenti lirico – narrativi che l’autore sottopone al lettore fonde “il sublime e l’immondo” (come direbbe Montale), il profondo e la superficie, la vita e la morte e l’utilizzo prevalente della terza persona contribuisce a veicolare la percezione di una cronaca sullo slittamento di universi paralleli. Un mondo pieno di senso, dal ritmo lento, rurale; uno incongruo, dinamico, totalmente privo di contenuti.

Emilia Barbato

 
 
 
 
L’UOMO-AGENDA

Oggi sono scesi giù da noi i capi ingegneri. La direzione ha
emanato un qualche ordine di scavare nuove gallerie, e
perciò sono scesi gli ingegneri per le misurazioni preliminari
Come sono giovani eppur così diversi!
F. Kafka, Una visita nella miniera

 
L’uomo-agenda indossa un orologio al polso digitale,
affronta “meeting” con “remind” che fanno “push”
su per il “display”. Sveglio alle cinque del mattino,
corre un’ora per le vie contando passi e calorie.
“Schedula” appuntamenti “weekly” rinchiuso in
doppi vetri, palazzi verticali. Si dice, tuttavia, sia un
grande amante della natura estiva, nonché delle
stazioni sciistiche invernali
 
 
 
 
 
 
L’UOMO-CAPO
 
L’uomo-capo parla dritto, non ha mezze misure,
Sotto il cuore, in una piega, ha cucite le iniziali.
Quando il branco si raduna fa un discreto uso della
parolaccia, provocando ilarità nei volti in porcellana
sul tavolo-credenza.
Le impronte sugli occhiali fanno luce
(la filigrana opaca, dicono di contrabbando)
mentre pulisci con lo spray
lenti senza neppure un graffio
 
(il sasso che scivola nel pozzo
la traccia che risale
e si sparpaglia per la vite
che ora non è più:
non piangere Angiolina
il secchio con lo straccio, l’acqua lapidata
i figli sono tre, di pane non ce n’è…)
 
 
 
 
 
 
HERCULI MODICIA TES JOVEN
(iscrizione incisa su un’ara votiva)
 
VOPSIL
            MOPSIL:
                         i Rasna
(bùccheri, tripodi
specchi, candelabri)
                  (il vomere:
                  lama di metallo
                  che nell’aratro taglia
                  le zolle di terra)
campagne fertili, acquose
ghiande cadute dalle querce:
il butirrum provocò disgusto
Audasia morta a cinque anni
il soldato trucidato sotto la macina di pietra
                  (l’arena oltre il ponte
                  – basta seguire la linea dei palazzi)
linde come il tiglio
dolce oppure scudo
                  in sogno a Olmea
                  la quercia, una colomba…
Nel fiume ora in secca
la Torre Viscontea
                  (la bifora, lo stemma
                  il tronco sul letto trucidato)
l’acqua resiste in pozze raggrumate.