Le strade da scoprire ancora – su Al Rempel

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Le strade da scoprire ancora – su Al Rempel

 

Il viaggio che Al Rempel propone al lettore nella sua prima raccolta di poesia Understories (Halfmoon Bay, Caitlin, 2010) si svolge nel rapporto strettissimo con il British Columbia, dall’ambiente familiare, le stradine dietro casa, le difficoltà quotidiane per ampliarsi fino alle rocce, alle foreste e montagne e ghiacciai delle Rockies. La natura debordante del Canada, non facilmente leggibile da una mente avvezza alle dimensioni più raccolte dell’Europa, non viene mai percepita come altro da noi o apertamente nemica; al contrario il poeta sperimenta se stesso come parte integrante della natura.

Understories, secondo Rob Budde, è “un atto di cartografia poetica, una mappatura di interiorità dove le strade del BC, come una lingua rinnovata, conducono a contatti umani, interconnessioni e a posti che noi cerchiamo per la nostra privata contemplazione. (…) Non c’è una singola parola nelle sue poesie che non sia stata pesata con le mani, fatta rotolare nella testa, sperimentata sulla lingua.(…) Le sue poesie sono posti pieni di agio, di stupore, di abilità artistica – sono destinazioni da abitare.”

Barbara Colebrook Peace aggiunge che Al Rempel sa mostrarci lucidamente ciò che giace e si nasconde sotto le cose e gli accadimenti di ogni giorno: delle ‘sottostorie’ appunto, che costringono il lettore a molte riletture per apprezzare composizioni che sono contemporaneamente sensuali e intellettuali. Egli tesse immagini come John Donne, unendo cosmo, microcosmo, termini di astrofisica in poesie che sono formalmente eleganti, ma allo stesso tempo perfettamente contemporanee sia nel lessico che nell’atmosfera creata. Il punto di forza delle sue poesie sta proprio nella sua accessibilità ad una lingua che si dipana senza mai essere ostica. Art Joyce sottolinea inoltre che la lingua di Rempel è anche la lingua dei rudi lavoratori del nord della provincia, quando cattura frammenti di slang che creano uno scontro linguistico significativo con la lingua formale.

 
 
Go Down to the River
 
go down to the river and swallow it whole, roll the rocks around
in your mouth, pocket some in your cheeks, let the silt and grit get caught
in your teeth and grind it in, taste the blessed mountain of it, eat the bark
scaled at the mill upstream, suck back the slurry of the paper-plant waste,
chew on the trash of campfires gone bad, cans of cheap beer
and shards of glass, choke back the roach burns, the good-time condoms,
make this river yours, gulp it down, the last of the Coho eggs, the chin-hair
of the moose knee-deep in algae, tamarack needles drifting off,
the silken dive of the loon, the yellow pollen pushing at the shore, the dead
cedar fronds like lace on your tongue, make this water holy water,
stick your dirty thighs in it, drink deep from last year’s winter,
the crackling of the lakes, the snap of branches, the ice chattering
over beaver dams, the gun-shy grouse, chuck it down the hatch,
don’t spit it out, the mushroom spore, the frog sperm — get it down, get it down
 
 
 
 
Vai giù al fiume
 
vai giù al fiume e ingoialo tutto, rotola le rocce attorno
alla tua bocca, intascane qualcuna nelle guance, incastra arenaria e limo
tra i tuoi denti, tritali, assaggia la montagna benedetta che ne ottieni, mangia la corteccia
scorticata al mulino su verso la sorgente, risucchia la fanghiglia degli scarti di cartiera,
mastica l’immondizia marcescente dei bivacchi, barattoli di birra da poco
e frammenti di vetro, tienti in bocca gli scarafaggi bruciati, i condom del divertimento,
fai tuo questo fiume, inghiottilo, l’ultimo uovo di salmone, i peli della gola
dell’alce nelle alghe su fino al ginocchio, gli aghi del larice portati verso valle,
il tuffo setoso della strolaga, il giallo polline che preme sulla spiaggia, le fronde defunte
del cedro come lacci sulla lingua, rendi quest’acqua acqua santa,
infilzaci le tue cosce insozzate, tracanna l’inverno dello scorso anno,
il crepitio dei laghi, lo schioccare dei rami, il ghiaccio che ciarla
sulle dighe dei castori, il cedrone prudente per gli spari, sbattitelo giù nella gola,
non sputarlo, le spore dei funghi, lo sperma dei rospi – manda giù, manda giù
 
 
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L’attenzione all’ambiente si sviluppa ulteriormente nella seconda raccolta This Isn’t the Apocalypse We Hoped For (Caitlin Press, 2013) e gli permette di puntualizzare, con le parole di Arthur Joyce, che è il poeta e non l’ambientalista o l’ecologista a farci percepire l’urgenza di preservare la bellezza della natura, riuscendo così a modificare la nostra consapevolezza di lettori e di esseri umani. Una consapevolezza fatta di un mondo di fast food, megasupermercati, tra gente che si mette in mostra nei negozi di gastronomia e gli homeless che annunciano la fine del mondo, dove il risultato del nostro stile di vita è una spirale di immondizia e plastica nel Pacifico settentrionale. Molte delle poesie nella raccolta hanno un aspetto più indefinito, spezzato e a volte mancante, ripetitivo come scorie a caso che vanno decifrate e riordinate.

 
 
Streets are not the map
 
this town rolled out
               a map of indecision
                         edged purple with clover and vetch
We’re stuck behind chip-trucks
               chemicals and fuel and civility
                         the congestion in our heads
but at sunset the sky changes
               we finally learn to see
                         when nobody else does
the streets are not the map
               the sky’s the colour of the hillside
                         and we’re left looking
 
 
 
 
Le strade non sono la mappa
 
questa città ha dispiegato
               una mappa di indecisione
                         dai bordi viola di trifoglio e veccia
siamo imbottigliati dietro chioschi ambulanti
               prodotti chimici e carburante e buone maniere
                         l’ingorgo è nelle nostre teste
ma al tramonto il cielo cambia
               alla fine apprendiamo a vedere
                         quando nessun’altro lo fa
le strade non sono la mappa
               il cielo è il colore della collina
                         e noi abbandonati guardiamo
 
 
Bozza automatica 1638

La perdita di umanità, di affetti e di passato ed il dolore che ne consegue vengono esaminate attraverso gli occhi di quattro adolescenti fino alla maggiore età. Due vivono in una fattoria con la nonna, orfani di genitori, due vivono con una madre di polso forte e un padre alcoolizzato in una piccola città dei tardi anni settanta. Four Neat Holes (Leaf Press, 2016) è una breve suite di tredici poesie accostate ad altrettanti disegni di Mo Hamilton, con uno stile concreto e pungente, che spesso scivola in dimensioni surreali. Nella poesia Shadow play ad esempio i ricordi a sprazzi si addensano sotto la luce a forma di iperbole della lampada che è pure la forma che viene data alla poesia, una iperbolica felicità che non esiste più, che rende vivide le descrizioni e che serve come forma-rifugio alla preghiera che ne scaturisce alla fine.

 
 
Shadow play
 
the lamp in the living room has a hyperbolic effect
on the wall. exaggerating a happiness
we remember with, that summer
when we were thirteen and could see
she could easily swallow the sun
with her head thrown back,
up there on the hay wagon —
cherry-red lips, we’d later swear.
How she wowed us with exact quotes
from the movies and just the right inflection
of her hair and the way her hand floated out
from her body — give us this day our daily sunshine
we’d pray at night, under the lamp, the shadow taking place.
 
 
 
 
Gioco d’ombre
 
la lampada nel soggiorno tracciava un effetto di iperbole
sulla parete, esagerando quella felicità
che ricordiamo, quell’estate
a tredici anni e vedevamo
che poteva ingoiare il sole
solo piegando indietro la testa
seduta in alto sul carro del fieno —
le labbra color ciliegia, l’avremmo giurato.
Come ci stupiva citando esattamente tutte le battute
dei film, imitandole proprio con le corrette inflessioni
dei capelli e quel modo in cui faceva svolazzare le mani
allontanandole dal corpo – dacci oggi la nostra luce quotidiana
pregavamo di notte, sotto la lampada, mentre l’ombra si addensava.
 
 
Bozza automatica 1636

Al Rempel rivela in una intervista che la sua evoluzione creativa sta portandolo a considerare “the North”, la luce del territorio settentrionale, o meglio, la mancanza di luce durante l’inverno, quando la terra si trasforma in poco tempo da un posto incantato ad un luogo pericoloso e funesto. Quando lo stress di guidare a -30°, sapendo che il più piccolo errore può mettere in pericolo la vita, si mescola con l’improvviso risalire della temperatura e ci si sente consolati, per poco, dalle morbide nevicate, umide e pesanti, della costa.

Molte di queste sensazioni si possono ritrovare nell’ultimo libro Undiscovered Country (Mother Tongue Publishing Ltd, 2018). Un libro liricamente vario, costituito da un gruppo di poesie centrali racchiuse tra due sillogi molto intense.

 
 
Supplication
 
thunder in the afternoon, then a downpour,
the rain sheeting off the shingles
over the kitchen window, a curtain so clean
I want to stick my arm through
until it becomes a thing of its own
on the other side, suspended there,
a single digit extended, an insect
with one antenna, lightly wagging.
 
Later I catch the trees –
they stammer sunlight all day
through their canopies, into my eyes,
onto my ears & my feet, God speaks,
licks his thumb an infinite number of times
and presses the light onto each leaf
 
what is the square footage of my soul?
I’ve come to the end of it
more than once, pressed the streets
of this city into service,
walked the very edges to the corners,
walked the day into its lateness
 
the streets downtown, the road by the river
between the fish hatchery & finger-jointer plant,
old houses in a row
stuttering into the industrial yard,
the last one to the end boarded up & made do
as a storage shed
                 o what wild things
grow up at its concrete base?
In the reddening light – the air alive with dust,
with winged insects – a simple curve of stem
arcs so clearly in the jumble, its flowers
bowed & bobbing, it breaks open
my heart, I stretch out my hand,
pretend to shade my eyes,
fingers seeking.
 
 
 
 
Invocazione
 
tuona nel pomeriggio, poi un acquazzone
la pioggia a secchiate sulle tegole
sulla finestra della cucina, una tela così chiara
che voglio infilarci il braccio
fino a farne una cosa a sé
dall’altra parte, sospesa lì,
l’allungarsi di un solo dito, un insetto
con una antenna sola, che ondeggia leggera
 
e poi afferro gli alberi –
balbettano la luce del sole tutto il giorno
attraverso il fogliame, nei miei occhi,
nelle orecchie & nei piedi, Dio parla,
si lecca il pollice un numero infinito di volte
e preme la luce su ogni foglia
 
qual è la metratura della mia anima?
ne ho raggiunto il termine
più di una volta, premendo le strade
della città andando a lavorare,
camminandone i bordi fino agli angoli,
camminando il giorno fino a tardi
 
le strade in centro, la strada verso il fiume
tra gli allevamenti di pesce e le fabbriche di serramenti,
vecchia case in fila
balbuzienti verso la zona industriale,
l’ultima all’estremità chiusa da pannelli e trasformata
in magazzino
                 quali cose selvagge
crescono nelle fondamenta di cemento?
Nella luce che si arrossa – l’aria viva di polvere,
di ali di insetti – una curva semplice di un gambo
si inarca chiaramente nel disordine, il fiore
piegato ondeggia, strappa e apre
il cuore, tendo la mano,
fingo di proteggermi gli occhi,
le dita alla ricerca.
 
 

Rempel viaggia attraverso la “buia notte dell’anima” vista attraverso i filtri delle geografie e delle stagioni del British Columbia settentrionale. Quello che si (ri)trova in questo percorso è un “paese ignoto”, da scoprire o riconsiderare: osservare con occhi diversi le nuvole primaverili o i colori autunnali, passare un pomeriggio con la figlia offrono l’opportunità di contemplare la propria esistenza e risistemare la propria visione del mondo.

Il poeta si confronta con la paura della mortalità, della genitorialità, della connessione con la natura e ricerca modi per liberarsene. Le connessioni della vita si posizionano in strati di significato descritti con la precisione che Rempel sa usare attraverso tutti i suoi libri, solo che ora gli oggetti e le situazioni descritte si trasformano e portano ad esplorare mondi sconosciuti. Il disagio interno e le difficoltà vissute trasformano il paesaggio noto in percorsi parzialmente percepibili e esplorabili, con l’ansia di non trovare una direzione. Il dilemma di sempre in questi libri: il paesaggio modifica la persona che, modificata, trasforma a sua volta il paesaggio.

Il libro si è ispirato al lavoro dei poeti inclusi nel The New Long Poem Anthology, Sharon Thesen. “Into the Cloud of Unknowing” è la silloge iniziale che rilessica una strada di Prince George come un mistero duplice: l’aurora boreale e un ponte occultato dalla nebbia. La guida verso il posto di lavoro diventa così complicità con il lettore che viene portato nel monologo interiore del poeta – o di una diversa versione del poeta – sulla morte, perdita, invecchiamento e distacco emotivo attraverso le memorie dell’infanzia che diventano possibili punti di contatto.

La silloge finale appare come una cronaca del viaggio attraverso il corso di un anno, una osservazione puntuale dei cambi attraverso il tempo e le persone. E tutte le impressioni che ne scaturiscono tendono a superare le perdite, metabolizzare il dolore e suscitare nuove possibilità di vita.

Al Rempel mantiene lo stile dei libri precedenti agile, snello e non complesso, eliminando qualunque punteggiatura e andando a caporiga per evidenziare concetti e offrire continuità nelle inarcature. L’assenza di punti alla fine delle poesie permettono una lettura in continuità di tutta la raccolta come se fosse un’unica poesia. Inoltre elimina la tentazione del lettore di ricercarne una finalità o una qualsiasi conclusione.

Il libro è stato presentato lo scorso settembre nella zona di Vancouver, presentato dal primo poeta laureato del British Columbia, George McWhirter.

Rempel tende sempre di più a presentare le sue letture in modo multimediale con videopoesie, interventi musicali, a volte musica e percussioni delle tribù native della provincia; a volte leggendole in modo performativo, a volte lasciandole all’esperienza del singolo lettore.

 

Sandro Pecchiari

 
 
 
 

Note sull’autore

Al Rempel ha scritto This Isn’t the Apocalypse We Hoped For, Understories, Undiscovered Country, e due libri in collaborazione con altri artisti: Four Neat Holes
e The Picket Fence Diaries. Presente in svariate riviste letterarie, tra le quali The Malahat Review, GRAIN, CV2 e in antologie quali The Best Canadian Poetry in English, 4Poets ed altre non meno importanti.

Tra i premi letterari: Prince George’s Arts & Culture Award for Poetry in 2012 e finalista al the Fred Cogswell Excellence in Poetry Award in 2013. Due volte incluso nel Poetry in Transit project in Vancouver. Alcune sue poesie sono state tradotte in italiano da Sandro Pecchiari.

Ha creato una serie di videopoems in collaborazione cone artisti della zona: “Sky Canoe” al Visible Verse Festival di Vancouver, 2012, e al the Filmpoem Festival a Dunbar, Scotland, 2013, e al Liberated Words a Bristol, UK, 2013. Anche tre poesie da Undiscovered Country sono diventate videopoems.

Al Rempel vive a Prince George, British Columbia, Canada dove insegna matematica e scienze in una scuola superiore.

 

Bibliografia e sitografia per questa recensione:

Rob Budde: http://al-rempel.webnode.com/understories/
Barbara Colebrook Peace: http://al-rempel.webnode.com/reviews/
Arthur Joyce: http://www.harbourpublishing.com/excerpt/Understories/1280
e http://www.pgfreepress.com/books-set-for-launch-at-two-rivers/
Al Rempel, Statement of Place: http://cascadiareview.org/category/al-rempel
Mother Tongue Publishing Limited | West Coast Literary Press, www.mothertonguepublishing.com
Poet explores Undiscovered Country, Frank Peebles / Prince George Citizen
https://cascadiareview.org/2013/11/01/he-talked-in-his-sleep/