Il pane che chiedevi è pronto – Michele Paoletti

 
 
bruciano le foto senza cenere
pigre si anneriscono di bolle
che avvampano fino ai contorni
dei nostri volti imprigionati
nella distratta felicità
di chi si acciuffa un attimo
sperando di imbrogliare il tempo
 
 
 
 
 
 
il pane che chiedevi è pronto
ora sta sul tavolo di marmo
e vedo il fumo
le bruciature la farina scura
l’impronta leggera delle mani
nell’aria si perde l’odore buono
che sospende il tempo prima che
il coltello apra la crosta e il giorno
torni a premere la vita contro
gli oggetti che ci stanno intorno
 
 
 
 
 
 
Il mare morde le crepe
si accapiglia contro i mattoni
facendosi strada con unghie di sale.
la roccia sfoglia
la sua scorza minerale
per farlo indietreggiare.
Si dona per durare.
 
 

(Michele Paoletti, Breve inventario di un’assenza; Samuele Editore, 2017)

 
 
 
 

In questi testi di Michele Paoletti predomina il contrasto tra la lenta e inesorabile erosione che esercita il tempo sugli eventi, sui ricordi, sugli affetti, e la resistenza che è possibile opporvi, tracciando un segno che contrasti la sua opera di dissolvimento.

Già nel primo testo troviamo delle foto che bruciano, di cui non rimane nemmeno la cenere: la fiamma arriva lentamente fino al contorno dei nostri volti imprigionati, in quell’attimo che vorremmo conservare, nella distratta felicità … di chi spera di imbrogliare il tempo. Si sottintende che questa speranza viene disattesa, la foto finisce di bruciare, e quei volti svaniscono da quelle fotografie, che anneriscono di bolle e avvampano.

Nel secondo testo vi è un riferimento al pane, momento di valore quotidiano, che richiama in particolare l’opera dell’uomo sulle cose e il suo lavoro (l’impronta leggera delle mani) e un senso diffuso di familiarità domestica (il pane che chiedevi è pronto).

Ma di nuovo sono visibili le tracce erosive dell’agente temporale, che scardina e disperde la persistenza di queste tracce: ritroviamo il fumo / le bruciature, nell’aria l’odore buono si perde e il coltello che apre la crosta del pane, ferendolo, viene immediatamente associato al giorno, che preme la vita contro / gli oggetti che ci stanno intorno.

La relazione dell’uomo con gli oggetti rappresenta il rapporto con le tracce che restano, con la memoria, con la persistenza nel tempo, ma anche l’immediato contrasto tra ciò che rimane (gli oggetti, appunto) e ciò che si perde: l’odore buono, i contorni dei volti, la distratta felicità.

Nell’ultimo testo Paoletti offre un’immagine che rappresenta letteralmente l’erosione di cui sopra: il mare che con unghie di salemorde le crepe dei mattoni, lentamente consumandoli, mentre la roccia tenta una resistenza, sfogliando la sua scorza minerale, e quindi disperdendosi lentamente, per farlo indietreggiare.

Anche la natura, personificata in questo conflitto tra elementi, sembra arresa alla lenta opera corrosiva del tempo, che ritorna in una rappresentazione che segna il passaggio dalla dimensione privata a quella oggettiva, che appartiene al mondo nella sua interezza.

Ma è la chiusa a rivelare il pensiero di Paoletti, e a giustificare il tono di incredibile serenità con cui ci ha presentato immagini apparentemente terribili, come il contorno dei volti che brucia, in una foto come nei nostri ricordi, o l’inafferrabile profumo delle cose buone, che svanisce rapidamente e senza rimedio: Si dona per durare.

L’unica possibilità di persistenza nel tempo, di contrastare l’irreparabile erosione, seppure per un breve attimo (durare si dice, il che significa solo per il più lungo periodo di tempo possibile) è quella di donare, cedere, lasciare andare qualcosa affinché sopravviva fuori di noi nella memoria di chi resta, di ciò che rimane, diventandone parte, traccia.

Esattamente come resterà in ogni caso, nella memoria di chi assiste alla foto che brucia, di chi assiste al profumo del pane che svanisce, di chi assiste all’opera del mare che negli anni erode e porta con sé il muro di mattoni, il ricordo netto di ciò che questi oggetti hanno rappresentato, delle relazioni umane sottese e dei momenti in essi trasfigurati.

Questo l’apparente paradosso: per resistere al tempo e alla sua opera di dispersione, non è necessario trattenere ma lasciare andare, esattamente come la roccia che sfoglia / la sua scorza minerale, diventando parte di quel mare, che continuerà a conservarne le tracce e l’impronta, diventando una sola cosa.

Mario Famularo