Le poesie di Manuela – Peter Russell
La linea dell’Equatore 2017, prefazione di Leonardo Rabatti, postfazione di Sara Russell
Traduzione di Peter Russell e Peter George Russell con revisione di Sara Russell
Le poesie di Manuela di Peter Russell è una piccola quanto squisita edizione de La linea dell’Equatore, una realtà editrice romana che fa capo a Fabrizio Orlandi (so che a breve pubblicherà anche Marina Pizzi). Uscito nel mese di marzo 2017 in 100 esemplari numerati a mano fa parte di quel sottobosco editoriale italiano che non rientra nei circuiti commerciali (il volume è infatti disponibile solo dall’Editore) ma che è capace di cose prestigiose e spesso ricercatissime. Nella prefazione di Leonetto Rabatti si legge:
La dimensione del sogno nella ricerca russelliana costituisce spesso una sorta di “zona franca” d’incontro tra reale/irreale, razionale/irrazionale, producendo quella “compresenza” metafisica che, oltrepassando i recinti di un sapere chiuso e limitato, apre ad una conoscenza più ampia, della quale il dettato poetico è veicolo e referto. L’esempio forse più significativo è costituito da Manuela’s poems – Le poesie di Manuela, contenute nel volume The golden chain – Lyrical Poems 1964-1969, uscito a Venezia, in lingua inglese, nel 1970, e successivamente ristampato in edizioni bilingui dalla casa editrice fiorentina Paideia, nel 1998 e nel 2001. In un video risalente al periodo di poco precedente la morte, allegato al volume Peter Russell, l’ultimo dei grandi modernisti, uscito per le Edizioni Nex Media, 2011, Campiglia Marittima (Livorno), Peter Russell risponde ad un’esplicita domanda circa la genesi di quella raccolta di brevi poesie, che costituiscono un unicum nella sua sterminata produzione. Il racconto, fornendo le coordinate storiche spaziotemporali entro le quali i testi sono stati scritti, aggiunge un fascinoso alone quasi esoterico alla già densa simbologia testuale. Manuela era una bellissima donna che aveva soggiornato per qualche tempo nella pensione attigua alla casa del poeta, a Venezia, e che lui non conobbe mai: la sua fugace presenza, assieme alla sue fattezze fisiche, gli furono rivelate solo successivamente alla stesura dei testi poetici, che sono vere e proprie trascrizioni delle parole dettate da questa misteriosa figura femminile apparsa in sogno per nove notti di seguito.
Le nove poesie a Manuela di Peter Russell, pubblicate oggi in Italia, rappresentano uno straordinario anacronismo poetico ed editoriale che forse ci dovrebbe insegnare qualcosa. Nove sole poesie che fanno un libro in un periodo storico nel quale gli Editori vogliono almeno una cinquantina di poesie, nel quale i poeti ti inviano in lettura un centinaio di testi con l’avvertenza, a dire il vero molto laconica, però si possono smaltire un poco. Le nove poesie a Manuela costituiscono da sole un libro lunghissimo che addensa pagine e pagine di romanzo in pochissimi versi. Il peso verticale di ogni testo rimanda a due intere biografie (quella del poeta e quella di Manuela) che si incontrano per nove notti. Quando due vite si incontrano e si confrontano non può che nascere un romanzo. Ma Peter Russell ha la capacità di sintetizzare l’incontro in un graffito poetico che, pur contenendo storie intere, non appesantisce la parola. O meglio: la parola di Manuela. Perché in queste nove poesie è Manuela stessa a parlare e il poeta dà solo l’incipit e la chiusura dove avverte in nota di non averla più rivista.
Ma Manuela non esiste. Manuela è un personaggio del sogno che sa di non esistere e riflette sulla sua inesistenza e parimenti sull’esistenza del poeta. Come dice la figlia di Russel, Sara, in postfazione: In queste poesie, infatti, il poeta ci racconta le parole di Manuela, una donna sconosciuta che lo visita nel sogno per nove notti consecutive. La voce del poeta annota le parole di Manuela, il cui narrato – il sogno del poeta – si trasforma in poesia. Nei nove sogni si intersecano le rispettive realtà e identità del poeta e di Manuela. La donna penetra la mente del poeta, e nell’atto di scambiarsi reciprocamente sogno e realtà, è la poesia ad esprimere lo spazio in cui si intersecano. In questo modo sono la poesia e il sogno ad assumere un livello di realtà che sorpassa quella del mondo terrestre. Per mio padre i sogni facevano parte della realtà. […] Quando leggo le poesie di Manuela faccio un collegamento molto personale. Immagino che tra il 1972 e il 1973, nel momento in cui mio padre vide per la prima volta mia madre, giovane donna dai “lunghi capelli neri” e dall’aria misteriosa, nella città canadese di Victoria, zona ricca di laghi, gli dovette sembrare di conoscere in carne e ossa la misteriosa donna che per nove notti lo visitò nei sogni e poi sparì. Infatti per mio padre mia madre era una creatura più eterea che reale, e la trattava con estrema delicatezza, come un fiore o una farfalla. Nel 1998, nove anni dopo la loro separazione me la descrisse come “una ragazza davvero misteriosa.” Ne parlava con grande tenerezza anche a distanza di tanti anni.
Manuela non esiste ma riconosce a se stessa un’identità precisa: Possibile ch’io sia così crudele? In una domanda che sembra quasi interrogarsi sull’esistenza, sul barlume di realtà in cui si ritrova sapendo d’essere una pioggia che piove su me stessa. È una donna, inevitabilmente, e pone l’attenzione sulla drammaticità del proprio io, della propria solitudine (Gli estranei sono come muri spogli), dei propri desideri (Le ore mi tormentano. / Non voglio nulla), della propria bellezza (Tutte le mattine quando faccio il bagno / il mio corpo è bianco e bellissimo- / ma ahimé, l’appetito mi manca). Manuela arriva a riflettere anche sulla realtà e sul tempo del mondo di cui non fa parte, ma che per un istante vede attraverso questo soliloquio col poeta (Come un fuoco che muore mi spengo / la mia terra il focolare […] I giorni sono orologi roteanti).
Manuela acquisisce a un tratto fisicità non solo come autocoscienza della propria corporalità (Stamattina, mi sono svegliata pressoché / immutata / e ho pettinato i miei lunghi capelli neri, / mi sono fissata nello specchio ovale) ma soprattutto come autocoscienza della propria identità attraverso elementi altri come Dio, il mito (La scorsa notte ho pregato il Dio / sconosciuto / per una qualche metamorfosi ovidiana […] La mia vita è come lo zucchero candito […] Prenderò un orso per amante / nel pomeriggio) e la memoria (Da bambina ero docile, felice). In quest’ultima dimensione Manuela torna alla consapevolezza della propria inesistenza (Un giorno che non ricordo / mi avventurai sulle colline) che comunque non aveva mai abbandonato ma anzi ci si era scontrata continuamente nella reiterata presenza della negazione, non di rado di sé (Io sono il tuono / che mi distrugge la mente […] Non posso parlare / proprio a nessuno […] Non voglio nulla […] Non pregare per me, madre – / finché non mi vorrai morta […] Sono del tutto indifferente a me stessa […] Non annaffiatemi […] Come un fuoco che muore mi spengo).
Manuela nella nona notte dichiara di uscire dalla mia Cattedrale Sommersa per entrare nella tua mente. Reale e onirico si fondono nel commiato (Il mio mondo reale / è nel tuo sogno) dove la memoria diventa un lascito prezioso da conservare (Ricorderò quel che ho visto / nel tuo mondo reale / che è stato il mio sogno). Ciò che è sogno per uno è reale per l’altro e viceversa nella domanda fondamentale che il poeta sottende: io esisto? O sono il sogno di Manuela nel momento stesso in cui lei è il mio sogno? Domanda che non trova soluzione ma un addio, una constatazione amara che Manuela rivolge a Russell: Ti darei tutto quel che il tuo cuore / desidera / ma ti renderebbe solo infelice.
Manuela è forma della saggezza poetica che non appartiene al poeta e non può essere da lui gestita, è la poesia che chiede a se stessa perché e in che cosa consiste. È la poesia che appare sensuale quanto la donna che si interroga (Ho i polmoni pieni di madido incenso / sono bagnata e infreddolita) e che relega la drammaticità della propria esistenza non nell’essere ma nel mondo che la ospita (Io che dicono bellissima / sono un narciso morto in un vaso […] Un toro schizzato di sterco e tormentato / dalle mosche / può essere bianco-latte, setaceo come / Giove / che tenta Europa sulla spiaggia. / Tutte le mattine quando faccio il bagno / il mio corpo è bianco e bellissimo). Russell dichiara implicitamente la purezza della poesia ma anche il suo essere fuori posto nel mondo, la sua impossibilità d’esserne parte. Pur essendo seducente, necessaria, inevitabilmente vera nella sua saggezza.
Un rapporto con l’inesistente, oltre la metafora che vuole Manuela un’incarnazione della poesia, che produce quella straordinaria constatazione che è l’infelicità umana: Ti darei tutto quel che il tuo cuore / desidera / ma ti renderebbe solo infelice. L’impossibilità cioè dell’uomo d’essere completamente pieno e appagato sia in relazione al mondo sia in relazione alla propria immaginazione. Elemento che ritroviamo ad esempio anche in Mihai Eminescu, nel suo Luceafărul, dove la stella Espero (impropriamente tradotta così) si innamora di una donna e per lei rinuncia al suo essere divino (non in senso religioso) per poi tornare alle sfere celesti di fronte al tradimento della donna con un paggetto (un uomo di poco conto). Ma nel ritorno non può non constatare che Nel circolo angusto vivendo / fortuna vi governa, / mentre io nel mio mondo mi sento / gelido ed eterno, sottolineando l’infelicità di fondo che viene dal mondo e al contempo l’infelicità in cui ci si ritrova senza la fortuna del mondo. Quasi una condanna che Eminescu molto polemicamente veste alla poesia, al genio poetico che si scopre inevitabilmente solo e senza possibilità di fuga dall’infelicità.
In Russell l’infelicità pare meno acre, quasi una condizione con cui convivere. Perché comunque Manuela ha una sua purezza sensuale, bianca (che si contrappone al biancore del toro schizzato di sterco e tormentato dalle mosche), e una bontà fondamentalmente salvifica almeno a livello onirico (Respiro di nuovo l’aria / ci sono profumi / musica e fiori di campo / e uccelli vivi negli alberi / che cantano il Sogno di una notte di / mezza estate in un’evidente riferimento shakespeariano che calca ulteriormente il desiderio di mitigare il dramma). Anche in relazione al poeta Manuela si dimostra molto positiva (Ma nella tua mente / c’è un grande fuoco / e nel fuoco una rossa fenice / che spiega le ali) in qualche modo attenuando quell’infelicità finale che porta all’addio. Un addio aperto, definitivo ma con un’opzione: la poesia stessa.
Alessandro Canzian
Manuela’s poems
Every night for nine nights Manuela
appeared to me in a dream,
and each night she spoke a poem to me.
I had never seen her before
and have no idea who she was.
Le poesie di Manuela
Per nove notti consecutive Manuela
mi è apparsa in sogno,
ed ogni notte mi ha recitato una poesia.
Non l’avevo mai vista prima di allora
e non ho idea di chi fosse.
Night the first
I am the rain
That rains upon myself
I am the thunder
That destroys my mind
I am the lightning
That blinds me–
Surely I am not so unkind?
La prima notte
Io sono la pioggia
Che piove su me stessa
Io sono il tuono
Che mi distrugge la mente
Io sono la folgore
Che mi acceca –
Possibile ch’io sia così crudele?
Night the second
Why do you ask me
If I am alone?
I cannot speak
To anyone at all.
Strangers are like blank walls,
Faces I know barred gates;
And every sound
The click of a lock…
Nobody waits
La seconda notte
Perché domandi
Se sono sola?
Non posso parlare
Proprio a nessuno.
Gli estranei sono come muri spogli
I visi che conosco cancelli sbarrati;
E ogni suono
Lo scatto d’una serratura…
Nessuno aspetta
Night the third
The hours torment me.
I do not want anything–
Money, a lover’s lips, fame,
Beauty for me, a husband–
It all the same.
A house over my head
Is a house to die in.
Do not pray for me, mother–
Till you wish me dead
La terza notte
Le ore mi tormentano.
Non voglio nulla–
Denaro, fama, le labbra d’un amante,
Bellezza, un marito–
Stessa cosa.
Un tetto sulla testa
È una casa in cui morire.
Non pregare per me, madre–
Finché non mi vorrai morta.
Night the fourth
Last night I prayed the Unknown God
For some Ovidian metamorphosis–
Rock, raven, touchstone,
Toad in Eve’s ear
Or the abhorrent owl.
I woke this morning quite unchanged
And combed my long black hair,
Gazed in the oval mirror.
I am completely indifferent to myself.
I whom they say am beautiful
Am a dead narcissus in a pot–
“Don’t water me!” “…water me…”
La quarta notte
La scorsa notte ho pregato il Dio
sconosciuto
Per una qualche metamorfosi ovidiana–
Roccia, corvo, pietra di paragone,
Il rospo nell’orecchio di Eva
O il ripugnante gufo.
Stamattina, mi sono svegliata pressoché
immutata
E ho pettinato i miei lunghi capelli neri,
Mi sono fissata nello specchio ovale.
Sono del tutto indifferente a me stessa.
Io che dicono bellissima
Sono un narciso morto in un vaso–
“Non annaffiatemi” “…annaffiatemi…”
Night the fifth
A pig that wallows in the mud
Plotinus says can be washed clean
Dung-spattered bull tormented by the
flies
Be milk-white, silken-soft like Jove
Tempting Europa on the beach.
Each morning when I take my bath
My body’s beautiful and white–
But oh I have no appetite!
Wild strawberries or a peach
For me have nothing to teach.
I smoulder like a dying fire,
My native land the hearth
La quinta notte
Un maiale che sguazza nel fango
Secondo Plotino si può mondare.
Un toro schizzato di sterco e tormentato
dalle mosche
Può essere bianco-latte, setaceo come
Giove
Che tenta Europa sulla spiaggia.
Tutte le mattine quando faccio il bagno
Il mio corpo è bianco e bellissimo–
Ma ahimé, l’appetito mi manca
Le fragole di bosco o una pesca
Cosa mi possono insegnare?
Come un fuoco che muore mi spengo
La mia terra il focolare.
Night the sixth
People are kind.
They bring me orchids.
I have honey for breakfast.
The days consist of twirling clocks–
Ormolu, Dresden, Sèvres.
Honeydew melon, orchids, orchids,
orchids…
Winter will bring chrysanthemums,
And the same twirling clocks…
La sesta notte
Le persone sono gentili.
Mi portano orchidee.
Mangio il miele a colazione.
I giorni sono orologi roteanti–
Ormolù, Dresden, Sèvres.
Melone, orchidee, orchidee, orchidee…
Con l’inverno arriveranno i crisantemi,
E gli stessi orologi roteanti…
Night the seventh
My life’s like sugar candy
It burns my mouth
I was suckled by wolves
Shall go take a bear for lover
In the afternoon
La settima notte
La mia vita è come lo zucchero candito
Mi brucia la bocca
Sono stata allattata dai lupi
Prenderò un orso per amante
Nel pomeriggio
Night the eighth
I was a happy docile child
One day I don’t remember
I walked out on the hills
Heard music of the pipes
By a lake’s edge
I live in a palace under the water
There are no sounds, no sights, down
here
Everyone has gone away
To a great ball, they say
There are mice here
And I sit on a rush mat…
L’ottava notte
Da bambina ero docile, felice
Un giorno che non ricordo
Mi avventurai sulle colline
Sentii la musica delle zampogne
In riva ad un lago
Vivo in un palazzo sotto l’acqua
Non ci sono suoni, né vedute, quaggiù
Sono tutti andati via
Ad un grande ballo, dicono
Qui ci sono i topi
E mi siedo su un tappeto di giunco…
Night the ninth
My real world
Is in your dream
I step into your mind
Out of my Sunken Cathedral
I breathe air once again
There are perfumes
Music and wild flowers
And live birds in the trees
Singing A Midsummer Night’s Dream
My lungs are full of sodden incense
I am damp and cold
But in your mind
There is a big fire,
And a red phoenix in it
Spreading his wings
I shall remember what I saw
In your real world
Which was my dream
I’d give you all your heart’s desire
But it would only make you unhappy
Goodbye…
Venice
21st-29th June 1969
Note: I have never seen Manuela again–P.R.
La nona notte
Il mio mondo reale
È nel tuo sogno
Esco dalla mia Cattedrale Sommersa
Ed entro nella tua mente
Respiro di nuovo l’aria
Ci sono profumi
Musica e fiori di campo
E uccelli vivi negli alberi
Che cantano il Sogno di una notte di
mezza estate
Ho i polmoni pieni di madido incenso
Sono bagnata e infreddolita
Ma nella tua mente
C’è un grande fuoco
E nel fuoco una rossa fenice
Che spiega le ali
Ricorderò quel che ho visto
Nel tuo mondo reale
Che è stato il mio sogno
Ti darei tutto quel che il tuo cuore
desidera
Ma ti renderebbe solo infelice
Addio…
Venezia
21-29 giugno 1969
Nota: Da allora non l’ho più rivista–P.R.