La via delle comete – Marina Cvetaeva

Quest’ultima antologia uscita per Interno Poesia, La via delle comete di Marina Cvetaeva (2023) nella traduzione di Paolo Galvagni ripercorre tutta la vita poetica dell’autrice russa. Dagli scritti giovanili fino a quelli degli ultimi giorni prima di morire. La poesia di Marina Cvetaeva non è romantica, bensì razionale e intellettuale. Una scrittura impegnata, devota alla politica e all’esistenza. Disse Boris Pasternak: «La verità è che bisognava leggerla attentamente. Quando lo feci rimasi senza respiro per l’abisso di purezza e forza che si spalancava».

«Ai miei versi scritti così presto, / che non sapevo di esser poeta,/ guizzati, come schizzi di una fontana, / come scintille dai razzi, // balzanti, come piccoli diavoli, / nel santuario dove c’è sogno e incenso, / ai miei versi di gioventù e morte, / – ai versi non letti!».

Poesia inarrestabile, vera, fatta di carne e ossa: «A certi, ai poeti / il corpo va stretto» ci aveva detto. La sua lettura richiede impegno e capacità emotiva: «Io mi sono sempre fatta in pezzi, e tutti i miei versi sono, letteralmente, frammenti argentei di cuore». Attraverso la poesia cercava d’interrogarsi sulla vita reale e sui suoi più piccoli particolari, in qualche modo per poter superare e vincere su quello che, per lei, era quotidiano e lontano dal poetico.

La parola fu il punto nevralgico di tutto il suo mondo, l’ancora di salvezza alla propria esistenza. Molteplici sono i testi dedicati a sua figlia Ariadna (Alja), con cui sapeva di avere un rapporto simbiotico e profondo. Con lei sentiva finalmente di essere pienamente compresa.
Attraverso la poesia Cvetaeva raccontava la parte sua più vera – le ferite e le delusioni – l’amore e la passione per i suoi amanti. Alla fine, però, quell’anima piena di mondo pose fine al suo percorso terreno, lasciando andare libera la voce, tra voli pindarici e viaggi isolati lungo la via dei poeti: quella delle comete.

Patrizia Baglione

 
 
 
 
Alla mia povera fragilità
guardi, senza pronunciare parole.
 
Tu – sei di pietra, ma io canto,
tu – sei un monumento, ma io volo.
 
Lo so, il più soave maggio
all’occhio dell’Eternità – non è nulla.
 
Ma io sono un uccello – non biasimare
se una legge lieve mi è imposta.
 
 
 
 
 
 
Tu non mi scaccerai mai:
non si respinge la primavera!
Tu non mi toccherai neanche con un dito:
canto troppo soavemente per il sonno!
 
Tu non mi denigrerai mai:
il mio nome – è acqua per le labbra!
Tu non mi lascerai mai:
la porta è aperta, e la tua casa – è vuota!
 
 
 
 
 
 
Se l’anima è nata con le ali –
cosa sono per lei i palazzi – e cosa sono le case!
Cos’è per lei Gengis Khan – e cos’è l’Orda!
Due nemici ho al mondo,
due gemelli, inscindibilmente fusi:
la fame degli affamati – e la sazietà dei sazi!