Balam Rodrigo (México, 1974) – ita/espa


 
16°07’12.1″N 93°48’11.7″W — (Tonalá, Chiapas)
 
Tengo 11 años, ahora y para siempre.
 
Nací en el Barrio FendeSal de Soyapango,
cerca de San Salvador, pero a mí nadie,
nunca, me salvó.
 
Mi padre fue asesinado por pandilleros
de la Mara Salvatrucha,
le quitaron una soda y una cora; no tenía más,
ganaba tres dólares al día en el vertedero.
 
Yo le ayudaba jalando el carro
y a veces encontrábamos comida
en las bolsas de desechos que llegaban de Metrocentro
y regresábamos contentos a la casa.
 
Huí de Soyapango con Pablo, de quince años,
mi amigo de la calle.
 
Quería ser futbolista como yo y jugar
en la Selecta, iríamos a la MLS a probar suerte,
por eso intentamos llegar a Estados Unidos,
en donde hay más dólares que pandillas.
 
En un local de tortas mexicanas,
en Coatepeque, Guatemala, miré en la tele
un bárbaro documental sobre el Mágico González:
jugando para el mejor Cádiz de la historia
le metió dos goles al Barcelona
el año en que nació mi padre: 1984;
lloré de la emoción.
 
Dos días hasta llegar a la frontera con México;
atravesamos el río y subimos al tren La Bestia
adelante de Tecún, en Ciudad Hidalgo.
 
Antes de Arriaga me quedé dormido
y todavía sigo cayendo.
 
Llevaré para siempre, como el Mágico,
un 11 tatuado en la espalda;
quizá por el número de bolsas en que guardaron,
todo partido, mi cuerpo;
tal vez porque traía puesta la camisa de la Selecta
con la misma cifra o porque la muerte lleva
el 11 infinito de las vías del tren grabado en el vientre.
 
Antes de caer, Pablo me contó este sueño:
 
Veía yo a Roque Dalton levantarse de entre los vivos
y venir de nuevo al mundo de los muertos.
A su diestra, el Mágico González driblaba a la muerte
y le hacía la “culebrita macheteada”
pateando cabezas decapitadas de pandilleros cuscatlecos,
haciéndole tremendo caño entre las piernas.
El estadio Flor Blanca estaba lleno, había un velorio inmenso
donde la muchedumbre velaba a los migrantes muertos.
 
Sé que Dios juega futbol allá en el cielo.
Pero aún no quiero estar en su equipo.
 
Me quedaré esperando en la banca
hasta que me llamen, sonriendo,
mi amigo Pablo y el Mágico González
para jugar con ellos.
 
 
 
 
 
 
16°07’12.1″N 93°48’11.7″W – (Tonalá, Chiapas)
 
Ho 11 anni, ora e per sempre.
 
Sono nato nel Barrio FendeSal in Soyapango,
vicino a San Salvador, ma a me nessuno,
mai, mi ha salvato.
 
Mio padre è stato ucciso dai pandilleros1
della Mara Salvatrucha,
gli tolsero una bibita e uno spicciolo; non aveva altro,
guadagnava tre dollari al giorno alla discarica.
 
Io lo aiutavo a tirare il carretto
e a volte trovavamo del cibo
nei sacchi di rifiuti arrivati da Metrocentro
e tornavamo a casa felici.
 
Sono scappato da Soyapango con Pablo, quindicenne,
il mio amico di strada.
 
Voleva diventare un calciatore come me e giocare
nella Selecta2, saremmo andati nella MLS per tentare fortuna,
per ciò cercammo di arrivare negli Stati Uniti,
dove ci sono più dollari che pandillas3.
 
In un locale messicano,
a Coatepeque, in Guatemala, guardai in TV
un grande documentario sul Mágico González:
giocando nel miglior Cádiz della storia
segnò due gol contro il Barcellona
l’anno di nascita di mio padre: 1984;
piansi per l’emozione.
 
Mancavano due giorni al confine con il Messico;
attraversammo il fiume e salimmo sul treno La Bestia4
dopo Tecún, in Città Hidalgo.
 
Prima di Arriaga mi sono addormentato
e sto ancora cadendo.
 
Mi porterò dietro per sempre, come il Mágico,
un 11 tatuato sulla schiena;
forse per il numero di sacchi in cui custodirono,
tutto spezzato, il mio corpo;
forse perché indossavo la t-shirt della Selecta
con lo stesso numero o perché la morte reca
l’infinito 11 dei binari del treno inciso sul ventre.
 
Prima di cadere, Pablo mi raccontò questo sogno:
 
Ho visto Roque Dalton risorgere tra i vivi
e tornare nel mondo dei morti.
Alla sua destra, il Mágico González dribblava la Morte
e faceva la “culebrita macheteada5
calciando teste decapitate dei pandilleros cuscatlecos,
facendoli un gran tunnel tra le gambe.
Lo stadio Flor Blanca era pieno, c’era un immenso funerale
dove la folla piangeva i migranti morti.
 
So che Dio gioca a calcio lassù in cielo.
Ma non voglio ancora far parte della sua squadra.
 
Aspetterò in panchina
finché non mi chiamino, sorridendo,
il mio amico Pablo e il Mágico González
a giocare con loro.
 
 
 
 

Balam Rodrigo, nato a Villa de Comaltitlán nel 1974, è poeta e narratore. Laureato in Biologia all’UNAM, ha ottenuto un Master in Scienze Biologiche e un diploma in Teologia Pastorale. Ha insegnato bioetica, religioni e tradizioni di morte in Messico e coordinato laboratori di poesia in tutto il Paese. Ha contribuito a diverse pubblicazioni con articoli scientifici, racconti e poesie, vincendo numerosi premi letterari e ottenendo la nomina di Membro del Sistema Nazionale dei Creatori d’Arte (2013-2016). Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue, tra cui francese, inglese, polacco, portoghese e zapoteco.

In questa traduzione vi sono riferimenti culturali e geografici mantenuti in lingua originale per maggior fedeltà al contesto, pur essendo poco noti per i lettori con meno familiarità con la cultura latinoamericana, la terminologia e tecnicismi specifici, con l’accompagnamento delle note, offre un beneficio senza compromettere la natura poetica del lavoro. Il testo nella lingua di arrivo riesce a trasmettere la voce del narratore con fluidità e precisione nelle immagini.

Rocío Bolaños

 
 
 
 
NdT.
 

1  Pandilleros: delinquenti che appartengono a una organizzazione criminale conosciuta come Pandilla o Mara.
2  Selecta: Squadra nazionale di calcio
3  Pandillas: Gruppi di organizzazione criminale
4  La Bestia: Treno merci utilizzato dai migranti che parte dal Chiapas, e attraversa tutto il paese diretto verso il valico di Tijuana
5  Culebrita macheteada: Mossa di calcio