Come mi è capitato di dire qualche giorno fa in un altro articolo (qui) mi è molto difficile parlare della poesia di Silvia Bre. Cercare di trovarne la breccia, la scalfittura che mi permetta di entrare nella sua geografia. Di dirla. Ma come la poetessa stessa afferma dire non è sapere, è l’altra via, / tutta fatale, d’essere. / Questa la geografia.
Silvia Bre in La fine di quest’arte (Einaudi 2015) consegna delle pagine scivolose, precise ma inafferrabili, impietose. Poesie che si allargano al mondo, che lo guardano, che dimostrano la loro capacità di tradurlo ma a riccio si chiudono nella loro esattezza, nella loro oscurità di fondo: E io maledetta che ho scelto / la sua parte, quel buio senza ritegno / in cui cadere, / la fine di quest’arte.
Ma la fine nel mondo, il vero oggetto d’arte della Bre, non è mai conclusione ma compendio, è riassunto conclusivo di sé stesso dove tracciare le linee essenziali di ciò che resta. In una musicalità archetipica dove la parola è oltre la sua ragione d’essere: Questo poema è senza più ragione / sta alla vita come le sta uno sguardo / che nel vedere intende essere là.
La fine di quest’arte resta precisa, inattaccabile e inafferrabile, resta una cosa inelluttabile. Ma resta, ed è cantabile: ora stai lì, difendi / con un amore immenso il tuo veleno.
Si può scavare nella scena del giorno
come l’occhio nel verde
basta un maestro piccolo, una guida
alla volta, uno che è linea di montagna
ramo di salice, lavanda, fatti così
perché lo spazio insegna a conquistare
il cielo dietro e più lontano
è libera pazzia che cerca ancora
e scava in fondo a sé, finché mi avvista.
Se il nostro luogo è dove
il silenzioso guardarsi delle cose
ha bisogno di noi
dire non è sapere, è l’altra via,
tutta fatale, d’essere.
Questa la geografia.
Si sta così nel mondo
pensosi avventurieri dell’umano,
si è la forma
che si forma ciecamente
nel suo dire di sé
per vocazione.
La poca la povera cosa
si mette davanti, s’imposa
come una donna nascosta
in un velo da sposa.
E io maledetta che ho scelto
la sua parte, quel buio senza ritegno
in cui cadere,
la fine di quest’arte.