Il peso del paradiso – Sergio Maria Serraiotto

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Conosco Sergio Serraiotto (Sergio Maria Serraiotto il nome completo) da quando con la Samuele Editore abbiamo pubblicato Il negozio delle lacrime usate. Un libro bello, molto bello di poesia, del 2012. Adesso a distanza di tre anni Sergio si ripropone in edizione Lietocolle con Il peso del paradiso, un’altrettanto convincente prova d’autore che mi dà in qualche modo il la per parlare di una questione spesso spinosa in ambito poetico, ma importante.

Il prefatore del libro, Guido Cupani, così descrive (e giustamente) i versi: Nel suo libro di esordio, Il negozio delle lacrime usate (Samuele Editore, Pordenone 2012), si può già apprezzare una rara capacità di scavalcare il confine fra poetico e quotidiano, senza per questo negare ai versi la necessaria virtù di forma. Serraiotto è per una poesia dell’intelligenza: una poesia che accosta ambiti diversi di esperienza e produce per sfregamento, come la lana sull’ambra, quell’elettricità che fa del testo una cosa viva. La ricerca sul suono e sul linguaggio è secondaria rispetto a questa ricerca sul senso, che riesce così bene da rendere meno necessario il tradizionale apparato meta-testuale. Al centro stanno i versi: puri, immediatamente accessibili. Gli intenti che abbiamo descritto trovano conferma in questo nuovo lavoro di Serraiotto, Il peso del Paradiso: raccolta, fin dal titolo, più corposa e ponderata; frutto evidente di un lavorio incessante su sé stesso: “Fossi morto a vent’anni / non so se ora avrei potuto scrivere / nell’innocenza da braghe corte/ dell’unico amore, / con le stesse parole dove / in ogni verso / vive lo spirito libero dello stupore” (Poeti). È attraverso l’esperienza del “peso” che attingiamo al “Paradiso” dell’innocenza, sembra dirci l’autore. E il contrasto è ravvivato ad ogni pagina: non risolto, ma sfruttato, come si diceva poco fa, per produrre elettricità . Dove l’osservazione chiave è appunto: La ricerca sul suono e sul linguaggio è secondaria rispetto a questa ricerca sul senso, che riesce così bene da rendere meno necessario il tradizionale apparato meta-testuale. Al centro stanno i versi: puri, immediatamente accessibili.

Tale formula dello scrivere è talmente discussa e spesso criticata dai poeti maggiori (o presunti tale) da rendere quasi necessaria una giustificazione, anche al prefatore: Serraiotto è per una poesia dell’intelligenza: una poesia che accosta ambiti diversi di esperienza e produce per sfregamento, come la lana sull’ambra, quell’elettricità che fa del testo una cosa viva. Una poesia dell’intelligenza dove di fatto l’intelligenza è quella dote necessaria alla vita, a sopravvivere alla vita.

Dicevo che i poeti maggiori spesso amano svilire una forma poetica non saldamente ancorata a un bagaglio storico, non rotonda nella sua evoluzione, dando così origine a una (veramente impropria) classificazione degli autori che molto banalmente potremmo così delineare: i poeti laureati ed i poeti istintivi. I primi sono ovviamente quelli che hanno un’imponente background letterario, sono operatori del settore, traduttori, curatori. I secondi sono invece quelle figure non professioniste della parola, non prive di studi e letture ma di certo non al livello dei poeti laureati. Eppure questi sanno spesso e meglio attrarre l’affetto del lettore, sanno creare sintonia, vicinanza. Hanno una loro empatia poetica che si basa appunto su quanto diceva il prefatore: l’intelligenza, l’intelligenza della vita.

Sergio Serraiotto è uno di questi autori non professionisti della parola ma che nel divenire della sua scrittura, e dei confronti che ne sono conseguiti, ha saputo pulire all’essenziale il verso lasciando emergere quanto più di importante ha da dire: un’esperienza. Un’esperienza del vivere agra e pesante che ha come fardello la felicità, il paradiso. Un controsenso che chiama giocoforza in campo l’intelligenza per poter essere compreso, o meglio sostenuto. Perchè la vita è un qualcosa da sostenere, un peso non nostro ma che ci fa stare qui, e che ci da storia (privata, intima, ma anche sociale). Un qualcosa da affrontare, incassandone i segni.

In questo Sergio riesce benissimo a tracciare una linea poetica affascinante, piena, densa e chiara anche quando oleosa, torbida, o come meglio dice lui: Peggio va quando scrivo: / le parole somigliano / al vapore di acqua che bolle, / gorgoglia, / sbuffa e mi rinfaccia cose strane / si chiamano sentimenti.
 
 
 
 

Non parlare

 
Ci sono silenzi
ai quali cedere,
che vanno a cucire
gli strappi del cuore.

Perché,
a differenza di altri,
non sono mancanza del suono.

D’altronde
che rumore possono fare
la comprensione,
il perdono,
l’appartenenza?

 
 
 
 
 
 
No domani

 
Dalla finestra giungono sospiri,
le nuvole appoggiate alle montagne
aspettano che le mogli ritirino i panni
e poi piangono assieme.

La senti vibrare nell’aria,
l’urgenza di un benessere muto.

 
 
 
 
 
 

Rivelazioni

 
Si chiama l’Amante
e insegue il piacere di essere,
come estensione del godimento,
come espressione di se
in un ordine senza disciplina.

C’è un vuoto entro il quale
ogni cosa è possibile,
trasformarsi e vivere.
Accettare che tutto cambi
nel nostro esistere
è un fatto d’impermanenza.

 
 
 
 
 
 

Sofia e la neve

 
Tra indice e pollice
fluisce il mio mondo.
Lo zampillo a punta tonda
incrocia il suo filo d’inchiostro
tracciando parole
sussurrate dagli occhi.

Tra pollice e indice
santifico la memoria
e cullo lo stupore della tua bocca
quando,
sfiorando la neve d’alta montagna,
mi hai chiesto meravigliata:
«Ma papà,
perché è fredda anche d’estate?»

 
 
 
 
 
 

Imperfetta-mente

 
Qui
steso sul letto
ricoperto di foglie di tiglio,
sembro un tronco contorto d’ulivo.

Sotto di me ricci appuntiti
impediscono il riposo,
la carne marcisce al contatto –
una stigmate per ogni menzogna.

Dalle mie estremità
escono rametti di paglia,
dentro sono più vuoto
di uno spaventapasseri.

Dentro – manco di senso.

 
 
 
 
 
 

Tanti auguri

 
Dovrei forse ringraziare questo vuoto felice
che mi fa scrivere versi.
Gli affanni morsicano i piedi
del mio viaggio verso ignota destinazione,
queste ore deluse, buttate in pasto
alla tua predisposizione al pianto.

Per l’ultimo compleanno
hai apparecchiato
lo stesso dolore di ogni sera,
unica differenza – quella candela accesa,
tributo votivo alla mia icona buttata via.

 
 
 
 
 
 

Torna

 
Torna
con il suo odore sospeso
quando la sera scende sola.

Odore forte, di sudore
e d’olio bruciato, di fumo
e osteria. Non d’amore.

L’odore d’amore è un lusso
non contemplato.

 
 
 
 
 
 

Il sacrificio del fiore

 
Dormivi o fingevi
quando mi hai chiamato Amore?

Da così tanto non lo facevi,
dev’essere un caso,
l’ultimo petalo strappato
che recita mi ama
a sacrificio del fiore.

 
 
 
 
 
 

Nano

 
L’intimo tuo sentire
è il quadro incompiuto di tua madre,
nove mesi in lei poi, per ogni respiro
fatto fin ora, una sfumatura.

Di mio la catena di montaggio del viso,
il taglio orientale degli occhi,
le labbra, serie e piene.

Sei il mio eco, come io lo sono stato
di mio padre.
Sapere di cosa sei fatto può aiutarti.
Tutti i tuoi errori
li ho già commessi io.

 
 
 
 
 
 

Monotoni
 
Non prendertela a male.
Lo sai,
i poeti sono monotoni,
vergano risme di carta
sempre con lo stesso cuore,
con la stessa pena,
con la stessa sconfitta.