Invisibile neve – Giancarlo Morinelli


Invisibile neve, Giancarlo Morinelli (Ronzani Editore 20222, collana Lietocolle, prefazione di Claudio Damiani)

Poesia estatica e mistica, alta, quella di Giancarlo Morinelli. Ma al tempo stesso semplice, immediata. Viene da dire una parola: nuova. Colpisce subito la freschezza, la luminosità, viene da pensare ai lirici tedeschi (Holderlin, Trakl) per l’afflato filosofico e al tempo stesso limpido, infantile (il fanciullo Elis e l’onirismo di Trakl), per le immagini luminose, lariche. Ma ci colpisce la sua lingua fresca, spontanea, italianissima, rara in quelli che hanno guardato a quei poeti, incapaci di stare così in alto senza tremare, senza produrre scorie di poetichese, di “pensiero poetante”.

Penso a un poeta mistico del ‘900 non molto più letto ora, ma grande, Arturo Onofri. Non so se Morinelli ne sia cosciente, ma c’è in tutti e due un neo-stilnovismo molto controcorrente, con tanto di donna-angelo salvifica, scala a Dio. E molta filosofia, ovviamente.

Ma, scusate, non c’è la donna angelo, salvifica, anche in Montale? (e un Montale che parla di custodi dell’Eterno sta in epigrafe al libro, insieme a Eraclito l’oscuro e alla mistica Weil).

Ma c’è soprattutto padre Dante, non nello stile, non nella lingua, ma nell’idea del viaggio mistico, dalla cattività verso la liberazione, dall’ignoranza verso la scienza, dalla notte verso la luce, dal visibile (la neve che si scioglie) all’invisibile (la neve che non si scioglie).

Invisibile neve è un viaggio in quattro sezioni, o stazioni, un viaggio “altro” (convien tenere altro viaggio), non sulla terra, in mezzo a luci vane, che non fanno vedere, ma dentro la terra, nel suo buio più intimo, per trovare, nel buio, una piccola luce, come il segno di un’apertura, verso un “altro” cielo.

Si parte da casa, dalle vie intorno casa (il “recinto di ogni giorno”), ma si incontrano subito piccoli esseri alati: passeri, civette, rondini, esseri quotidiani e insieme celesti, reali e insieme simbolici. C’è poi un cielo che non è semplice sfondo, paesaggio, ma un essere vivo che veglia sul viandante. Appare poi un fiore che cresce spontaneo sulla strada, “che vale meno di un tozzo di pane / ma ci commuove / e passa di mano in mano, il piccolo fiore”.

Ecco, siamo qui già al centro, come un’anticipazione, una profezia: c’è qualcosa di piccolo (più avanti si capirà che è invisibile) che “passa di mano in mano”. Come la vita. Come un testimone che riceviamo e passiamo.

È una fiammella (lo vedremo più avanti) che si può vedere solo al buio, e più è piccola, più fa luce.

E siamo alla seconda sezione: Noi andiamo nella notte. Siamo dentro la terra, nell’inferno, nel male, nel fango in cui siamo spinti. Ma “il male / è un tumore inconsapevole / o è un bimbo che distrugge”. Più che le tre fiere e tutti i peccati dell’inferno dantesco, il problema per Morinelli è che c’è, sulla terra, una luce falsa che non fa vedere. Riflettori che falsificano.

Il cammino appena iniziato è stato fatto innumerevoli volte, ognuno lo deve fare (“viaggiatori millenari / ripetono le istruzioni da un passato / che sarà”). Passato e futuro sono la stessa cosa, anzi “il futuro è stato già scritto / con parole più belle”. Non andiamo verso il futuro, ma andiamo contro il tempo.

La via è vita che esce da sé, dal suo recinto, dalla sua scatoletta, e va “nel sempre del mai stato”.

Ed ecco, anche i fantasmi, i nostri, si liberano, non più rinchiusi con noi nella scatola, finalmente li accogliamo. Loro che ci facevano paura, ora non chiedono che “buon vino e preghiere”. Come i nostri cari, i nostri morti.

E anche noi preghiamo.

La preghiera è richiesta di senso, nel senso proprio di direzione, direzione del cammino.

Il viandante va nella notte solo, con solo una “fiammella fioca”, la sua vita. Vita che è dono e insieme atto eroico. Bisogna sopportare “lo strappo dell’ultimo respiro / dalle labbra”.

Il viandante ha vissuto nei sensi, ha ascoltato i fantasmi, ha lasciato liberi i pensieri, e finalmente “ora dallo sgabuzzino in fondo a me / appare un lumicino”. Siamo in fondo alla galleria, come la natural burella di Dante che ci porta a riveder le stelle.

E giungiamo ai piedi di un tempio (un fanum): il recinto non è più il carcere quotidiano, ma è un recinto sacro, come una base di volo (“piove l’incanto ai miei piedi / i colombi si preparano al volo”). I fantasmi sono angeli ora. Compare una campanula bianca (ipomea alba), e comincia a nevicare (penultima stazione: Invisibile neve).

Ora voliamo insieme ad altre presenze, e compare una donna, che “indistinta si affaccia da un pozzo”.

Lui e lei sono uniti in un fiore, come “un puntino impercettibile / nel cielo spalancato”, come un singolo fiocco di neve.

E arriviamo all’ultima stazione, Nel disegno più grande. Qui si affollano visioni: un grande fico alla cui ombra raccogliersi, un “cane scuro”, una “ghirlanda / inesauribile di luce e ombra”, una sposa “dai boccioli luminosi”. E una sorgente inattesa, che “ci disseta e ci dà vita”.

E infine luce, luce, come nel Paradiso di Dante, “luce che si perpetua / nel disegno più grande”.

Il viaggio termina con una specie di ritorno a casa in sogno, ma la casa è in costruzione, o diroccata, un grande gufo azzurro piomba dal cielo

la mano scende sulle piume morbide
traslucide, il gufo si piega docile
e accarezzo la sua ombra
e sono tutt’uno con il cielo azzurro
e sereno

Claudio Damiani

 
 
 
 
Rispondiamo con un gesto che vale
non solo per te ma per sempre
rispondiamo con un fiore
che vale meno di un tozzo di pane
ma ci commuove
e passa di mano in mano, il piccolo fiore,
principio del bene
sul dorso del mare.
 
Resta con me, resta, silenziosa
 
 
 
 
 
 
Nel recinto di ogni giorno
lungamente percorro la via Rivierasca
che risale il Noncello, lo sguardo
costretto tra schermi e briglia…
 
spalancato, il cielo mi guarda.
 
Oltre la gara e l‘ultimo asfalto
nel ratto di sorte tra il martire
e il condannato, il cielo
sempre mi guarda
 
 
 
 
 
 
Ai piedi del fanum
le parole si inabissano tra le radici,
le campane suoneranno presto.
 
Scende il sole nel chiostro selvaggio,
ancora un poco,
ancora un poco la mia ragione
si accorda al motore delle nuvole.
 
Piove l’incanto ai miei piedi
i colombi si preparano al volo
 
 
 
 
 
 
Ogni anno quest’albero spoglio
passa di qua d’estate, si veste
di larghe foglie, così ci raccogliamo
all’ombra del grande fico, un passero merlino
sta frullando già oltre il tetto,
tutti conosciamo il segreto dell’albero
e ogni anno che passa più ci assomigliamo.
 
Guardo lassù, nei cieli immisurabili,
non sappiamo delle forze che tengono assieme
tutte le stelle, del Grande Attrattore
che un tempo prima del tempo ha ordinato
il cielo in filamenti d’oro, prima
di ogni pensiero ha tessuto in un solo filo
le costellazioni della lira
e del centauro con il nostro destino