Il senso di “noi” che si allontana – Luca Nicoletti



 
L’inafferrabile presente, il suo senso negato
il rumore creato con grandissima arte,
l’implosione che segue le deflagrazioni,
lo spirito delle divisioni, degli italici clan
del tutti contro tutti, la frammentazione
dell’atomo oltre le particelle immateriali
dei quark, e degli antiquark, così come gli ipocriti
eufemismi, la globalizzazione, le comunità
virtuali, l’unico villaggio – con la variante
dei tanti stregoni – insomma, il senso di “noi”
che si allontana, e la luna lassù
il suo sguardo ancora comprensivo,
ancora, ma per poco, vicino.
 
 

È una poesia tratta da Il paese nascosto (Pequod, 2019, con prefazione di Giancarlo Pontiggia) di Luca Nicoletti, un autore abbastanza appartato ma dotato di una scrittura e di un pensiero molto precisi e nitidi.

È un tempo di deriva quello che dice Nicoletti, un presente sempre più inafferrabile, «il senso di “noi” che si allontana», ma quella luna alla fine che ci guarda, con uno «sguardo ancora comprensivo», luna che è ancora un mondo, anche se lontano.

Questa poesia anticipa il libro successivo di Nicoletti, Rappresentazione della luna (puntoacapo, 2023) che è tutto sulla luna, come se ci fossimo allontanati e fossimo giunti a lei, alla sua visione, alla sua rappresentazione, e vedessimo il nostro mondo con i suoi occhi. Ma se nel libro precedente si tentava una qualche trascrizione, pur nella frammentarietà e approssimazione degli istanti, e c’erano, seppur labili, paesaggi (e la loro metrica), qui non solo la verità, ma anche la rappresentazione è impossibile. La vita sfugge al setaccio della trascrizione, tutto scorre tra le dita e si disperde. In esergo al libro è la frase di Schopenhauer: «Il mondo è la mia rappresentazione». Qui non rappresentiamo un mondo, ma un mondo, la luna, ci rappresenta, guardandoci col suo sguardo comprensivo, «ancora per poco». E tutto il libro è un allontanamento progressivo, dalla luna (nostra) alle lune di Saturno, come se avessimo perso gravità e andassimo alla deriva nello spazio, «una deriva senza orizzonti». E come nel libro precedente, anche qui, verso la fine, c’è un momento politico: è un «senso collettivo» che abbiamo perso.

è come se l’anima volesse
erigere pareti nella notte
creare un’immagine qualunque
ritrovare quel senso collettivo
disperso nei paesaggi,
nei rivoli pensanti
che hanno attraversato
i nostri anni

(da Rappresentazione della luna, pag. 79)

 
Ma subito passa via, vaghiamo nello spazio, c’è qualcosa, pur nella tragicità, di un «naufragare dolce», è come se non ci fosse più il «paese nascosto» della terra, che era ridotto a memoria, ma quasi un altro paese, o paesaggio, si prefigura.

Claudio Damiani