Federico Garcìa Lorca

 
 

Le insistenti metafore tratte dalla natura sono dovute all’infanzia rurale di Federico Garcìa Lorca (1898-1936, anno in cui fu giustiziato dai falangisti durante la Guerra civile in Spagna). Di madre maestra, avrà sempre un ottimo rapporto con i docenti, che lo prendevano a cuore e lo facevano crescere: nella musica classica e nel folklore, nella letteratura. Avrà modo di conoscere i grandi spiriti del suo tempo, senza smarrire l’originalità (che ruota in torno al binomio amore-morte nella sua poesia) tanto che ancora giovane sarà considerato uno dei maggiori poeti del Novecento. Le poesie sono tratte da Nuda canta la notte per la collana Un secolo di poesia – Corriere della Sera (2012, copyright Passigli 2006) e sono dell’ultimo periodo di Garcìa Lorca, che lascerà molti scritti postumi, dando parecchi grattacapi ai critici per le varianti.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Dell’amore meraviglioso
 
Con tutto il gesso
dei cattivi campi,
eri giunco d’amore, gelsomino bagnato.
 
Con sud e fiamma
dei cattivi cieli,
eri un suono di neve sul petto.
 
E cieli e campi
a stringermi catene nelle mani.
 
E campi e cieli
a straziare le piaghe del mio corpo.
 
 
 
 
 
 
Della rosa
 
La rosa
non cercava l’aurora:
quasi eterna sul ramo,
cercava altra cosa.
 
La rosa
non cercava né scienza né ombra:
cercava altra cosa.
 
La rosa
non cercava la rosa:
immobile nel cielo,
cercava altra cosa.
 
 
 
 
 
 
(Sonetto del dolce lamento)
 
Io ho timore di perdere l’incanto
dei tuoi occhi di statua e l’accento
che di notte mi poggia sulla guancia
la solitaria rosa del tuo fiato.
 
Io soffro d’essere su questa riva
un tronco senza rami; e più m’affligge
il non avere fiori, polpa o argilla,
da dare al verme del mio patimento.
 
Se tu sei il nascosto mio tesoro,
se la mia croce e l’umida mia pena,
se io sono il cane sotto il tuo dominio,
 
non fare che io perda quel che ho avuto
e decora le acque del tuo fiume
con foglie del mio autunno sconquassato.
 
 
 
 
 
 
L’amore dorme nel petto del poeta
 
Tu non capirai mai quanto ti amo
perché riposi in me e sei assopito.
Io ti nascondo piangendo, inseguito
Dal penetrante ferro d’un richiamo.
 
Come astro o carne, norma che si brama
ormai trafigge il mio cuore ferito
e le parole fosche hanno scarnito
le ali del tuo spirito senz’anima.
 
La gente che salta nei giardini
spera il tuo corpo, e la mia agonia
su cavalli di luce e verdi crini.
 
Ma continua a dormire, vita mia,
senti il mio sangue rotto sui violini!
Guarda che ancora ci fanno la spia!