I padri della parola – Tiziano Broggiato


I padri della parola, AA.VV. (Luigi Pellegrini Ediotore, 2022, a cura di Tiziano Broggiato)

È sempre più diffusa e registrata la convinzione che nel mondo culturale italiano vi sia sempre più carenza di maestri, di numi tutelari, di donne e uomini in grado di tracciare una linea, un solco, di creare in qualche misura quell’humus fertile che nei decenni più vivaci del Novecento, per non andare troppo lontano, ha invece contrassegnato in particolare il genere della poesia. Quegli stessi maestri, alcuni di loro in particolare, sono riuniti in un volume collettaneo dal titolo I padri della parola (Luigi Pellegrini Editore) curato da Tiziano Broggiato in cui 17 tra i più affermati poeti e intellettuali del nostro tempo rievocano e chiamano a rapporto quanti hanno spesso generosamente fornito loro strumenti e chiavi di lettura della modernità, un caleidoscopio di stili, visioni, luoghi, influenze, ambienti lungo un vasto arco temporale.

Se ogni identità poetica si nutre della propria origine, magari per poi incanalarsi su altri e più originali alvei di scrittura per farsi originale, è evidente come la sorgente rappresenti un punto di riferimento, un fondamentale viatico che non può essere eluso nel tempo né dimenticato. Così è per tutti, senza distinzioni e può anche accadere, come nel caso di Umberto Piersanti, “figlio” poetico del concittadino urbinate Paolo Volponi, che il rapporto maestro-discepolo finisca per capovolgersi e diventare un rapporto sinallagmatico se vi è però riconoscenza verso coloro che hanno illuminato il cammino, “pena, come sembra avvenire in molti casi oggi, la perdita di identità e di memoria”.

Una relazione intensa, affettuosa, lontana da un’abitudinaria concezione dell’essere maestro è rappresentata anche dall’ambiente familiare come dimostra l’esperienza di Giampiero Neri e del fratello maggiore Giuseppe Pontiggia, con questi a ergersi quale protagonista decisivo nella vita del primo quanto a suggestioni, consigli, letture, frequentazioni.

È un campionario vasto e multiforme quello che Broggiato predispone al lettore lasciando al singolo autore di confessarsi, di delineare la propria crescita professionale spesso segnata e contraddistinta dall’imprimatur di questo o quell’illustre poeta: è il caso, per esempio, di Elio Pagliarani per Gabriella Sica, poetessa che ci dà modo di entrare nel suo mondo con la profondità e la soavità che le sono ben note, per non dire di Vittorio Sereni e del suo entusiasmo e amore per la vita, rievocati con candida malinconia da Maurizio Cucchi il quale ricorda anche gli incontri con il suo primo maestro, Antonio Porta, e a seguire Zanzotto e Giudici.

Mezzo secolo e più di letteratura si affacciano sulla scena in un’unica pubblicazione, tra ricordi personali e collettivi, scorci poetici tratti da questa o quella raccolta e considerazioni emotive, una visione ad ampio spettro, un viaggio affascinante nella parola e tra le parole che hanno “ditto dentro”. Se i maestri conosciuti si configurano come preziose pedine nel mosaico di un’esistenza, di non minor valore sono i nomi che nel corso dei secoli o dei millenni si sono fissati nella memoria di intere generazioni grazie alle loro opere: si pensi a Pascoli e Petrarca, indiscusse figure ancora oggi per Claudio Damiani il quale, “incrociatili” sui banchi di scuola o più tardi, li definisce “maestri in senso totale, come se li avessi conosciuti dunque ancora vivi”.

La frequentazione, inizialmente timida, di Ungaretti è ripresa da Renato Minore che gli dedica gran parte del proprio testo mentre Roberto Mussapi, nell’unica intervista presente nel libro in oggetto, ricorda l’esperienza con Yves Bonnefoy che firmò il saggio introduttivo alla sua prima raccolta in versi.

Elio Pecora ha vissuto una giovinezza poetica fitta di ascendenze e di influenze che spaziano da Leopardi ai lirici latini passando per Pagliarani e Caproni sino alla Cvetaeva e a Borges: “Molti, in realtà, nei miei anni romani mi sono divenuti amici, amici cari e ammirati”, scrive con malcelata emozione. Essere maestri per taluni (è accaduto per i già citati Piersanti e Damiani) ha significato mettere in guardia dai falsi miti, dal successo effimero e, talvolta, anche dalla politica considerata come nemica dell’autonomia di arte e cultura pur se elemento “diabolico” che ha attratto, soprattutto in passato, molti intellettuali.

Per il romagnolo Davide Rondoni due i poli, i “fuochi” come li definisce egli stesso, che lo hanno attratto al suo esordio poetico: da una parte l’accesa e inquieta anima di Giovanni Testori “mediata” da Pasolini e Caproni, dall’altra l’umile sapienza di Mario Luzi, entrambi profondamente coinvolti seppur in forme diverse dal Mistero della Croce.

Una considerazione efficace è lanciata da Gian Mario Villalta che vogliamo riprendere per intero: “Il vero maestro lo devi incontrare e frequentare. Perché il maestro insegna, nel senso più proprio della parola, segna dentro. Lo fa portando conoscenza, questo è certo; però quello che è ancora più importante è una questione di atteggiamento. Riguarda il gesto, il comportamento, la postura, l’espressione – parole da intendersi in tutti i sensi, da quello più immediato, corporeo, a quello più astrattamente mentale e interiore”. Così, nel caso del poeta friulano, oltre a Zanzotto sono da citare amici, talvolta anche più giovani di lui, o professori di università come Emilio Mattioli che in qualche modo hanno avuto un rilievo nella sua esperienza e nella sua crescita.

Avere l’onore di condividere un tratto di vita con uno dei massimi protagonisti della letteratura del Novecento è un’esperienza rara che può essere raccontata con dovizia di particolari da Alberto Bertoni, legato da “amicizia poetica” a Giovanni Giudici, e da Franco Buffoni nei confronti di Sereni.

Per altri, prendiamo Giuseppe Conte, il maestro è “colui che ti svela il tuo destino”: ed ecco dunque Adonis, ma anche Calvino, Citati, Anceschi, uomini che hanno inciso nella formazione del poeta ligure. Va a “quanti mi hanno nutrita con le loro poesie” il ringraziamento di Vivian Lamarque, e il riferimento è a quelle personalità che indirettamente ne hanno instradato la produzione. “Appartengo – scrive Giancarlo Pontiggia – a una generazione che non ha avuto – e forse non ha voluto – padri, avvertendo fin dal primo istante il dramma di questo distacco, e forse pagandone più di ogni altra le conseguenze”. La sofferta esperienza di Roberto Carifi è stata fondamentale per Loretto Rafanelli così come Raboni per l’ambito letterario e anche sentimentale di Patrizia Valduga: “È stato il solo ad essere maestro anche a poeti più vecchi di lui, e un maestro che non ha mai fatto sfoggio di maestria, sempre onesto e sempre coraggioso, e quindi sempre pieno di nemici…).

Frequentare i padri della parola che hanno inciso a fuoco vivo nella letteratura è vita aumentata, pietra angolare per saper costruire, con perizia e attenzione, una propria identità nel futuro come i 17 protagonisti summenzionati hanno testimoniato affrontando, con sincera, candida bellezza, il loro passato e il loro presente.

Federico Migliorati

 
 
 
 
o memoria con meco t’incammini,
lo sparso accordi e riconformi il fratto
 
(Andrea Zanzotto)
 
 
 
 
 
 
Ma più importa che la gente cammini in allegria
che corra al fiume la città e un gabbiano
avventuratosi sin qua si sfogli
in un lampo di candore.
Guidami tu, stella variabile, finché puoi…
 
(Vittorio Sereni)
 
 
 
 
 
 
Vittorio Sereni ballava benissimo
Con sua moglie e non solo.
Era una questione di nodo alla cravatta
E di piega data al pantalone,
Perché quella era l’educazione
Dell’ufficiale di fanteria,
Autorevole e all’occorrenza duro
In famiglia e sul lavoro,
Coi sottoposti da proteggere
E l’obbedienza da ricevere
Assoluta: “È un ordine!”,
Riconoscendo i pari con cui stabilire
Rapporti di alleanza o assidua
Belligeranza.
Ordinando per collane la propria libreria.
 
(Maurizio Cucchi)
 
 
 
 
 
 
“Siamo in tanti a farmi schifo”
e si sollevava alto a dirlo Elio
lì per strada irruento
a una stupita ultraventenne.
Siamo in tanti sul podio dell’ego
a lasciarmi stranita
ciascuno ornato di un fiocco colorato
e occhiali da miope capovolti
a suonare trombette e clacson
a fare molto chiasso per niente.
 
(Gabriella Sica)