Gutta cavat, Cinzia della Ciana (Edizioni Helicon, 2021, postfazione di Alessio Zanichelli).
È il suono uno degli elementi caratterizzanti la nuova, vibrante e intensa raccolta poetica di Cinzia Della Ciana abitata, in forma di stanze e movimenti, dai quattro elementi naturali: aria, acqua, terra, fuoco. La musica, connaturata all’esperienza professionale della poetessa e scrittrice toscana, è al tempo stesso ambito precipuo che dà alimento e forma al verso e cornice nella quale esso risulta inserito. Colta e versatile, attenta a un dire sempre efficace e profondo, la scrittura di Della Ciana, caratterizzata da una forte ritmicità, risente di un antico e classico modo di porsi nel versante culturale, mitopoietico e attuale, carico di plurimi significativi, orientato, come “Gutta cavat” cioè la goccia che scava la pietra, a permeare il lettore di una sofisticata conoscenza dell’esistenza e del mondo. Tutto nelle sue elaborate composizioni è pathos, è sguardo sagace (“come fosse il principio dell’evento”), è concezione e costrutto che recepisce sapienza di metrica e di melodia, è sprezzatura e discorso evocativo in una miscela di prosa e poesia. “Il pensiero fa i grumi” recita l’incipit di una sua lirica dedicata al padre, ma in lei l’espressività muove su un terreno di ampio respiro, raccoglie e sedimenta i retroterra di un mondo vasto, adornato di bellezza e di stile. E la musica, lieta e costante gioia che abita il lettore di questa raccolta, conduce a esplorare con un registro lessicale elevato, aulico raffinato, ma lontano da ogni leziosità, gli scorci di territorio di fremente bellezza, le vaste propaggini di una coscienza feconda, “le spigolature di stagione”, il flusso dei ricordi che trasmigrano e trasumanano in una imperitura memoria (“la morte – del resto – ama la vita”), gli ancestrali richiami e l’alta poesia (“rivendicata”) che sgorga naturale, la sferzante osservazione sui bigotti/folli quali inutili “meteore”. La parola, in questa poetessa dalla poliedrica formazione, viene levigata, lavorata a fondo e con cura per rivelarsi nella sua nudità, contenuto spontaneo e luminoso e altresì omaggio deferente ad alcuni Maestri che nel volume ricevono devoto omaggio. Ciò che conta, alfine, per noi, “tutti gente di mare”, è la “peregrina curiosità” che mai deve difettarci.
Federico Migliorati
C’era una volta
Sono le pieghe dei miei anni
carezze e rughe – le mie rose,
cera e velluto avvolte pose,
l’amore per la vita nato
dalla morte. Posso scrivere
versi più tristi questa notte
per ogni petalo che cade
sorride il quadro che rimane
la chiave e il vortice di anime
che non potranno confessarsi
rosse neppure al capezzale
Nel vento
E penso che il vento
sia anche sulla luna
se voce di cosmo
raspa roca e lunga
di scorza e di crosta
su terre alte e valli
smosse come canne
d’organo in Abruzzo.
Qui non fischia né urla
corrente in deserto
qui s’ammucchia e smura
gelida acqua picchia
è sasso che raso
fianco il monte striscia
l’eco blu del tempo
salta il fosso e il lampo:
inquieta chi non l’ode
bastona chi nol guarda.
Qui
è vento
poeta.
L’autunno serve
La finestra è rimasta aperta
tutta notte scrosciava l’acqua.
Poi l’alba intorno, ma nel dentro
il sole pieno di tramonto.
non c’erano celesti o rosa
solo passione rossa d’ocra.
C’erano fiori di ruggine
chine le mani al pavimento.
Sono uscita col colore che vola
nel bosco mi ha punto le ciglia
quel che non cade e non si piglia.
Una fiaba di gnomi con i funghi
sparuti richiami e nascosti canti.
L’autunno serve
a capire quanto la morte
ama la vita.