Ex madre – Francesca Del Moro


Ex madre, Francesca Del Moro (Arcipelago Itaca, 2022)

Arricchito dai contributi critici di Rosaria Lo Russo e Luigi Carotenuto, e da due opere di Loredana Catania, Ex madre di Francesca Del Moro è un pugno dritto nello stomaco delle emozioni. Il dolore della perdita è vivo, consapevole della propria esistenza. Un canzoniere ininterrotto che scopre la propria ferita interna, ancora sanguinante. La morte di un figlio è pure la morte di una madre. Del Moro non ha paura. Non si nasconde dietro l’atroce sofferenza, piuttosto, affronta la verità delle cose con occhi nudi. «Io piangerò di nuovo / e tu mi prenderai in giro / e poi mi parlerai dell’infinito, / dell’esistere oltre il mondo materiale. / Racconterai la favola bella / che nessuno veramente muore / e io crederò, sì crederò / alla luce nei tuoi occhi, / alla carezza della tua voce».

Una favola che vorremmo sentircela raccontare all’infinito, per dire di volare sopra il cielo. Là dove lo sguardo non arriva nemmeno nei giorni di luce più tersa, là dove non giunge nemmeno il pianto, là dove si forma la saetta, dove l’azzurro si fonde con il buio e il gelo profondo dello spazio infinito forma immense distese di bianco.

Tra le pagine, il tempo scorre in una dimensione sconosciuta dove le ore solcano i bisogni pieni di tristezza, soffocati dal peso dei silenzi, esplosioni limpide in un’anima sospesa. Nessuno sguardo implorante, solo tantissima dignità. Ogni verso verrebbe voglia di legarselo al dito come una fede di cotone.

«Mi dicono il tempo / calmerà il dolore /ma io non voglio / perché il tempo che scorre / lo allontana, lo trattengono / questi morsi in tutto il corpo, / questi morsi sono ancora lui».

Benedire anche il dolore, perché è quello che davvero resta, l’unico a tenerci la mano nelle sere senza luna. Dolore come nutrimento, dolore come cura. Ex madre è un testo che chiede di essere letto in religioso silenzio, come una preghiera.

«Alto nel cielo nero, / di fianco al portone, / ogni mattina / un occhio di stella / solitario mi sorveglia […]» – per dire in un’altra – «Stamani non ho visto / la luna piena / e nemmeno la stella. / Il tempo allontana, / guarisce, cancella […]».

La sofferenza si fa parola, la parola si fa verso e non muta in nessun’altra cosa, ma resta costante nel suo punto di partenza. Non vacilla nemmeno un po’. C’è densità umana e nessuna rigidezza nel verbo. Tutto si trova nella sua esatta collocazione, nulla è lasciato al caso: non il dolore di una madre, né quello di un figlio che ha scelto di andarsene.

A tutti noi lettori, viene fatto un immenso dono, che è quello della verità. Verità mai del tutto scontata, ma che in Ex madre avvolge anche il più piccolo sussulto trascritto su carta.

Patrizia Baglione

 
 
 
 
Ho stretto l’urna contro il ventre,
pesava pressappoco come allora.
Un figlio lo contieni sempre
e ogni minuto io contengo,
ogni minuto sento dentro
mio figlio che muore,
mio figlio che decide di morire.
 
 
 
 
 
 
Se fossi certa
di ritrovarlo al di là
di questo ruvido grigio
dove esercito l’occhio
a cadere a precipizio
tra i passi consueti
sceglierei un piano alto
e gli correrei incontro
con la stessa felicità
con cui lo riabbracciavo
alla fine di ogni giorno.
 
 
 
 
 
 
Alla fermata della corriera,
sul bordo della strada,
sono solo una sagoma,
protetta dal buio della sera
e dai rumori delle auto,
dei camion di passaggio.
Posso piangere ora,
posso urlare, guardare
i fanali sfrecciare, capire
che basterebbe qualche passo
tra questo e la fine.