È invece questo buio troppo umano – Antonio Fiori


 
Piazza Stazione
 
Magnificente sull’archivolto estremo
il suo orologio segna strane ore
approssimate al tempo, ch’è mistero
 
Se chiudi gli occhi vedi le carrozze
ferme nel sole coi cavalli chini
i taxi neri, le palme e quei bambini
dentro una luce che non ha confine
 
Ma se li apri la piazza ti tradisce
deserta solo come i giorni tristi
– i rari arrivi ed i ricordi vinti
inducono al sonno che finisce
 
 
 
 
 
 
Il buio
 
Ritornasse il buio delle origini
senza luminescenze artificiali
quando di notte dava le vertigini
temere che non finisse mai.
Era ogni cosa cosa senza nome
foglia, sorgente, nuvola, animale
non esisteva alcun dove o come
solo la fame, il sesso, il riposare.
È invece questo buio troppo umano
– di manufatti e strane compagnie
di luci e rumori d’aeroplano –
a metterci paura del domani.
 
 
 
 
 
 
Calligrafia
 
Vaticini da un nome scritto male
o da una frase letta con la lente
da un altro angolo visuale:
perizia che può decidere destini.
E non ti serve usare la stampante
– scrivere solo in digitale –
hai dentro la tua calligrafia
sarai scoperto da un perito del virtuale
che riuscirà ad attribuire la poesia.
 
da Nel verso ancora da scrivere di Antonio Fiori (Manni, 2018, vincitrice di una sezione del Premio Montano)
 
 

La scrittura di Antonio Fiori si misura sovente, e segnatamente nelle tre composizioni da noi selezionate e apparse nella raccolta Nel verso ancora da scrivere (Manni, 2018, vincitrice di una sezione del Premio Montano), con il senso e la misura del tempo, elemento talvolta esiziale, sempre paradigma di un costrutto, sigillo attorno a cui ruota il pensiero e il farsi di un verso. Ci accostiamo dunque ad un autore in costante ascolto “del rumore continuo della vita”, per dirla con Carlo Cassola, che accoglie in sé lo sgualcirsi dell’età di fronte al quale ecco svelarsi (o rivelarsi) lo stupore, l’incanto, lo smarrimento: fenomeni, emozioni, stati d’animo di cui l’epoca che abitiamo, con la sua frenesìa indefessa, sembra averci inopinatamente privato mantenendoli pressoché immutati solo nel cuore di un fanciullo. Nella prima poesia lo scrittore di origini sarde interagisce direttamente con il proprio passato, in quel mondo popolato di fischi di treni e di stazioni “consegnatogli” dal padre ferroviere: egli osserva, con sofferenza, ciò che non è più pur essendo ancora, come i pochi mezzi che, strattonandosi tra carrozze, giungono mestamente per raccogliere passeggeri. Iconica in particolare l’immagine delle “carrozze ferme nel sole coi cavalli chini” che sembra all’improvviso ricollegarsi, per altra arte, agli stilemi tipici dei Macchiaioli, con quella fissità abbacinante di pochi, decisivi elementi in uno scatto che cattura e blocca il tempo. C’è un’aria rarefatta, un’atmosfera di attesa e di malinconia insieme in questi pochi, ma incisivi versi che narrano un universo disperso e scomparso salvo che nella memoria che non tradisce. Tuttavia, di fronte a ciò che è rimasto, anche il sonno-sogno si conclude, è destinato a segnare presto una cesura di fronte a un presente che fa strame di un’antica, leggera bellezza. È ancora il candore primigenio a connotare anche la seconda composizione dove, più che nella prima, assistiamo allo sbigottimento tra la modernità che procede senza sosta e il lontano passato, con la prima che funge da alimento, da linfa della paura verso un destino inconoscibile e ingestibile poiché temuto. Negli endecasillabi che si alternano con una certa eleganza stilistica Fiori saggia le proprie qualità poetiche offrendo il destro a una riflessione sul progresso che non è fonte naturaliter di felicità, semmai di perdita di un rapporto intimo e simbiotico con la natura. Si palesa quasi una personificazione del buio (“troppo umano”), costellato da quegli elementi del nostro tempo che lo rendono temibile e ne eliminano il fascino. In “Calligrafia” tutto si gioca sul valore e sul ruolo dell’identità che, ad onta delle diavolerie tecnologiche moderne, non può essere occultata. Siamo figli delle nostre azioni e, pertanto, anche della nostra scrittura per quanto in quest’arte si palesino nomi altrui o di fantasia: il Fiori “grafologo” dà con questi versi significativo risalto al senso di sé contro ogni maldestro tentativo di dismettere per i più svariati motivi la propria personalità dietro artifizi virtuali-digitali. Un piccolo gioiello da leggere e rileggere.

Federico Migliorati