Breviario del tempo. Le stagioni del cuore – a cura di Vincenzo Guarracino


Breviario del tempo. Le stagioni del cuore (Di Felice Edizioni, 2023, a cura di Vincenzo Guarracino).

Il tempo meteorologico e quello interiore, il tempo ricevuto e quello che doniamo, il tempo fuggente e quello sospeso: la poesia da sempre ha introiettato l’elemento-fattore “tempo” come un cardine, implicito o esplicito attorno a cui nel corso dei secoli ha prodotto un universo di parole. Su di esso si affrontano i passaggi dell’esistenza, le grandi sfide dell’umanità, il corrompersi o lo svilupparsi della civiltà. Con Breviario del tempo. Le stagioni dell’amore (Di Felice Edizioni, Collana Il Gabbiere), l’ampia miscellanea che contiene versi per gran parte inediti di poeti viventi insieme a pietre miliari del genere (Pascoli, Carducci, Poliziano, Pavese), il critico letterario nonché curatore Vincenzo Guarracino rende giustizia al lemma che si espande e si restringe in un periodare dedicato al trascorrere delle stagioni e dei mesi.

Sono riuniti nel volume circa un centinaio di scrittori in versi i quali, al di là dello stile, del linguaggio, delle scelte lessicali personali affondano la loro percezione in un viaggio dentro sé e attorno a sé. Dalle introspezioni nella quotidianità osservata e colta nel trascolorare della vita ai risvolti etici, filosofici, ideologici che la modernità comporta, i poeti trovano un filo comune, un minimo comune denominatore nella funzione strumentale del tempo, assunto a oggetto, a convitato di pietra di tutto.

La scelta accurata del curatore consente di passare in rassegna un caleidoscopio di vicende umane, di considerazioni, tra candore e rimpianto, slanci vitali e disincanto in un affollarsi di immagini, di icone: la disperazione («altra vita non ho che questo inferno», dichiara Francesca Farina) o forse l’assenza di punti fermi, di prospettive certe («non c’è nessuna mappa sul cammino», scrive Raffaele Floris, mentre Francesco Belluomini sottolinea la «quieta agitata resa» e per Elisabetta Pigliapoco «l’occhio s’offusca d’amarezza») sono mitigate dall’inverno “scelto” da Vincenzo Cozzoli che ricorre all’infinito per sussumere la propria Weltanschauung («ritrovare riguadagnare restituire» che diventa però «stagione del tracollo» in Mario Rondi) in una perenne osmosi tra uomo e natura, tra tempo e vita.

Si ricorre a una terminologia originale nell’accedere alla scoperta di una nuova stagione: di «ore bambine» parla Eleonora Bellini riferendosi all’estate nelle cui notti Lidia Sella scruta «la carovana di stelle» che segna la cesura tra la luce e l’oscurità.

Ad essere spesso al centro del variegato poetare, che qua e là cede il passo alla prosa, è proprio la natura con il suo turbine di movimenti, mutazioni, sconvolgimenti a stupire l’osservatore: così avviene in Umberto Piersanti che recupera la memoria, parola a lui cara tanto da farne il titolo di un librino recensito proprio in Laboratori Poesia, di un passato irredento e ci ricorda che «io passo solo nella stagione che risorge».

Metafore, allitterazioni, ossimori, rime, similitudini, metonimìe giuocano un ruolo, insieme ad altre figure retoriche e alla presenza di endecasillabi ricercati, in questa raccolta in cui si stagliano anche miti e figure leggendarie e che respira d’eterno con accorate suppliche alla divinità: si prenda, ad esempio, Adele Desideri che cerca il Signore consapevole che «hai una sola chance (…) l’Amore che resiste nell’eternità» e che «porterà ancora luce, grazia, lievità». L’ars poetica, dalla «bocca rosata» (espressione di Valeria Di Felice), assume dunque il valore di una personale epifania di moti dell’animo, di partecipate condivisioni di un sentire di un’umanità spesso fiaccata, ma pronta, come nella Ginestra leopardiana, ad affrontare il periglioso cammino con lucidità e intelligenza: Paolo Polvani va oltre e si pone in attesa dell’altro con un efficace verso («remo con la letizia che dà l’ascolto»).

Nell’esplorazione del tempo, in una spesso affannosa rincorsa di un margine che ci protegga dall’erosione dell’età, alcuni poeti ricorrono al proprio dialetto per enucleare la precipua visione, si prenda ad esempio Giovanni Tesio, più volte presente tra le pagine, con il suo vernacolo piemontese che dà la misura di una concezione alta e profonda dell’esistenza e similmente in Pavese di cui è ripreso un passaggio da Lavorare stanca in cui il silenzio «stilla una pena antica». Un cupio dissolvi sembra attanagliare alcune delle produzioni letterarie come per Rosalba Le Favi che cita il «sogno finito» che ogni estate porta via con sé. Maria Antonietta Viero, infine, immagina, nell’autunno indolente e nella sua proteiforme voce di prosa-poesia, «le pareti che avvolgono come tante braccia il venuto, richiusa la porta alle spalle e le imposte». Ed è lo stesso anelito che molti poeti affidano alla scrittura in versi, vivente di fascinazione e in grado, come sosteneva Leopardi, di aggiungere un filo alla tela brevissima della nostra esistenza.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Oggi vorrei che un po’ del tuo giardino
potesse sconfinare qui. L’estate
rovente ha il sole asciutto delle lacrime,
il guano dei piccioni nei solai.
A nulla è valso giugno, il suo destino
di luce, di begonie germogliate
nei vasi; non c’è sera che consacri
l’incauto singhiozzare dei rosai.
Non c’è nessuna mappa sul cammino
dei giorni, che rovinano a folate
presaghe di burrasche. È nei lavacri
del pianto che si sciolgono i nevai.
 
(Raffaele Floris)
 
 
 
 
 
 
È questa la stagione del tracollo
quando manca il fiato, il pensiero
difetta, la speranza si spegne,
 
ma canta il piccolo Torcicollo
nelle stanze del vento, mattiniero
inseguendo beffardo le insegne
 
della vita felice tra le danze
di dame che piangono nelle stanze
 
(Mario Rondi)
 
 
 
 
 
 
Fili d’erba gialla
scolorano il giardino.
Del prato ogni resistenza
vana al passo consueto
che lo abita.
 
“novembre ti sarà lieve
se conservi il tepore del giorno”
 
Ma dentro s’alza
un vento impercettibile
come quello che alla sera
agita i bambini
e li fa piangere
 
(Elisabetta Pigliapoco)