BONUS, la satira moderna di Andri Snær Magnason
Credo che la prima sensazione che ho provato leggendo i testi contenuti nella raccolta del poeta islandese Magnason sia da assimilare all’intirizzimento dovuto al troppo tempo passato vicino ai banchi frigo, cercando di capire cosa mi convenisse comperare per cena. Da un lato la necessità, dall’altro un fastidio montante per l’orrore di un vuoto troppo pieno.
Le corsie, poco preferenziali, di questo mercato ci dicono molto dell’assenza di logica che sottende le nostre decisioni di consumatori. Anzi, ormai anche il termine “consumatore” è passato, forse rimasto attaccato a quello di Postmoderno, scivolato via con quello nel grande calderone degli –ismi a buon prezzo. Non siamo più nemmeno consumatori, piuttosto accumulatori, riempitori: di carrelli, di scansie, di mensole, di pendrive, di hard disk. Se non c’è logica che guidi l’acquisto, l’acquisto non è tale ma è una perdita, un sacrificio forse, un’ecatombe di cose, ecco, della quale purtroppo alcun dio ne godrà.
I frammenti della raccolta sono brevi fosfeni nel buio di senso che fa da sostrato al testo. Ne catologo alcuni, alla rinfusa, anch’io seguendo lo spaesamento del rabdomante moderno che cerca l’acqua tra le molte merci esposte e colorate.
Di qualità superiore, come certi prodotti pubblicizzati col marchio apposito, è la riproposizione del Giovenale della satira x che indicava le passioni della plebe nel pane e nei giochi circensi. Magnason lo rivede nella sua FM 95.7, rinnovando quel bisogno in questo, moderno, che ottiene l’avallo dei media e una moltiplicazione di apparente senso dovuto al premio finale di una raccolta punti; si eleva dunque al quadrato il bisogno di un gioco che si perpetua nella fame di cose.
La provocazione è che la poesia stessa è riducibile a cosa, vendibile a basso prezzo – anzi, diciamolo, in offerta – negli scaffali del supermercato. È questo in ultimo che conta: l’offerta intesa come prezzo vantaggioso per un prodotto recepito di buona qualità, di qualità sufficiente. La poesia di Magnason è sufficiente e vende (si parla di 23mila copie vendute tra un pacco di pannolini, una confezione di birre, una latta di fagioli).
L’ironia di molte scene è innegabile. Tra le tante, cito Piano di salvataggio, che allude alla onnipresenza dei residui degli acquisti IKEA, come le chiavi a brugola vero resto dopo il montaggio dei mobili; oppure SS – Società dei macelli del Sud, dove il poeta pare alludere ad una nuova forma di soluzione finale diretta verso un obiettivo d’antonomasia: la suocera.
Mentre, come un mantra, il poeta ridice i nomi delle persone parte della filiera che dall’impianto del seme ha portato la mela ad essere esposta nello scaffale e quindi acquistabile, notevoli sono i brevi ritratti di alcune coppie intente a condividere la comunione della spesa: i loro scarni dialoghi fanno da correlativi oggettivi di frustrazioni per niente mitigate dall’abbondanza della merce.
Che questa merce venda è merito non già della necessità o del bisogno, ma della capacità e forza proprie della pubblicità, capace di modificare i nostri comportamenti – soprattutto in fase di acquisto – e i nostri pensieri fino a renderli convinzioni, certezze: l’acquisto al mercato si mostra come esito ultimo del connubio malato tra verità e marketing. È in questo “luogo a meno” che anche la poesia, sembra dirci con fare sardonico Magnason/Dante, potrà trovare la propria resurrezione o la propria dannazione.
Alberto Trentin