Amarti è gesto lineare – Damiana De Gennaro


 
 
quando ha svegliato in me
la ballerina,
è subito fuggita
con le stelle chiuse nelle mani
 
sono rimasta nell’eco dove l’aria
si frantuma tra i polmoni –
 
cos’è questa danza a cielo spento
che ferisce con i fiori
e costringe a camminare?
 
 
 
 
 
 
quando lei hai detto di te
narcisista
ho visto, lungo il tuo collo,
intrecciarsi quel fiore…
 
poi le ho sorriso,
pensando che sì –
il tuo difetto più brutto,
porta – pur sempre –
il nome di un fiore.
 
 
 
 
 
 
踊り子 – odoriko
 
quando sulla porta
dici abbracciami
piove tutta l’aria che le corde
non sanno far vibrare
 
le spine si riassorbono
in una strana morbidezza,
come quella che respira, appena nata,
negli occhi delle madri –
 
quando dici abbracciami
amarti è gesto lineare:
il salto della ballerina
dalla gabbia del torace.
 
 
(Damiana De Gennaro, Aspettare la rugiada, Raffaelli, 2017)
 
 
 
 

Questi testi di Damiana De Gennaro trattano con straordinaria delicatezza il tema sentimentale, intrecciando la partecipazione emotiva allo stupore della scoperta dell’altro, in una raffigurazione simbolica di particolare efficacia espressiva, venata di una sensazione di struggimento commosso che viene trasfigurata agli elementi circostanti. Considerata la formazione dell’autrice, che ha approfondito la letteratura e poesia giapponese, si potrebbe azzardare una affinità con il sentimento del mono no aware, un particolare “sentimento di partecipata commozione verso le cose”, caratteristica dell’estetica giapponese (includendo nel novero delle “cose” anche gli esseri viventi, e umani, in particolare, con i loro vizi e le loro qualità), che indubbiamente la De Gennaro conosce bene, insieme ad altri accorgimenti formali, come ad esempio il kire, taglio, o kire-tsuzuki, “taglio continuo”.

Il primo testo rappresenta il coinvolgimento amoroso come qualcosa che “ha svegliato in me / la ballerina”: un risveglio, dunque, una sorta di rinascita seguita immediatamente da una fuga, “con le stelle chiuse nelle mani”. L’io del testo resta “nell’eco dove l’aria / si frantuma tra i polmoni”, preda della domanda che chiude il componimento, interrogandosi sulla natura di “questa danza … che ferisce con i fiori / e costringe a camminare”; la “ballerina” (che dà il nome anche al terzo testo) rivela il proprio dinamismo, sconosciuto fino a quel momento, capace di una bellezza dolorosa che impone di essere seguita, in un movimento che intreccia piacere e sofferenza.

La presenza simbolica dei fiori, che rievocano al contempo l’impermanenza della bellezza e il valore prezioso dell’istante, torna nel secondo testo, in cui un difetto doloroso della persona amata viene associato (pur etimologicamente) al narciso, che si intreccia “lungo il tuo collo” come fosse l’incarnazione di quell’imperfezione, che ingenera un sorriso (“il tuo difetto più brutto, / porta – pur sempre – / il nome di un fiore”): una bellezza “imperfetta, impermanente ed incompleta” che non provoca un desiderio di allontanamento o di giudizio, ma viene accolta e partecipata con slancio autentico, puro.

Il testo conclusivo conferma questa attitudine di accoglimento verso la bellezza imperfetta dell’esistere, la “danza” di quella ballerina da seguire senza opporsi, “quando sulla porta / dici abbracciami”: in quel momento l’aria che nei primi versi era percepita dolorosamente come sintomo di un’assenza, diventa qui pioggia capace di dire l’inesprimibile, “tutta l’aria che le corde / non sanno far vibrare”, riassorbendo l’afflizione della mancanza “in una strana morbidezza”. Il paragone successivo con gli “occhi delle madri” non fa che confermare il parallelismo tra l’insorgere di un sentimento e un’esperienza di rinascita: l’amore di questi versi è “gesto lineare”, privo di strutturazioni intellettive o di particolari arabeschi del pensiero, coerente, in questo, con il migliore spirito orientale, che indica costantemente la priorità del gesto naturale su una dialettica elaborata, che non fa che deformare l’esperienza del vero e del mondo.

La De Gennaro conclude così con “il salto della ballerina / dalla gabbia del torace”, evidenziando allo stesso tempo lo slancio verso l’altro, la prigione che rappresenta un sentire involuto esclusivamente nel sé, e l’inevitabile sofferenza, pur desiderata e capace di svelare una commozione più grande, del donare e del donarsi, attraverso l’immagine di questo nuovo sentimento che, danzando fuori dal petto, deve necessariamente lacerarlo.

Mario Famularo