È stato tutto ciò che uno non si immagina di uno svizzero. È stato estroso, fulminante. In una riga disegnava un mondo. In un’altra distruggeva un mondo, sempre con ironia. Ma disegnava mondi anche in più righe.
Museo del silenzio (Stiullermuseum, Interlinea, in edizione in 777 copie) è una lettura affascinante, anche perché, com’è ovvio, corre su un doppio binario. È come avere un amico scintillante, che ti ruba la scena. Ecco, Werner Lutz (1930-2016) probabilmente rubava la scena agli svizzeri contenti di essere svizzeri. Scrive nell’introduzione Karl Pestalozzi: “Le fonti d’ispirazione di Werner Lutz zampillano, infatti, da ciò che è vicino, accanto, dal quotidiano, perfino da ciò che è ordinario, ma quasi sempre da ciò che è concreto. Tutto questo non circonda lui solo e non viene incontro solamente al poeta, ma può essere condiviso assieme a lui da chiunque legga le sue poesie. Non poche di esse si possono leggere come risposta alla domanda del Faust di Goethe: “Siamo noi un gioco di ogni colpo di vento?”.
Ha scritto Werner Lutz: “Perdersi nel fulgore di un minuto / farsi ingannare dagli inganni / perdersi tra incontri insperati / contare sui cambiamenti / che vanno e vengono fra i vetri delle finestre / cedere agli stati d’animo / lunatici insopportabili giocherelloni / credere al rosa antico di un cielo serale / a una luminosità che lentamente si disperde / fidarsi delle affinità / ma anche delle solitudini / permettersi sentimenti più amari che dolci.”
Pierangela Rossi
Piantato il ciliegio
e costruita la panca
per la mia ragazza
ho sedotto il desiderio
quel merlo
che altrimenti canta in altri giardini
al ruscello il gattino del salice fa le fusa
i muri
sono intonacati dal sole
e i miei pensieri rivestiti leggeri
dormono nell’erba
Salita discesa
ondulata regione collinosa
ondulato crepuscolo
e tutt’intorno occhi verde-stelo
nessun luccichio nessun entusiasmo
un incedere lungo il pendio ombreggiato
dai toni chiari a quelli più scuri
Righe di pioggia
oblique tenere costanti
come passi lenti
oblique tenere costanti
che mi attraversano
di quando in quando
strano
che la lontananza danzi così intimamente
con la vicinanza
Un diritto dell’uomo
Raccogliere luce
Anche luce invernale
L’officina impolverata
l’incompleto orologio solare
sfoglia i giorni
in alto sopra il tetto migrano gli storni
scendono giù pensieri
buie scale di cantina
il cielo non mi fa da ristoro
anch’io cado dormendo
la mia gioia dalle pareti sottili
costruita attorno a me
una debole impalcatura
temo il vento