Vuoto frontale, Sabrina Amadori (Capire Edizioni 2020).
Cosa significa parlare di vuoto? D’altra parte Sabrina Amadori, già dal titolo del volume, ci mette di fronte a un dato di fatto: un vuoto frontale, inequivocabile.
Se c’è un vuoto deve esserci stato qualcosa prima, qualcosa di grande. Ne consegue una riflessione poetica sulla mancanza e sul dolore che, come sappiamo, è una forza anche fisica: “il cuore che perde, aggrappa la parete/ tutto questo restare”.
Il libro è diviso in tre piccole sezioni da cui emergono elementi chiave, parole intorno a cui l’autrice costruisce una semantica della mancanza.
Silenzio, inverno, corpo, il silenzio degli alberi che insegna a invecchiare. Soprattutto nella prima parte del libro il silenzio è una pietra, un macigno ma anche un luogo nuovo, inaspettato, da cui ricominciare a valutare le questioni intorno alla vita.
Se “il corpo è una stanza vuota”, il cuore è una casa intera, lasciata vuota. Eppure da questa mancanza l’autrice trae anche il grande significato: il dolore è vivo, respira, è una forza smisurata che costruisce nuove possibilità di senso, occhi nuovi. E così anche ciò che ci circonda assume forme inedite o semplicemente il dolore è una possibilità attraverso la quale si riesce a focalizzare meglio: “l’uomo che mi respira accanto/ ha un fiume negli occhi/ la bocca nel pianto”.
E quindi la forza di questo libro sta proprio qui: non è il vuoto che insegna e neanche il dolore. È la possibilità di aprirsi al tutto, respirare, fare tesoro della ferita, imparare di nuovo a guardare la luce, imparare a restare.
Melania Panico
Ad ogni passo sentiamo
divenire la terra
e noi animati ed eterni
nel silenzio dell’ombra
mentre fuori, ancora
ogni cosa ripete
e non resta che il corpo
la linea gialla
il getto della folla
che si riversa negli occhi.
Tutto occupa una posizione
anche la sera che si ricompone
nel silenzio degli oggetti.
Torniamo in tutte quelle cose
obbligate a prendere un posto,
l’ombra della casa
come misura del passo
che lascia aperta la strada
confine del corpo
che si abitua a perdere.
Gli occhi sono pareti
vetri, fiumi spezzati
si resta appesi a un urlo
il cuore luce e tempesta
dall’altra parte è tutta foresta.