Farràgine
whisky che gronda, come colla istantanea o ambra da un fusto
accoltellato, risali la mia gola impavido, come Enea dall’Ade
nasturzi immortali di brandy, grappa, armagnac, vesou, cognac,
rum, cachaça, thibarine, slivoviz, malibù in un cocktail esotico
che io comprenda l’avestico, se occorre
la mia anima quale triste, mistica parola interpreta?
s’inauguri il viaggio: bastimenti, ahi! I Nettunalia son compiuti.
Che meravigliose polene…
un sorso ed è fatta; sono nel fiore degli anni
Tin Tin, fa il bicchierino di gin…
da Farràgine a Varieazioni, un libro amato odiato che in rete ha provocato lodi e discussioni (talune anche aspre), ma anche un Festival che ha visto partecipare grandi artisti e poeti come Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Gian Mario Villalta e Luigia Sorrentino. Un’interdisciplinarietà tra arte e poesia che si presagisce già in questi versi. Considerando che “i colori della vanità sono tenui / come sfumature pastello, / ma basta prendere appunti”, qual è quindi il tuo rapporto tra le due forme espressive?
Alessandro Canzian
Ho sempre amato il disegno – anche se nel tempo ho finito per prediligere la scrittura come forma espressiva – e l’arte contemporanea mi ha insegnato a cercare una nuova dimensione estetica al di là dei concetti precostituiti e dei canoni universalmente riconosciuti. La poesia beneficia molto di questa lezione, così come l’arte del pensiero emotivo e della riflessione necessarie per la ricerca poetica. Dopotutto entrambe le forme artistiche sottendono al concetto di percezione visiva: non a caso si parla di visione del mondo sia in poesia che nelle arti figurative. Poi un giorno, lo scorso ottobre, sono entrato in un Iperbriko e, mentre passeggiavo nel reparto destinato all’utensileria, il mio sguardo è caduto su una lastra di alluminio mandorlato, di quelle che si usano per le rampe di scale antincendio. Mi sono fermato a osservarla, a saggiarne la levigatezza con le mani. E mi è sorta dentro la necessità di trasferire quelle sensazioni su tela, per attraversare l’esperienza della creazione. Nata in un periodo di isolamento fisico e sociale, la mia personale passione per la pittura è maturata e si evoluta in maniera graduale ma costante, e io amo pensarla come un ritorno ai sistemi di scrittura primordiale, ovvero pittografica; come un mezzo di espressione non verbale o, in certi casi, paraverbale. Allo stesso modo amo interpretare l’arte in chiave nominale, come racconto dell’arte. Esercitare il mio sguardo e il mio pensiero critico sulle opere altrui, parlare con gli artisti, studiarli, imparare dai loro punti di vista, non mi basta più. Devo sperimentare con le mie mani per comprendere davvero cosa si nasconde dietro l’ideale visivo, il che non fa che aumentare la mia capacità immaginativa.
Marco Amore