Una domanda al poeta: Eugenio Lucrezi

foto di Enzo Longobardi

 
 
 
 
Tu non ci sei riuscita. Ed io neppure
per un istante ci ho provato a muovere
la liana inestricata degli abbracci.
Non c’è vita nei corpi, la speranza
avidamente si nutre di digiuni.
Se socchiudi la porta, sento i cardini
lamentarsi di notte degli spifferi.
Invece dell’intrico, avrei gradito
battere insieme a te la prateria.
Non ci siamo riuscite. Così sia.
 
 
 
 

In questi versi parli di un’impossibilità della relazione tra le persone. Un digiuno. Gli abbracci sono liana inestricata. La metafora appare terribile, se vera. È proprio così?

Alessandro Canzian

 
 
 
 

Il testo che qui si legge è l’ultimo di un poemetto tripartito intitolato Mater, secuta es, te sequor, mater, presente in Bamboo Blues, nottetempo 2018. Ripercorre, immaginandola, la relazione tra una madre e una figlia molto vicine anagraficamente; entrambe se le figura nello struggimento d’affetti tanto potenti quanto irrisolti. L’impossibilità della relazione viene sancita dalla morte, precoce, della madre. La sanzione autorizza l’intervento del testimone, che è l’autore del testo: compianto funebre e insieme lamento d’amore. La figlia, la sopravvivente, dice che l’abbraccio, difficilissimo tra vivi, è più facile tra vivi e morti; ancora di più, tra morti e morti.

Eugenio Lucrezi