Michele Paoletti intervista i figli di Claribel Alegría. Traduzione di Zingonia Zingone.
Maya Flakoll Alegría – primogenita
Mi piacerebbe iniziare questa breve intervista con un ricordo di Claribel Alegrìa. Qual era il rapporto che avevate, che madre era?
Mia madre è stata una madre meravigliosa e piena di immaginazione.
Non ho ali / né piume sul mio corpo / ma posso volare / quando affiora una poesia. Come viveva il suo rapporto con la scrittura? Condivideva con voi i momenti di lavorazione di un libro, vi leggeva qualche poesia su cui stava lavorando o preferiva mettervi di fronte ad un’opera compiuta?
Discutevamo insieme e parlavamo delle sue poesie prima che fossero finite.
Mi vuole raccontare qualcosa del prezioso rapporto tra sua madre e suo padre Darwin – Bud – Flakoll anche lui scrittore?
L’amore tra mia madre e mio padre fu amore a prima vista e sempre si adorarono.
I vostri genitori nel corso della loro vita strinsero rapporti di amicizia con numerose personalità letterarie di tutto il mondo. Immagino il fermento culturale che si respirava nella vostra casa. Come vivevate questo vivo clima intellettuale quando eravate ragazzi?
Per noi figli era tutto come un gioco.
La raccolta Voci è considerata il testamento poetico di Claribel Alegrìa. Ad un certo punto scrive vi lascio una scala/ traballante / incompiuta/ con qualche scalino rotto/ alcuni marci / e più di uno / intero. Qual era il suo rapporto con la morte?
Non aveva nessuna paura.
Qual’è per lei il libro che più rappresenta sua madre?
Il libro che sicuramente la rappresenta di più è Luisa en el Pais de la Realidad.
Karen Flakoll Alegría
“La mia Regalona” (Una persona che ama essere abbracciata e coccolata – ndt), così mi chiamava quando ero piccola. Io ero la sua cocca e con il passare degli anni è stata lei a diventare la mia cocca; io ero la sua e lei la mia. Con questo credo di aver già detto tutto.
Abbiamo sempre avuto un rapporto profondo. Io le potevo parlare di tutto, delle mie angosce, delle mie gioie, dei miei timori, dei miei amori. Mi ascoltava sempre e dava consigli senza mai essere invadente. Però se si accorgeva che qualcuno mi faceva del male, mi difendeva come un toro. Penso che fu così con tutti noi.
In una delle nostre conversazioni mi disse “Tu, regalona mia, sei come un salice che a volte si piega ma non si spezza mai“. Quest’affermazione mi scosse molto e mi riempì di fiducia per andare avanti nella vita. Avrò avuto circa 15 anni e non me ne scorderò mai.
Era tenera e a volte chiedeva: “vieni a darmi un bacio!” senza girarci troppo intorno.
Quando abitavamo a Parigi e io avevo circa 12 anni, ci portava a vedere i musei, a teatro, al cinema, a visitare le cattedrali e i monumenti, e portava ciascuno di noi separatamente affinché fosse sempre un’occasione speciale. In verità, all’epoca mi stufavo abbastanza ma adesso mi accorgo che fu un gran regalo.
È stata una madre meravigliosa. Riempiva la casa di gioia (Alegría). Non si dimenticava mai ad esempio de “il Giorno degli Innocenti” (usanza centroamericana di fare scherzi il giorno della Ricorrenza dei Santi Innocenti, simili al nostro pesce d’aprile – ndt) e sempre, ma sempre, cadevamo nel suo tranello. Anche quando abitavamo lontano da lei, quel giorno ci telefonava. Era birichina.
Tutti sapevamo che quando scriveva non bisognava interromperla, o meglio detto, non bisognava interromperli, né mio padre né mia madre. Come non potevamo interrompere la loro “Martini Hour”, quando si riunivano la sera per condividere ciò che avevano scritto o fatto durante il giorno. Era una comunione quotidiana tra loro due, dopo però ci sedevamo tutti insieme a cenare, e ogni settimana uno di noi introduceva un tema che poteva essere di letteratura, scienza, storia o qualunque altra cosa e si discuteva insieme, si scambiavano opinioni e così imparavamo sempre qualcosa. Una volta a settimana ci toccava anche preparare la cena e nostro fratello lavava i piatti.
Mamma non ci leggeva mai quello che stava scrivendo se non dopo un periodo di necessario “riposo” del testo e la critica inesorabile di papà, ce lo leggeva quando era realmente soddisfatta di ciò che aveva scritto. Io amavo ascoltarla leggere le poesie. Mi incantavano le sue parole, il suo ritmo, le espressioni del suo volto quando le arrivavano i versi.
Siamo cresciuti circondati da celebrità, che per noi non lo erano, ma più avanti nella vita ci siamo resi conto di chi fossero. Erano come degli zii o zie, o compagni di gioco. Mi ricordo ad esempio il gigante Julio Cortázar, sdraiato per lungo a terra che giocava alle macchinine con mio fratello; Mario Benedetti che ai miei 15 anni mi consolava dopo la mia prima delusione amorosa; della gelosia di mia sorella Maya perché pensava che Carlos Fuetes fosse innamorato di mia madre; una sera squillò il telefono e la mia sorella gemella Patricia rispose, era Mario Vargas Llosa che chiamava per annunciare ai miei genitori che si sarebbe sposato con Patricia, e mia sorella che aveva 13 anni ed era innamorata di lui ha quasi avuto un infarto perché pensava che si trattasse di lei! Mario veniva spesso a casa nostra per rilassarsi prima di andare al lavoro. E così tanti altri: Eduardo ed Helena Galeano, Adoum, e la lista è enorme. Così fu la nostra adolescenza. Ve lo immaginate? Circondati da tutti loro e per noi era la cosa più normale del mondo, per lo meno per me. È stato proprio un grandissimo regalo.
Mamma non aveva assolutamente nessuna paura della morte però amava la vita. A volte parlavamo dell’aldilà. Ciò che lei voleva era ricongiungersi con mio padre, il suo unico grande amore. Mi diceva che magari si sarebbero uniti come due atomi di luce… Le sue ultime parole rivolte a me sono state “Figlia mia, quando ci rivedremo?“
Per me i versi che più la rappresentano, sono:
Tutti quelli che amo
sono in te
e tu in tutto quello che amo
Ma anche
Non ce la fa con me
la tristezza
la trascino verso la vita
ed evapora.
Comunque è difficile perché ce ne sono così tanti… come anche è difficile dire quale libro la rappresenti di più. Per me ce n’è uno che è davvero molto importante, è Saudade.
Patricia Flakoll Alegría
Ho avuto la fortuna immensa di trascorre gli ultimi 14 anni di mia madre con lei. A separarci era qualche casa lungo lo stesso marciapiede.
Averla avuta come madre, amica e complice è il regalo più gigantesco che un figlio possa mai chiedere.
Di quando ero bambina non ricordo che ci abbia mai preparato la colazione prima che andassimo a scuola, né che ci abbia stirato le divise; non sapeva cucire e cucinava maluccio, ma adorava conversare.
Ha inculcato in me la curiosità, il desiderio di vedere sempre in prima persona le cose che accadono nel mondo, di guardare il frullo delle ali di un colibrì senza distogliere la vista.
Quando abitavamo a Parigi, nel ’63, ogni weekend lo dedicava a uno dei suoi figli (uno alla volta) e ci portava dove volevamo. Mi ha insegnato ad amare il teatro e l’Opera, e ogni volta che era in scena una pièce di Chejov andavamo a vederla insieme a teatro, soprattutto quando l’attore era Sacha Pitoëff!! Poi commentavamo insieme, lei mi ascoltava con attenzione, ma a me interessava sempre molto di più ascoltare lei.
Parlavamo di moltissime cose, soprattutto in questi ultimi anni. Le potevo dire tutto. Parlavamo di cose serie ma anche di quelle frivole, e ridevamo molto.
Per me è stata una fonte di luce, d’ispirazione, di vita, di gioia e di amore assoluto.
Scrivere per lei era tutto. Quando una poesia affiorava in lei, entrava nel suo altro mondo, a volte si alzava dal suo tavolino in giardino mentre c’erano gli amici e si rinchiudeva nel suo studio a scrivere quello che “le era arrivato”. Soffriva spesso d’insonnia alla ricerca di una sola parola che voleva cambiare in una poesia che stava scrivendo.
Aveva una disciplina feroce. Nessuno si poteva avvicinare al suo studio prima delle 5 del pomeriggio, quando apriva la sua porta con il sorriso e le labbra dipinte di rosso pronta per accogliere con amore e allegria i suoi amici che arrivavano per sorseggiare del rhum con lei in giardino. “Che meraviglia che sei venuto tesoro!”
Certe volte mi leggeva qualche poesia finita ma non ancora pero “ripulita” e la commentavamo insieme. Adoravo quei momenti di grande intimità.
Non scriveva mai una poesia sul computer, sempre a mano con una penna in un quaderno senza righe, il suo “vivaio”.
Quando morì papà nessuno di noi pensava che ce la facesse a sopravvivere. Fu la poesia a salvarla.
Il rapporto tra i miei genitori era insolito. Su questo penso che mio fratello abbia fatto la migliore descrizione di quella relazione inestimabile che li univa e che noi figli abbiamo avuto il privilegio di vedere da vicino durante tutta la loro vita di coppia, e anche dopo la morte di Daddy. È rimasto sempre presente. Cito Erik:
“Ciò che dico sempre e sostengo è che i miei genitori sono stati un cattivo esempio per noi. Non ho mai visto una coppia simile: coniugavano amore e indipendenza, rispetto e approvazione, facevano programmi ma conoscevano la rinuncia, si battevano per ciò che consideravano sacro senza tregua o compromessi, accettavano le debolezze altrui con rispetto e comprensione e le sfide con forza e speranza.”
Un giorno un giornalista domandò a mio padre – Bud – “Beh, dato che lei è del Nord America e ha girato tutto il mondo e adesso vive in Nicaragua da così tanti anni, dove sono le sue radici?”
“Le mie radici sono in Claribel” rispose lui.
La nostra infanzia e adolescenza è stata perfetta, abbiamo viaggiato e conosciuto amici che all’epoca non ci rendevamo conto che avrebbero significato tanto per il mondo della letteratura, pittura, scultura… erano semplicemente presenti nelle nostre vite.
Julio Cortázar, Mario Benedetti, Carlos Fuentes, Mario Vargas Llosa, Miguel Ángel Asturias, Tito Monterrosa, e tantissimi altri arrivavano spesso a casa nostra, senza tralasciare il gigante Robert Graves qualche anno dopo.
Ricordo Julio buttato per terra a giocare alle macchinine con mio fratello. Ricordo la mia gemella Karen seduta sulle mie spalle che si metteva il cappotto di Julio, mentre Maya si metteva quello della moglie Aurora che era piccolina… e uscivamo fuori a giocare facendo finta di essere “Julio e Aurora”. Eravamo tutte e tre assolutamente innamorate di alcuni di questi amici, Maya di Carlos Fuentes, Karen di Julio Cortázar e io di Mario Vargas Llosa.
Le conversazioni a volte erano serie ma altre volte frivole e divertenti, e me le porterò sempre dentro.
Claribel fu sempre impegnata seriamente a favore del popolo e soprattutto dei poveri.
Quando ero piccola ci portava alla mensa di fronte a casa sua, “La casona” nel Salvador, affinché vedessimo da vicino che cosa voleva dire essere poveri. Famiglie intere che abitavano in uno spazio minimo. Dopo un po’ avevamo fatto amicizia con i bambini che vivevano lì e giocavamo insieme.
Con il trionfo della Rivoluzione Sandinista i miei andarono a Managua e per 3 o 4 mesi intervistarono moltissima gente, contadini, donne, comandanti e gente del popolo. Da quelle interviste è nato il libro intitolato La revolución sandinista.
Claribel insisteva nel dire che lei non scriveva poesie politiche, scriveva per la gente poesie molto intense come “La Mujer del rio sumpul” o “The American Way of death”. Era orgogliosa dei suoi popoli, del loro coraggio e della dignità. E soffriva per loro.
Come ho detto prima, ho avuto la fortuna enorme di aver passato gli ultimi 14 anni di vita di mia madre abitando a 5 case dalla sua nel quartiere di Los Robles a Managua. Lei e io parlavamo molto della morte, lei la evocava molto, soprattutto negli ultimi anni. Non le faceva per niente paura. La incuriosiva molto. “Come sarà figlia mia?” mi domandava, “forse come un atomo di luce?”
Aveva paura, una volta giunta dall’altro lato, di non riconoscere la voce di mio padre, o siccome era distratta, di andare dal lato opposto.
Insisteva dicendo che non voleva che si piangesse la sua morte, al contrario voleva una celebrazione allegra per la vita così straordinaria che aveva avuto, con amici, i familiari che la adoravano… non abbandonò fino all’ultimo la sua passione di scrivere.
Mi parlava alzando lo sguardo verso gli alberi che amava e dopo un sospiro mi guardava e diceva “Però se non piangi per lo meno un pochino… ti vengo a tirare le gambe!” e scoppiava a ridere con la sua risata così bella e sonora che non dimenticherò mai!
Tutti e 4 noi figli siamo riusciti ad arrivare la notte prima della sua dipartita e ha parlato con ciascuno di noi, uno alla volta. La mattina dopo, alle 8.30, con gli occhi già chiusi, era bellissima e sorridente; mi sono sdraiata al suo fianco e prima del suo ultimo respiro le ho sussurrato all’orecchio: “ricordati che lì c’è Daddy che ti aspetta, non devi fare altro che seguire la luce che ti manda“. Pochi secondi dopo è stato il suo rantolo finale. Si dice che sentano tutto fino a dieci minuti dopo…
Per la veglia e il funerale voleva allegria e musica… e sono venuti i cantanti Luis Enrique Mejía Godoy e Norma Elena e hanno cantato divinamente. Poi Gioconda Belli, Blanca Castellón, Michelle Najlis e altri hanno letto le sue poesie con affetto e molta emozione. Nella chiesa di Santo Domingo è stata fatta una preghiera e una danza bellissima.
L’abbiamo sistemata nel cimitero accanto a papà e quando se n’erano andati via tutti, mio fratello ha tirato fuori del rhum Flor de Caña, come aveva chiesto lei “non vi dimenticate il roncito”, e noi 4 abbiamo brindato e abbiamo fatto cadere qualche goccia su di loro. José Felix e Cornelio i suoi fedeli amici, l’autista e il giardiniere che le volevano un bene dell’anima, hanno sparso la terra sulle urne, sulla piccola scatola luminosa dove sono di nuovo insieme.
In quanto alle sue poesie, penso che tutte la rappresentino. Molte volte le fu chiesto di scrivere le sue memorie e lei rispondeva “l’ho già fatto, è tutto nelle mie poesie”. Ed è vero. Comunque in questi versi è riflesso tutto il suo splendore:
Non ce la fa con me
la tristezza
la trascino verso la vita
ed evapora.
Per quanto riguarda i libri io direi che sono Saudade e, sicuramente, Amore senza fine.
Discorso di Erik Flakoll Alegría in occasione della consegna del Premio Camaiore Internazionale 2016 a sua madre Claribel Alegría
È piccolina
ha i capelli neri
occhi marroni
e labbra rosse,
le piacciono le collane e i bracciali
il suo profumo preferito è Shalimar
e adora il whisky…
Questa è Claribel Alegría, come l’ha descritta sua nipote quando aveva sei anni e io trovo che questo sia, tra tutti i ritratti di mia madre che mi è capitato di leggere, quello più perfetto. Ciò che il ritratto non dice però è che Claribel, nonostante sia alta un metro e mezzo, è una grandissima donna. Fin da piccola sapeva chi era e che cosa voleva diventare. Devo dire che è riuscita a fare tutto quello che aveva sognato ma è altrettanto vero che non è stato facile, le costò parecchio ma lei è una che non molla mai, e infatti continua ancora oggi a scrivere.
Claribel è nata in Nicaragua e cresciuta in El Salvador. Suo padre, Daniel, era nicaraguense, di origini contadine, cocciuto, tenace e combattente. Ha studiato sotto la luce dei lampioni fino a conseguire una laurea in medicina e tutta la vita ebbe uno spiccato senso di giustizia sociale. Era un acerrimo anti-Somozista; lottò per una società più equa e non fece mai pagare la parcella ai poveri. Sua madre Ana María, invece, apparteneva all’alta società salvadoregna. Ebbe un’educazione squisita tanto da parlare il francese bene come lo spagnolo! Era dotata di una sensibilità unica e i suoi autori preferiti erano San Giovanni della Croce e Sor Juana Inés de la Cruz. Era una credente devota e una donna raffinata, e a modo suo anche lei lottò contro le ingiustizie sociali.
Mia madre ha ereditato tutte queste caratteristiche: la sensibilità, lo spirito di lotta, la cocciutaggine, il misticismo; insomma, tutto ciò che esce fuori mescolando un contadino rivoluzionario nicaraguense con un’aristocratica intellettuale salvadoregna.
Claribel è nata quasi un secolo fa e uno dei primi ricordi d’infanzia fu il massacro dei contadini di El Salvador ordinato dal dittatore Maximiliano Hernández nel 1932. Lei aveva più o meno 8 anni e quello la segnò per sempre.
Una particolarità di mia madre è che fu da sempre femminista, non per l’educazione ricevuta, né per una qualche rivendicazione o moda, ma perché lo portava nel sangue. Ci sono due aneddoti in particolare che Claribel racconta, uno dei quali si riferisce all’epoca della sua prima comunione. Lei sapeva che soltanto le donne sposate potevano avere figli e lei voleva avere figli ma non si voleva sposare. Le avevano anche detto che al momento di prendere l’ostia, qualunque cosa lei avesse chiesto con fede, le sarebbe stata concessa. Dunque, quando arrivò il momento della comunione, prima di trangugiare l’ostia, chiuse gli occhi e con tutte le sue forze disse: “Gesù Bambino, ascoltami bene: io mi sposerò perché mi dicono che così devo fare se voglio avere dei figli, e ne vorrei parecchi, ma una volta che io ne avrò a sufficienza, voglio che mio marito muoia e mi lasci in pace.”
C’è poi un altro episodio che la descrive a pennello: quando i suoi genitori annunciarono a Clara Isabel (questo era il suo nome di battesimo) che sarebbe venuto a trovarli nel paesino di Santa Ana il “grande filosofo messicano” José Vasconcelos, che era stato Ministro di Cultura del governo di Emiliano Zapata. Quando mia madre sentì suonare il campanello corse ad aprire la porta e, terribilmente delusa, disse: “Ahhhh… mi avevano detto che lei era un gigante ma non arriva nemmeno all’altezza di mio padre”. Da quel momento in poi divennero molto amici e mia madre non faceva che recitare per lui poesie, alcune addirittura scritte da lei. “Io so che diventerai una poetessa, cara bambina“, le disse Vasconcelos, “però il nome Clara Isabel è più un nome da badessa che da poetessa. Credo che sia più adatto il nome Claribel”. Da quel momento in poi cambiò il suo nome in Claribel e così firmò la sua prima raccolta, Anillo de Silencio, che pubblicò nel 1948.
Qualche anno dopo, quando era adolescente, lesse Lettere a un giovane poeta di Rilke e ne rimase tanto colpita da non riuscire più a dormire. Lo lesse due volte la stessa notte e così capì, senza ombra di dubbio, che il suo destino era quello di diventare poeta; qualunque fosse il prezzo da pagare, lei sapeva che non avrebbe potuto vivere senza scrivere.
Nel paese di Santa Ana all’epoca, essere una poetessa voleva dire essere una donna leggera, volatile e con i grilli per la testa. Suo padre la guardava con preoccupazione, mentre sua madre la appoggiava. Mio nonno le presentava dei pretendenti benestanti che lei rifiutava e non li voleva più rivedere. In quella società chiusa e maschilista lei era destinata a marcire, e lo sapeva, voleva andare via, girare il mondo, studiare, vivere. Un giorno, quando aveva 17 o 18 anni, suo padre la sorprese che piangeva e le domandò che cosa avesse. “È da un po’ di tempo che prego che tu muoia perché è l’unico modo che ho per andare via da questo inferno” gli disse lei. Allora Daniel Alegría capì e pochi giorni dopo arrivò a casa con un passaporto nuovo e una penna stilografica. “Usala bene figlia mia, questa sarà la tua spada. Ecco il tuo passaporto, io so che non tornerai più”, le disse. E così fu.
Claribel partì per gli Stati Uniti e mentre frequentava l’università conobbe due persone che le trasformarono la vita. La prima fu Juan Ramón Jiménez, il poeta premio Nobel spagnolo, esiliato a Washington in seguito alla sua opposizione al regime di Franco. Lui la accettò come pupilla e, secondo quanto riferito da mia madre, era molto esigente e non elogiò mai nessuno dei suoi componimenti, anzi diventava sempre più esigente fino a quando, un bel giorno, le mise in mano un libro con le poesie che lui stesso aveva selezionato, cioè le migliori poesie che lei aveva scritto durante il suo lungo tirocinio. Così è nato Anillo de Silencio, che è sempre attuale e fondamentale per comprendere Claribel.
L’altra persona che conobbe fu Bud, Bud Flakoll, mio padre. Bud e Claribel ebbero quattro figli e per fortuna Bud non è morto subito, come lei aveva chiesto a Dio il giorno della sua prima comunione, anzi trascorsero 48 anni felicemente sposati, viaggiando il mondo, e insieme scrissero vari romanzi. Furono una coppia complice e combattente. Non riesco ad immaginare l’uno senza l’altro. A noi ci adorarono, ci tirarono su dandoci tutto, però furono bravi a custodire anche il loro spazio vitale: ogni giorno dopo il lavoro, verso le 6 di sera, avevano la loro “Martini Hour”, un rito sacro per la coppia al quale i figli non erano ammessi, un momento in cui si raccontavano tutto e parlavano di quello che avevano scritto o letto, e in quel modo rafforzavano sempre di più quell’amore che non li abbandonò mai e li tenne sempre uniti nei momenti buoni e in quelli avversi. In Nicaragua li chiamavano “Claribud” e la loro casa è rimasta famosa per gli incontri che avvenivano dopo le 6 di sera, dove mai sono mancati il rhum, la gente interessante, gli amici. Mi sembra che ogni anno la gente che viene a visitare mia madre sia sempre più giovane, il che mi riempie di gioia perché lei è una donna vitale che sa trasmettere la sua joie de vivre.
Il primo libro pubblicato da “Caribud” fu New Voices of Latin America, nel 1956, un’antologia in spagnolo e inglese di alcuni scrittori latinoamericani all’epoca quasi sconosciuti, che dopo sono diventati i fondatori del “Boom Latinoamericano”. Dalle amicizie di quel periodo deriva il fatto che casa nostra fosse sempre frequentata da persone interessantissime e colte come Julio Cortázar, Mario Benedetti, Juan Rulfo, Mario Vargas Llosa, Carlos Fuentes e tanti altri. Crescere in quell’ambiente è stata la migliore formazione che noi figli potessimo ricevere.
Gli scritti dei miei genitori sono tantissimi, dai romanzi di testimonianza scritti insieme, ai racconti, le novelle e soprattutto le poesie di Claribel. Se non erro lei ha un totale di 48 titoli pubblicati. Il riconoscimento e la fama come poetessa arrivarono piuttosto tardi nella vita di mia madre, quando era già matura per riceverli con umiltà. Posso affermare che dei tanti gli omaggi che le hanno fatto e dei premi che ha ricevuto, questo premio che oggi ritiro per lei le è particolarmente caro.
La poesia, che per lei fu sempre il cardine, la cosa più importante di tutte, all’inizio era lirica e incentrata sull’autoconoscenza, sull’esplorazione e la scoperta dell’io. Dopo divenne un po’ più cinica e scarna, con un senso dell’umorismo nero e acuto, anche se continuava la sua ricerca personale; prese a scrutarsi nello specchio, ad attraversare i ponti e a strapparsi via le maschere. Nel periodo di Parigi e Mallorca, ci fu anche la rivoluzione cubana, il che la segnò. Provava dolore per la sua gente e iniziò per lei un periodo di impegno sociale, anche se fece attenzione a non compromettere la sua poesia con forme panflettistiche. È stato proprio in quel periodo che lei e mio padre iniziarono a scrivere i romanzi di testimonianza per appoggiare le rivoluzioni latinoamericane.
Comunque, l’evoluzione poetica di mia madre non si fermò lì. C’è un libro che per me è fondamentale, si chiama Umbrales. È un itinerario limpido, a volo d’uccello, attraverso la storia che le era capitato di vivere, nel quale si erige a testimone spietata dei suoi tempi. Questo libro segna l’inizio di una nuova fase in cui prende le distanze da sé stessa per guardare oltre l’io.
In quel periodo morì mio padre e il vuoto che lasciò fu enorme. Io non pensavo che Claribel riuscisse a sopravvivere a lungo questa perdita, ma lei iniziò a scrivere sulla morte e l’amore/l’amato. Fu la volta di Saudade e Soltando amarras, due raccolte commuoventi e mistiche, che senza ombra di dubbio la aiutarono a elaborare il lutto. La poesia la salvò dalla depressione e dal suicidio. E una volta che riuscì ad arginare il suo dolore, la sua poesia entrò in una tappa mitologica. In Mitos y delitos da voce ad alcuni personaggi mitici con una tale empatia che li riporta in vita ma con delle storie un po’ modificate, cioè raccontate in forma più intima e vicina.
Poi scrisse Otredad (Alterità) in cui Claribel tornò a mettersi in discussione, a ricercare sé stessa, ma con un’ottica da donna matura che conosce il mondo, senza sentimentalismi, brutalmente sincera, cosciente del fatto che si avvicina al tramonto della sua vita.
Infine, ecco che è arrivato questo libro, Voces che rappresenta un altro salto nel tragitto poetico di Claribel. Torna a prendere le distanze dal suo io, che è sempre lì in agguato, e raggiunge una sintonia di comunicazione con altre forme di vita che popolano il nostro universo. Presta a loro la sua voce, come nel caso della tartaruga che non può disfarsi del suo guscio per ballare nuda in mezzo all’erba, o del granchio eremita che è condannato a scrivere messaggi indecifrabili sulla sabbia che il mare poi cancella. Voces / Voci è stato tradotto magistralmente dalla nostra cara amica Zingonia, che più volte ha sorseggiato con noi del rhum nella nostra terrazza a Managua, e ci ha aperto le porte di questa Italia così bella ed effervescente, tanto amata ed ammirata da mia madre. Zingonia, a nome di mia madre ti ringrazio per aver tradotto questo libro con Marina Benedetto, anche lei una nostra cara amica, che ringrazio ugualmente per il suo contribuito.
Non posso non menzionare Alessandro Canzian e la sua casa editrice, la Samuele Editore, per aver avuto il coraggio e la disposizione a pubblicare questa raccolta di poesie in tempi così difficili per l’editoria e in particolare per questo genere letterario. A Canzian il nostro più sentito grazie e l’augurio di continuare questo lavoro così prezioso e che questo premio possa dare credito ai meriti della Samuele Editore, affinché questa cresca e si sviluppi sempre di più.
Desidero infine ringraziare il presidente Francesco Belluomini, i membri della giuria e gli organizzatori del Premio Camaiore per questo riconoscimento alla carriera letteraria di mia madre, Claribel Alegría.
Dal Nicaragua Claribel vi saluta e vi ringrazia e ribadisce che questo premio occupa un posto ineguagliabile nel suo cuore. Mi ha detto molte volte che se dovesse rinascere, vorrebbe essere italiana e magari una pittrice del Rinascimento. I suoi viaggi in Italia le hanno sempre lasciato acceso il desiderio di ritornare. Qui, in questo paese, ha degli amici e delle amiche insostituibili, e vi assicuro che se non fosse per motivi di salute sarebbe qui a celebrare con noi questo avvenimento così meraviglioso.
Claribel continua ancora a scrivere e da poco ha finito un poema epico di una sessantina di pagine che non oso nemmeno descrivere ma che definitivamente rappresenta un ulteriore salto nella sua lunga carriera. Da casa sua a Managua vi manda saluti, baci e abbracci e vi dice che continuerà a scrivere e non smetterà mai di farlo, perché semplicemente non ci riesce!
Questa sera, dalla sua terrazza brinda con noi alzando il suo bicchierino di rhum. Ha lo sguardo rivolto verso l’Italia e la sua gente, che lei adora.
Grazie.