Sto componendo una poesia.
La griglia delle stecche suggerisce,
lei, non me,
un da farsi
nell’afasia della luce che inveisce.
Io non sono niente.
Pozione ammorbidente
lei, ce ne fosse…
Mente che mente. Trovata!
Sto componendo una poesia.
Trovata,
trovata,
trovata…
Rarefaccio.
Immancabile immedicabile sale come il virus liberatore
la gioia sopita rimorta rinata sveglia
della presa d’atto.
Insistentemente rileggo.
Dallo scorcio della finestra i Castelli di una volta,
di sempre, di mai.
Rammemoro (cit.)
da un castello all’altro (cit.)
senza tregua. (guai!)
Sto componendo una poesia.
Valente versificatore dai,
dittelo.
Una stufina alogena di sola luce, senza calore,
un elmetto da soldato per cappello o per capello
e una stanza dell’infanzia incustodita dalla vita,
sola riprova la mia presenza sola, inappassita,
lascio il canto fare, lui, non me, vivere alzo
il volume della musica insuonata sbalzo di qua
sbalzo di là e ancor mi tengo: ridere no. Ma mi viene.
In strada arti di uomini inscenano la realtà.
I negri innalzano la bandiera.
La primavera-estate di Piazza dei Cinquecento
è un tornado spossato di calamità –
neve nera pioggia di sangue abitazioni scaraventate
al suolo magmatico, l’assenza di vento
strilla il silenzio vomitato dalla bocca
assillata dalla nudità –
inni alla fine intavolati per l’anti-inizio –
orgia stravaccata in cui nessuno
si tocca.
Una fiala spaccata, di testa umana, di arti micro
piange a rotta di collo, soffre tutte le atrocità.
I libri sono quelli della Piazza,
i lettori sono quelli della Piazza.
La Stazione è il largo degli inferi. Festa.
Perché non si muore mai?
Perché non si muore mai?
Perché non si muore mai? Pizza.
da Startus (ECS, 2022) di Valerio Massaroni