Speciale San Vito 2020: De te dedica narratur – Carlo Villa


 

La Redazione di Laboratori Poesia, come ogni anno, lancia uno speciale dedicato al Premio San Vito. Tre uscite incentrate su Tu io e Montale a cena di Gabriella Sica (Interno Poesia, 2019), De te dedica narratur di Carlo Villa (Società Editrice Fiorentina, 2018) e Fadìa/Fatica di Silvio Ornella (Samuele Editore, 2019). Nello specifico la redazione si occuperà del Premio Speciale ex aequo (Gabriella Sica e Carlo Villa) e del Premio al Miglior libro in Lingua Friulana (Silvio Ornella).

A completamento dello speciale i finalisti (Il Condominio S.I.M. di Alessandro Canzian, Stampa 2009, 2020 – Non finirò di scrivere sul mare di Giuseppe Conte, Mondadori, 2019 – Figύa de pòrvoa/Figure di polvere di Amilcare Mario Grassi, Manni, 2019) saranno ospitati da un prestigioso sito amico.

La Redazione

 
 
Speciale San Vito 2020: De te dedica narratur - Carlo Villa

De te dedica narratur, Carlo Villa (Società Editrice Fiorentina, 2018)

 

Raramente si è riscontrato in una raccolta di versi un caleidoscopio così ampio di protagonisti, sensazioni, sguardi su ogni tempo in forma di dediche incisive e taglienti come quello che Carlo Villa ha prodotto in De te dedica narratur, recentemente congedata per i tipi della prolifica Società Editrice Fiorentina. Sono 246 densissime pagine, aperte con un percussivo richiamo alla ‘strumentista’ Amelia Rosselli, nelle quali il poeta non risparmia la sua poderosa, sferzante ironia carica di contenuti in questa narrazione odeporica ideale e immaginaria tra poeti, politici, protagonisti del mondo dello spettacolo alcuni più lesti dei Gatti Silvestri, donne e uomini osservati con la lente d’ingrandimento, per poi entrare nella propria interiorità osservando una malasorte col suo impasto nefasto in tempi sempre più ristretti circa la possibilità di scampare.

Naviga, Villa, in territori che conosce bene dando prova di una originalissima capacità di comporre mondi così distanti e diversi, tra miti e leggende, contemporaneità e passato, in un vortice di espressività che s’attarda qua e là in versi di incipiente dolore a un tempo personale e universale, lui che si considera frutto di un’inesistita giovinezza.

Il libro scandaglia percorsi d’esistenza e osservazioni ctonie con godibilissimi affreschi a mo’ di fermi immagine come nei liceali Scalfari e Calvino nel soggiorno litigioso in quella Sanremo della canzonetta, ma anche introspezioni filosofiche e una sorta di messa in stato d’accusa contro Dio perfettissimo nei suoi molteplici delitti per aver infierito sul creato senza posa e contro i suoi vicari e rispettivi derivati.

Villa non teme di scendere nella carne viva della realtà che vive di un analfabetismo di ritorno: è l’epoca di una Rete (ragnatela di guinzagli per cani) fagocitante e onnivora ove tutto è disponibile, fantasie sessuali comprese, e di un ambiente violentato come emerge lampante dalla lettera al ministro, con passaggi corrosivi anche sullo stato della (mala)giustizia italica e sui beni culturali preda dell’incuria del politico di turno visto quale personificazione della vanità quando non caricatura esso stesso. Riemergono quasi come di fronte a una cronaca giornalistica, ma fittissima di rimandi e raccordi temporo-spaziali ad altre storie e vicende le magagne di governanti e loro oppositori, gli uni e gli altri presi di mira tra sguaiate populiste e scissioni vanitose senza dar prova di coraggio e di abilità nel gestire questo tempo: non mancano, beninteso, cavalli di razza narrati nell’ora più buia ricorrendo ai nomi lasciateci dall’epica.

Si affrontano miti e leggende, percorsi nel romanzo e filosofie attuali lungo la ricchissima congerie di poesie tra roditori instancabili nei cinema e top model evanescenti dagli abiti griffati nella consapevolezza giovanile che ciò che conta è il didietro delle donne. Il Villa più caustico è però quello, per citare un esempio, che sviscera le grandi contraddizioni della modernità, si legga in proposito la poesia-dedica alle Sigle, spumeggiante scrittura le cui domande su alcune delle più note organizzazioni internazionali sono destinate, ça va sans dire, a rimanere senza risposta.

Sotto la tagliola lucidissima della penna di Villa nulla viene lasciato al caso: c’è solo da sperare, ricorrendo agli antichi, che anche noi si abbia a collocare le tenebre in un punto ben preciso per non doverle incontrare, oggi che il presente allunga costantemente e senza sosta i suoi tentacoli nel pericolo sanitario di cui ancora siamo succubi.

 

Federico Migliorati

 
 
 
 
Per Amelia Rosselli
(Era nota la sua abilità strumentista)
 
Resti nel dovizioso ritrovarsi
di quando all’Opera si leva il sipario,
spegnendosi le luci della sala,
ma non ancora quella dei palchi,
che affiorano nel rosa d’un silenzio
che detta l’inizio allo spettacolo.
 
Nella dolcezza delle prime note,
gravi nell’avventura dell’orecchio,
e in quell’incedere sovrano
che si scopre nei sensi
e la memoria immobilizza
nell’attacco d’un ritmo sincopato.
 
Nell’attrezzato, ripido falsetto,
nell’angoscia funambolica d’un fiato
che libera il canto del soprano.
Nell’effetto d’imbarazzo che il corale
produce nel canto gregoriano.
Nella sentenziosità del basso,
nel recitativo arcano del contralto,
nel fiato passamano degli ottoni a raso.
Nel rullo dei tamburi e nel lucido broccato
di chi diriga l’orchestra con la mano
nel suo levare e battere
presago d’un tempo rossiniano.
 
Nel palcoscenico appena illuminato
da grotta amletica,
dove ti sei perduta e fatta segno
inarginabile nel salto
sul tragico selciato
d’un golfo mistico autoinferto.
 
 
 
 
 
 
A Dio
(Essere Perfettissimo nei suoi molteplici delitti)
 
Dio mio, qualora tu esistessi,
ed ora vorrei proprio che questo fosse vero,
sono certo che saresti
per la vita non goduta affatto,
 
data la panica attività d’uno scrivere
subìta inutilmente negli anni,
con un cuore perso come il tuo
ma senza pubblico.
 
Considerata poi la particolare
                               dimestichezza
che come Salvatore del genere umano
hai sempre intrattenuto con l’onda,
com’è testimoniato dallo stesso battesimo
 
avvenuto lungo le rive del Giordano,
dalla famosa passeggiata a pelo dell’onda
e dalla pesca altrettanto miracolosa
svoltasi sul lago di Tiberiade,
come non pensare a un ritorno sul luogo del delitto
per un senso di colpa ereditario,
visto che al Padre di cotanto Figlio
si deve addirittura un diluvio universale?
 
Tanto più essendoti chinato
sull’Adamo appena creato
infondendogli una vita da dannato,
già pensando al Boccaccio,
 
che in ogni caso nel girone dei lussuriosi
può sempre dire dantescamente celiando:
“Il nostro peccato fu ermafrodita”,
riferendosi alle cadute di un’Eva
 
destinata a un eccesso di violenze
che nessuno stalker a venire
avrebbe uguagliato al tuo
infierire sul creato senza posa.
 
 
 
 
 
 
A Vanni Scheiwiller
(Poeta dell’editoria)
 
Fare grande è facile, piccolo è
consentito solo ai sapienti.
 
Sai Vanni è soprattutto adesso
che sto pensandoti molto più bambino
di quanto tu non sia mai stato;
e spesso su d’un treno, trafelato,
diretto al paese delle bozze,
 
ribattezzato a scanso d’ogni scacco
Sedicino dalla fiaba di te stesso.
Un palmo sopra al suolo per l’afflato
d’un Little Nemo, eroe del libriccino
con la tracolla a sogno prigioniero
 
nell’accedere al taxi del destino,
ragno incessante nel nerbo ferroviario,
leone romanico schiacciato dal listino,
oplite nell’impermeabile indossato
alla volta della Gerusalemme dell’inchiostro,
Hänsel in bosco di Gretel Galateo,
occhio di falco in volto canarino,
quale poeta dell’editoria recando
vergogna ai colleghi ed allergia,
dedico riconoscente questa mia
 
 
 
 
 
 
Ai poeti
(E ai loro riconoscimenti)
 
I
 
I poeti si riconoscono fra loro
da taciti segni d’intesa
che li assomigliano a franchi tiratori;
 
e quello proveniente da Barletta
che approda nella Roma-Capitale,
non meno del collega di Treviso
 
in trasferta fino a Caltanissetta,
possono essere certi di trovare
col vitto e l’alloggio spesati
 
presso adeguati alberghi
vantaggiosa disponibilità
per i festival delle menti.
 
 
 
 
II
 
Il poeta ha sempre avuto bisogno
dell’aritmetica elementare:
per scrivere un alessandrino
 
bisogna saper contare fino a dodici,
per un sonetto fino a quattordici
e per dei versi classici
 
almeno fino a centosessantotto.
Si potrebbe obbiettare che ai nostri giorni
pochi poeti si preoccupano
 
di scrivere ancora dei sonetti;
e in questo caso la terzina
praticata da Daniel e da Dante
 
pone l’interessante quesito
di dove possa condurre
una così diffusa indolenza per il calcolo,
 
anche se a mettere insieme le persone
amate da Rimbaud
s’otterrebbe un volto da satiro
 
con degli occhi da mongolo,
sottolineati da una barbetta
dall’aspetto del tutto primitivo;
 
solo un surrealista si sarebbe accordato
sui lineamenti obliqui d’un Verlaine
con quelli d’un indigeno del Tigré,
 
confermandoci che proprio per questo
Breton e i suoi amici
lo scelsero come santo protettore.
 
 
 
 
III
 
È per un vezzo piuttosto infantile,
e per un bisogno d’alfabeto figurato
che i nomi di certi poeti
piace associarli a un loro abile verso.
 
“Nel mezzo del cammin di nostra vita”
non è l’immagine più nobile di Dante,
eppure è diventata la più memorabile;
e a questa menzione non sfugge il Petrarca
 
nel passaggio della sestina che rimpiange
“deh, or foss’io col vago della luna”;
mentre il nome di Keats
percorre costantemente “le ombre verdi
 
e le vie mucose e torte”
dell’ode riferita all’usignolo.
Sono versi che aderiscono all’autore
come altrettanti inevitabili aggettivi,
 
quanto l’angelo, l’aquila, il leone e il bue
ai quattro Evangelisti,
e l’ora della nostra nascita
al lutto d’un inesorabile finire.
 
 
 
 
IV
 
Confesso che trovare la descrizione
d’un qualche bel mobile
nei versi che vado leggendo
rappresenta una gradita sorpresa.
 
Non che un libro debba essere
un negozio di rigattiere,
e ammiro “Le anime” di Gogol
per altre ragioni che non siano
 
quelle del fuggevole cenno all’arredo
e allo stile d’un tavolo;
fatto sta che queste notizie
m’avvicinano di più al popolo russo
 
che le digressioni sul paesaggio,
trattandosi d’una lingua straniera
in un contesto rimasto materno
nello specchio presente nel dipinto di Memling.
 
 
 
 
 
 
Alle sigle
(Fra loro maliziosamente aggregate)
 
Benché NATO non dica quanto
North Atlantic Treaty Organization,
menzionando nazioni affacciate sull’Atlantico:
nel qual caso perché ne sono membri
l’Italia, la Grecia e la Turchia?
 
La DDR metteva in mostra democratico,
l’ONU evita l’accento sopra a unite,
e SEATO eliminava domande non gradite
riguardo ai paesi del sud est asiatico
che non gli appartenevano, pure
 
si vedano, si tocchino, si siedano vicini,
prendano insieme più tazze di tè;
e se finiscono per parlare di pesca
e di quanto sia bello essere nonni
attraverso le implicazioni d’ogni tresca,
 
è il contatto quello che conta,
l’immagine artificialmente cordiale
divulgata da Yalta a Ginevra,
nel pieno rispetto d’una lingua
mai sufficientemente infetta
 
comunque venga loro in mente
di proseguire la truffa,
restando curioso
che già prima d’arrivare
a “L’interpretazione dei sogni”
 
ci si sia accorti che,
sia pure impacciata dalle trine,
l’eroina s’è sempre concessa
al truce temerario,
disdegnando l’esattore delle tasse.
 
Se Freud l’avesse psicoanalizzate
codeste sigle infingarde,
non una di esse,
da quelle bancarie,
se la sarebbe passata liscia.