Speciale Halloween 2022


 

Halloween è una festa controversa che, volenti o nolenti, ha preso piede ormai da diversi anni anche in Italia. Festa che oggi, finalmente o ipocritamente, ci riporta al grande tabù della morte anche se solo superficialmente. I rumori di guerra nucleare ci toccano più delle tante urla nel mondo. La pandemia ci ha instillato il terrore di una morte per soffocamento. Una paura settoriale che più che dire di noi dice della nostra cultura. Di come pensiamo realmente.

Ma la morte è anche un termine umano che entra spesso nelle parole dei poeti. Un termine che definisce la vita, la scelta. Paradossalmente l’impossibilità di scegliere quando o se non morire ci obbliga a scegliere che vita fare, che pensiero sulla vita assumere.

Per questo abbiamo raccolto, come un vero e proprio divertissement, alcuni testi nostri e di autori che abbiamo letto e amato. Una cosa estemporanea sulla quale però abbiamo preso una decisione. Sarebbe infatti stato semplice cercare testi sulla guerra, o attingere alle recentissime antologie o pubblicazioni pertinenti. Ma la morte non ha colore, non ha sesso, non ha nazionalità, non ha credo. Ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione avvertiva Pavese.

I nostri morti non sono tutti uguali, questa è la verità. Alcuni morti sono più uguali degli altri, per fare il verso a Orwell.

Per questo, anche in un piccolo lavoro fatto senza troppo pensarci come omaggio ai nostri lettori, è importante fare una scelta, prendere una decisione.

La nostra è stata, attraverso le parole dei poeti, dire senza dubbio che la morte è una terribile certezza che mina le fondamenta precarie dell’uomo, anche della sua etica e della sua morale, e che lo mettono tremendamente in discussione.

Ma anche dire che la morte, oltre ogni guerra e tragedia, è una questione del cuore.

La redazione

 
 
 
 

*

 
 
I visi senza le ossa, le nostre cartilagini
tra la sterpaglia sollevano letti di foglie
come farina e acqua impastate senza mani.
Un altro novembre sta seduto nel vuoto,
le parole fanno buche di campo,
alzano berretti di zolle dalla terra arata.
 
Mario Benedetti, Tersa Morte (Mondadori, 2013)
 
 
 
 
 
 
Passeggiata
 
Più in là
ci aspettano le foglie morte;
fermiamoci:
qui c’è profumo di rose.
Basta che tu non respiri
perché il futuro muoia.
Così tutto finisce
prima d’aver pianto.
Neanch’io respiro più.
 
Piera Oppezzo, Una lucida disperazione (Interlinea, 2016)
 
 
 
 
 
 
Halloween
 
Le curve del teschio spingono luci secche
verso ogni cavità, è l’occhio strappato dal nero
che lo rende tondeggiante. Le luminarie
depredate alle feste natali osannano la morte
più vicina che pulsa nelle tempie ancora ripiene.
 
L’urna del fiato ha un tremito, è inchiodata
alla libreria davanti a cui inginocchiarsi e piangere, attende la notte per lasciar vorticare
ogni granello d’uomo
che batte i denti nell’aria.
 
Sembra quasi vicina ogni altra ricorrenza
ma l’ombra del cadavere profuma di limoni,
si frange in molti bocconi, tende lo spigolo d’ossa
verso i muscoli ancora in tensione.
 
Credevamo che le costole creassero il moto,
e la vita il voto, ma sono diventate rancide
all’assaggio dell’amore staccato. Così le ali
si scollano dalle schiene e un artiglio
compare dalla bocca.
 
La parola trafigge la gola, spezza il sangue
in parti impossibili e si espande fino a occupare
tutto lo spazio del respiro. È il canto orrido
della pace nelle labbra dei morti, è
la gioia antica che riposiziona le viscere,
estrae la carne dal pianto.
 
Gisella Blanco, inedita
 
 
 
 
 
 
Quando morirò
 
Quando morirò
verrà con me la luna
gigantesca di quella notte
magica di sabbia
Non si saprà del tiglio
dalle foglie a cuore
per l’erbario del piccolo
nemmeno dello scoglio
e del tuffo arrischiato.
Quando morirò sarà pagina
bianca di pensieri vaganti
che nessuno ha raccolto
La gatta non capirà l’assenza
prolungata il plaid
riposto nell’armadio
 
Dal computer verranno ancora
auguri per il compleanno
ché facebook non dimentica
 
Marina Giovannelli, Distopica (Samuele Editore, 2022)
 
 
 
 
 
 
Pensare a chi muore
equivale a pensare a dio
un unico vuoto abissale
la differenza è una questione di tempi
diversi solo i ritmi degli assenti
tra chi un bel giorno svanisce
e chi è vanescente da sempre
ma vince chi se ne è andato
su chi non è mai stato.
 
Daniela Pericone, L’inciampo (L’arcolaio, 2015)
 
 
 
 
 
 
era morta con la luna storta
era morta sopra un cuscino estraneo
di un vicino fuori della sua casa
come faceva a spiegare
a chi gliel’avesse chiesto
che era uscita in giardino
solo a fumare una sigaretta
scavalcata la finestra s’era trovata
nella casa buia decisa
a seguire il suo destino?
 
Gabriella Musetti, Un buon uso della vita (Samuele Editore, 2021)
 
 
 
 
 
 
Trasfòrmati in parole:
senza più compagnia di fiati e di viole
facendo posto alla tua vita
la mia più niente ha a che fare
con gli anni
se correndo intorno a un solo nome
è sempre di te e di me che si tratta
e sempre le stesse armi
potenti di lutto e afflizione
che pure nei sogni a rovina
inseguono la mia levigatezza.
Ti vedo sui tuoi passi tornare ancora
più sottili le braccia già esitanti le gambe
nel tempo lentissimo della paura.
 
Cosimo Ortesta, Nel progetto di un freddo perenne (Einaudi, 1988)
 
 
 
 
 
 
Stasera
 
Stasera i miei morti
tutti loro
tutti insieme
mi stanno accanto e me li sento
sfiorarmi il gomito
passarmi, ombre, di fianco
poi sorpassarmi con disinvoltura
sicuri e noncuranti
seguiti solo da un alito di vento
che è presenza lieve
ed è tormento
è esserci e non più
esserci ora
poi correre avanti per una strada vuota
lasciare la mia ombra infreddolita
a un angolo di vita
a un nastro di partenza
o ad un’uscita
che non conosco ancora
 
Gabriella Grasso, Il Generale Inverno (Il Convivio, 2021)
 
 
 
 
 
 
Agli amici morti
 
I.
 
I morti giovinetti dai denti di splendore
camminano fra siepi d’aquilegia
coi fucili a tracolla, si raccontano in due
con gesti ampi i fiabeschi
amori nei granai grandi, nei fossi
di foglie sotto il platano stormente,
si confidano sillabe di nomi
indoliti e gementi, nomi snelli di tortore,
visi come gerani al davanzale.
I samurai gemelli dal silenzioso riso
vanno e vengono nella mia mente
ogni notte più esangui, più scontrosi, più morti;
con rallentate movenze di sonno
uno sull’altro affondano, non sono
che larve bianche, sembianze scambiate,
cose di cenere, nulla.
 
 
 
 
2.
 
Dove sono gli amici di ieri,
Saro Monaco, Pino Grande,
con le gote di ilare fuoco
e i baschi azzurri sui capelli neri?
 
Chissà dove sono sepolti,
in fondo al mare, in un mucchio di neve…
Le loro voci, le conosco appena
che mi chiamano mute dietro un fumo.
 
Anche allora nel gioco dei soldati
bastava una freccia di carta,
com’era facile colpirli al cuore.
 
Ma io rammento una sera d’estate
che si parlarono soli, in disparte,
e solo ora indovino di che.
 
Gesualdo Bufalino, L’amaro miele (Einaudi, 1982)
 
 
 
 
 
 
Paria
 
Poveri affaticati nelle membra,
servi della gleba, paria,
per noi la morte è riposo.
 
Tu luna invano risplendi in mezzo al cielo;
e non ci cavi dagli occhi che sudore
antica stella che illumini nei boschi
a maggio il canto malinconico dei cuculi.
 
Non siam che miseri lombrichi nella mota,
siamo concime, la ruota, la carrucola
e non v’è pena che noi non si conosca.
 
Umberto Bellintani, Nella grande pianura (Mondadori, Lo Specchio, 1998)
 
 
 
 
 
 
Perdono chiedo a voi che m’avete amata – perdono!
ma la mia anima lacerata più nulla trattiene
da tutto è trapassata – assolvetemi!
come io mi assolvo nella morte ch’è di tutti.
E perdono chiedo pure a questa corda
alle sue fibre vegetali strette strette
legate per legare, ne snaturo l’uso
me ne orno per slegarmi
ne faccio scandalo, inciampo nella mia fine
e non c’è riparo a questo né riparazione.
 
Segni fragili siamo di vulnerabile bellezza
alla bellezza chiamati,
ma troppa è la carne da attraversare
grande il mistero di questa soglia opaca
e poca la luce fraterna tra noi.
Così la mia morte sia un muricciolo
di pietre bianche nelle cui fessure
piante e lucertole trovino riparo
e le creature umane un poco d’ombra e di ristoro
e il vento ne faccia strumento
per un nuovo canto.
 
Lucianna Argentino, La vita in dissolvenza (Samuele Editore, 2022)
 
 
 
 
 
 
Oración
 
Tú, Parca Altísima
que proteges con tu manto
los amaneceres descoloridos,
el trono de los límites humanos,
los deseos del sueño eterno.
 
Ten piedad
del camino abrumado.
 
Te confío los retratos de los amores perdidos.
 
Calla las voces en mí que te buscan,
cura los dolores de la nada,
la agitación del alma,
la sequedad del cuerpo.
 
Te he contemplado
rebosante de encanto.
 
Te he invocado
con botellas de alivio,
pero tú, salvación eterna,
todavía no me has acogido.
 
Quédate cerca
en caso que no se cure
este campo devastado que late
sin apoyo ni agua.
 
Siéntate a mi lado
mientras la luz marchita
la vida
que aún queda.
 
 
 
 
Preghiera
 
Tu, Altissima Parca
che tuteli col tuo manto
le albe scolorite,
il trono dei limiti umani,
i desideri del sogno eterno.
 
Abbi misericordia
della strada sopraffatta.
 
Ti affido i ritratti degli amori perduti.
 
Muta le voci che in me ti cercano,
risana le fitte del nulla,
l’agitazione dell’animo,
la siccità del corpo.
 
Ti ho contemplata
traboccante d’incanto.
 
Ti ho invocata
con flaconi di sollievo,
ma tu, salvezza eterna,
ancora non mi hai accolta.
 
Stammi vicino
nel caso non guarisse
questo campo devastato che batte
senza supporto né acqua.
 
Siediti accanto
mentre la luce ammuffisce
la vita
che ancora rimane.
 
Rocio Bolanos, inedita
Traduzione dell’autrice
 
 
 
 
 
 
Il canto delle crisalidi
 
Vita, morte,
la vita nella morte;
morte, vita,
la morte nella vita.
 
Noi col filo
col filo della vita
nostra sorte
filammo a questa morte.
 
E più forte
è il sogno della vita –
se la morte
a vivere ci aiuta
 
ma la vita
la vita non è vita
se la morte
la morte è nella vita
 
e la morte
morte non è finita
se più forte
per lei vive la vita.
 
Ma se vita
sarà la nostra morte
nella vita
viviam solo la morte
 
morte, vita,
la morte nella vita;
vita, morte,
la vita nella morte. –
 
Carlo Michelstaedter, Poesie (Adelphi, 1987)
 
 
 
 
 
 
Quando hanno svuotato
l’appartamento di Silvio hanno
trovato libri accatastati
e scorpioni e scarafaggi. Credo
Silvio li tenesse apposta
per ricordare cos’è l’amore.
 
Alessandro Canzian, Il Condominio S.I.M. (Stampa2009, 2020)
 
 
 
 
 
 
Non ti credo
ma c’è chi giura che esisti,
forse non ti so cercare
o rassegnarmi a cadere
e tu giochi a nasconderti
non ti fai trovare,
sembriamo
due strani innamorati
ma io ti sento
qui alle mie spalle,
a volte mi sento toccare.
 
Salvatore Toma, Canzoniere della morte (Einaudi, 1999)
 
 
 
 
 
 
Se anche il male diventasse nome
non avremo timore della croce.
Ti chiamerei a raccolta con la sorte,
ne rovescerei la morte in ore.
 
Vernalda Di Tanna, Fraintendere le stelle (Samuele Editore–Pordenonelegge, La Gialla, 2021)
 
 
 
 
 
 
XX
 
La tristeza
amanece
en la puerta de la calle.
No en vano
he sido tan cruel,
no en vano
deseo
cada tarde,
que la muerte sea simple y limpia
como un trago de anís caliente
o una palmada cuyo eco se pierde en el monte.
 
 
 
 
XX
 
La tristezza
albeggia
sulla porta della strada.
Non invano
sono stata così crudele,
non invano
desidero
ogni sera,
che la morte sia semplice e pulita
come un sorso di anice caldo
o un applauso il cui eco si perde nella boscaglia.
 
Miyó Vestrini, El invierno próximo (1975)
Traduzione di Rocio Bolanos
 
 
 
 
 
 
Il banchetto
 
se è vero che la vita non ha senso
perché ognuno glielo possa trovare,
sentite allora questa. sulla strada
per il mare, il sole frinisce i campi,
verdi come canzoni. ma una fila
di macchine s’irrigidisce al caldo
delle tre, d’improvviso, al pomeriggio.
una ragazza è morta. appena tutti
lo sanno, fanno retromarcia e lento
un corteo si lascia dietro la giovane,
giunta a vent’anni e tre. La stessa sera,
morirono per lei sulla graticola
molti pesci d’acqua fredda, e versate
sapide bottiglie di vino bianco.
È da prima delle navi veloci
del bronzo e del sangue lungo la spiaggia
che ogni passo è pagato da chi resta.
Poi ci addormentammo. Le lampadine
rimasero accese fino a scoppiare.
Ne avemmo contezza il mattino dopo
quando ci svegliammo.
 
Federico Rossignoli, Gent e altre poesie (Laboratori Poesia, 2021)
 
 
 
 
 
 
Gli aspetti della morte sono talvolta abnormi,
non dovrebbe passare giorno
senza aggiungere qualcosa
al nostro staio di grano,
da stranieri benevoli e confusi,
ma oggi io non ho dato nulla
perchè ospitavo la morte,
la sua sostanza grigia mi ha investito:
una pietra che dava lacrime,
allora ho tremato a lungo
al pensiero di non scrivere più
e poi ho tremato ancora
quando ho cominciato a scrivere.
 
Alda Merini, La Terra Santa e altre poesie (Scheiwiller, 1984)
 
 
 
 
 
 

A Norberto Bobbio. Un fax dal presente

LEI È DEFUNTO ma è ancor vivo il nome.
La ripubblicano, ecco la riedizione
di un suo vecchio libro
“Sulla vecchiaia”.
Ne resterà può darsi qualche immagine,
le tre che lei ha preso
da un altro morto che è venuto prima,
quasi un secolo fa.
 
Noi siamo, dice, dentro l’esistenza
come una mosca dentro una bottiglia:
si sbatte qua e là, se non c’è il tappo
e se ha fortuna
forse ne potrà uscire.
O siamo come un pesce nella rete,
più guizza più s’imbroglia il disperato,
la fine è certa.
La terza prigionia è il labirinto,
qui né mosche né pesci, qui c’è l’uomo:
con la ragione forse può trovare,
più indietro che in avanti, vie d’uscita,
poiché, lei dice, la libertà è donde
siamo venuti.
Natura, civiltà,
o tremanti ricordi di famiglia?
Cos’intende?
 
Però nel labirinto
non siamo soli, dice: lavorare con gli altri,
tenere i nervi a posto,
a che il luogo diventi sopportabile.
E se poi, alla fine, in fondo ai tempi,
qualcosa apparirà che da noi non dipende,
non lo sappiamo –
e lei non lo esclude.
Anche in lei un brandello
di quella fede che non tiene più?
 
Con gli altri, dice. E dove sono gli altri?
In questi ultimi anni
qui non c’è più nessuno in carne ed ossa:
fasci di nervi a nudo, fino a sera,
poi nella folla,
supermercato, in coda
come cerini accesi,
poi a casa, TV e ora di cena,
e non pensare, consumar qualcosa
nella fretta che uccide.
Poi è notte.
 
La ragione è per pochi, i pochi forti.
E com’è basso il premio:
un luogo sopportabile.
Eppure
ognuno di noi piccoli ogni tanto
non osa ma vorrebbe
sapere che sarà, che ne sarà di lui
dopo la morte.
Dio?
Ma anche Dio forse, come la ragione,
è soltanto per pochi.
 
Anna Maria Carpi, L’asso nella neve (Transeuropa, 2011)
 
 
 
 
 
 
Il Matto II (morte in allegoria)
Ninive

Tu ti dai pena per quella pianta di ricino (…) che in una
notte è cresciuta e in una notte è perita: ed io non dovrei
aver pietà di Ninive quella grande città…
Giona 4, 10

ormai la carta si fa tutta parlare,
ora che è senza meta e pare un caso
la sacca così premuta e fra i colori
così per forza dèsta, bianca; bianca
da respirare profondo in tanta fissazione
di contorni ò spensierato ò grande
inaugurato, amo la festa che porti lontano
amo la tua continua consegna mondana amo
l’idem perduto, la tua destinazione
umana; amo le tue cadute
ben che siano finte, passeggere
e fino che tu saprai dentro i castelli, i giardini
fiorire, altro splendore sai, altra memoria,
altro si splende si strega si ride, si tira
la tenda e libero si mescola alle carte; ma
i giardini si nascondono con precisione
dove cerchi la larva del tuo femminino e l’arresto
l’appartenenza inevitabile
all’Immagine all’inevitabile distensione
delle terre trascorse delle altre ancora
da nominare chiamarle una poli l’altra tutte
le terre perfette alla mente afferrata
di nomi che smodano scadono che portano
alla memoria o la stravagano.
 
(crescono ricini presso ninive
ecco, vedi,                come sviene)
 
Claudia Ruggeri, Inferno minore (Pequod, 2006)
 
 
 
 
 
 
Se fosse morta allora,
sarebbe stata un’altra.
 
Consegnata al rimpianto,
paesaggio incompiuto o magari
abbozzo fauve, un ritmo di colori
accesi senza una prospettiva
ordinatrice, un frutto nella gloria
del turgore, ancora ignaro
delle ombre a venire.
 
Ma avrebbe mancato
l’esuberanza giovanile dei figli,
l’eredità terrena incarnata
nelle pieghe di tenerezza
dei loro visi, nel vigore armonico
dei corpi, tesi, elastici,
pieni della luce aurorale
che dice: sì, vita, e: tutto deve, ancora, accadere.
 
Se non fosse morta allora,
mai sarebbe rinata
al ritmo lento delle parole,
nero su bianco, odierna sua dimora.
 
Giovanna Rosadini, Fioriture capovolte (Einaudi 2018)
 
 
 
 
 
 
Morticina
voglia esaurire l’impazienza delle colpe
venga sui ciottoli di dolore
le chiedo un bicchierotto di gelatina geocentrica
un decubito d’esistenza
senza sciuparsi con ariette funeree o ronzii
di relazione con il cielo.
 
Ivano Ferrari, La morte moglie (Einaudi, 2013)
 
 
 
 
 
 
Il meraviglioso
è già stato – taciturno,
senza il sì-e-no
degli avvenimenti –,
nella comunanza
del sonno
s’è ingrandito, frutto
fuori stagione vivo
e certo che sua polpa
non s’addenta.
Ma tu
disperatamente non sei –
mi toglie anche il passato,
quel tuo obbedire
alla scarsità dei morti.
 
Nanni Cagnone, A ritroso (Nottetempo, 2020)
 
 
 
 
 
 
Parlavo d’amore alla morte,
indossavo la notte,
un ciuffo di capelli intirizzito,
tenevo nel palmo della mano
l’occhio materno,
gelò in piena estate vestito di pietra
lo volle la notte,
la morte abitò come un’alba il suo giorno,
facevo battere un cuore
con le poche parole rimaste
e al nulla parlavo d’amore.
 
Roberto Carifi, Il gelo e la luce (Le Lettere, 2003)
 
 
 
 
 
 
Animali nel momento della morte 
 
… il problema è come
dopo la morte riascoltare
chi di una storia ci ha svelato
i dedali infiniti delle tane
intanto che i parchi
gli incroci i profili delle case
urlano implorano piangono
tutte le sagome più care
 
Come farfalle inchiodate
o come talpe quando vanno a cozzare
contro la roccia naturale,
dura e minerale
siamo animali da trapasso,
reliquie abbandonate
nelle scatole da scarpe
o resti indecifrabili di sogni,
sparute in genere ed assorte
sillabe roche
 
E alla fine le loro
ombre distorte
 
Alberto Bertoni, Culo di tua mamma (Samuele Editore-Pordenonelegge, 2022)
 
 
 
 
 
 
questa sagoma quasi
un’ombra
riversa nel pantano
 
spugna
o fossile
sputato dalla terra
 
pesce migratorio
 
imbalsamato nella torba
che a nuoto
risale i secoli
salta di golena in golena
fino ad incagliarsi
nella lava tossica
 
come conchiglia
che conserva nel suo mantello
le ultime parole dei morti
 
Prisca Agustoni, Verso la ruggine (Interlinea, 2021)
 
 
 
 
 
 
Love & Death
 
Looking back, I presupposed love,
I suppose. At least, I felt a whiff of death
each time she left. She had a theory: that sex
was the only path to the truth. Philosophy,
religion, physics – the other,
traditional pursuits – had it all wrong. Only poetry
 
came close, but who can live on poetry?
Too sweet by far, though one can learn to love
it, to breathe, to eat it like candy. Still, other
nutrients are necessary: death
comes from such monotony. (Her philosophy,
though sweetly spun, was never so refined as her sex.)
 
And it was, after all, the pure white sex
between us that drove me to poetry.
How else to express the brazen philosophy,
the teleology of flesh beyond love,
the ontology of sex that can lead to death?
And we’ve all heard stories of others
 
who’ve actually died from it: The other
becomes the self, the sex
that binds us, wrist and foot. The little death
claws at your throat, your cry like poetry:
an eerie diction I grew to love.
“I’ll never read philosophy
 
again.” I embraced you, your strange philosophy,
and, forsaking all others,
turned to tell you of my love.
                       Which you call merely sex.
Is there solace in Poetry?
                       Just then I longed for Death.
 
Or did I? You arrive like Death,
tricked out in black, and burn my philosophy
books. Pale lips still pouty with poetry,
you tell me, of course, that I wasn’t just another,
and I, of course, believe you: You left because the sex
felt so much it hurt almost like love.
 
When we last made love, you left another
scar. And philosophy feels like death to me,
and I can’t find any poetry in sex.
 
 
 
 
Amore & morte
 
Ripensandoci, presupponevo amore,
credo. Quantomeno, sentivo un soffio di morte
ogni volta che lei se ne andava. La sua teoria: il sesso
è l’unica via verso la verità. Filosofia,
religione, fisica – gli altri
percorsi tradizionali – tutto sbagliato. Solo la poesia
 
ci andava vicino, ma chi riesce a vivere di poesia?
Troppo, troppo dolce, anche se si può imparare l’amore
per lei, e respirarla, mangiarla come un bon bon. Ma altre
sostanze nutrienti sono necessarie: la morte
scaturisce da questa monotonia. (La sua filosofia,
fine tessitura, mai raffinata quanto il suo fare sesso.)
 
Ed è stato, dopo tutto, il puro sesso
candido tra noi che mi ha spinto alla poesia.
Come spiegare altrimenti la sfrontata filosofia,
la teleologia della carne oltre l’amore,
l’ontologia del sesso che può portare a morte?
E le abbiamo sentite tutti le storie di altri
 
che davvero ne sono morti: l’altro
diventa il sé, il sesso
che ci lega, mani e piedi. La piccola morte
ti artiglia la gola, il tuo urlo è poesia:
misterioso tuo manifestarsi che ho imparato ad amare.
“Non leggerò mai più filosofia.”
 
Ti ho abbracciata, e anche la tua strana filosofia,
e, abbandonando tutte le altre
mi sono convertito e ti ho detto del mio amore.
                       Che tu chiami puramente sesso.
C’è conforto nella Poesia?
                       In quel momento bramavo Morte.
 
O no? Tu vieni come la Morte,
adorna di nero, e i miei libri di filosofia
li bruci. Pallide labbra ancora immusonite di poesia,
mi dici, certo, che io non ero solo un altro
tra i tanti e, certo, ti credevo: te ne sei andata perché il sesso
lo si sentiva tanto che faceva male quasi come l’amore.
 
L’ultima volta che abbiamo fatto l’amore hai lasciato un’altra
cicatrice. E la filosofia la sento simile alla morte,
e non riesco a trovare alcuna poesia nel sesso.
 
Moira Egan, Amore e morte (Edizioni Tlon, 2022)
Traduzione di Damiano Abeni
 
 
 
 
 
 
Niente
 
Morte, se vieni per condurmi via,
lascia che ombra su ombra
io ripercorra la gente.
In quest’incrocio di rotte
casuali, ci siamo incontrati
– fra vivi – così inutilmente.
Per migliaia di giorni,
ogni giorno:
all’andata, al ritorno.
Per migliaia di notti,
ogni notte:
coi ginocchi, coi fiati.
Non ci siamo scambiati
niente.
 
Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno (Interno Poesia, 2022)
 
 
 
 
Speciale Halloween 2022In copertina Il trionfo della morte di Palermo