Sopravvivi allo sgranare della preghiera – Gisella Blanco

Sopravvivi allo sgranare della preghiera - Gisella Blanco
 
 
Ho un popolo
schermato in battaglia
nel fortino dello sterno.
 
Vorrei scrivere il racconto di sangue
sui reflussi d’ira esofagea:
cinta muraria frantumata in singhiozzi.
 
Sarebbe grande la storia
se fuori ci fosse il nemico.
 
 
 
 
 
 
Sopravvivi allo sgranare della preghiera,
scalpiti in palmi a te ignoti
tra le uova dei tuoi santi congiunte
da filamenti di terrore.
 
Sorella primitiva
vorrei ancorarti al mio fianco, trarti in sollievo
dalla tensione d’indice paterno,
dal commiato dei nostri figli,
dalla carezza inevasa che ci tormenta le palpebre,
 
mi prego di spingerti oltre la traversia delle bocche
che ti hanno crocifissa
nel pungolo di latte -feroce massacro
che si reitera nel seno-.
 
Nell’incavo del corpo si ruba la morte,
non v’è dormizione a domare
la furia delle tempie
e tra donne si giunge -credi in me-
allo stesso tremore.
 
Il pianto è gigante solitario,
mare che non divarica le gambe della lacrima
al richiamo degli dèi.
 
 
 
 
 
 
Il passato è forza elettrostatica,
aggroviglia gas putrefattivi d’antenati
a ossari inespressi, erge monumenti ai sopravvissuti.
 
Il presente è macero
non autorizzato, vivaio eco-sovvertibile
del corpo -mai nato a ragione-,
interruttore guasto
al dito mozzato del futuro
(nostro unico illegittimo figlio).
 
Questa notte il piccolo
bastardo ha divorato
le sue piccole
falangi
con piccola
bocca
senza denti.
 
Ci siamo svegliati madri sazie.
 
 
 
 

La parte per il tutto, il corpo come simulacro, contenitore inespresso di un contrasto, di uno scontro ‘epico’ appunto (per richiamare il titolo della breve, ma penetrante prima composizione), nel quale si sussumono travagli e percosse emozionali. Gisella Blanco approda nuovamente al verso screziato con questi inediti riportandoci nei territori a lei più congeniali, quelli di una poesia complessa e proteiforme, originale e alta, per nulla irreggimentabile bensì dotata di uno stilema proprio e autonomo. C’è un doppio registro in cui si muove, una sorta di versione contrappuntistica che connota il suo dire: la realtà e l’immaginazione, la battaglia pronta e il “racconto di sangue” tutto da scrivere. Ma è nell’excipit che assistiamo al magnifico squarcio semantico dell’autrice: se ciascuno vive in sé guerreggiamenti inespressi e inutili, lei riscopre il valore della grandezza dell’altro da sé, di un nemico più o meno visibile in grado di dare un senso al proprio rigurgito emotivo nonché valore alla storia. La compresenza di plurimi elementi, indice di una sfaccettata personalità, è la cifra essenziale di questa epigrammatica composizione che merita un’attenta lettura. È tutta incentrata invece sulla solidarietà femminile, su una vicinanza e condivisione della sofferenza, la seconda poesia che si snoda aumentando passo dopo passo d’intensità, nel forte gioco di contrasti mente-corpo, pensiero-vita, presenza-assenza. C’è il senso di uno sforzo costante proteso verso la destinataria dei versi, per andare oltre il dolore e il dramma di una condanna profferita dalle feroci bocche “che ti hanno crocifissa”, alla quale prestare soccorso e aiuto per giungere “allo stesso tremore”. Assistiamo a un ribaltamento dei ruoli con la divinità di Maria che si fa debolezza, fragilità, dramma e che per ciò necessita di una donna che, come lei, diversa da lei, con-divida il patimento e l’abbandono filiale. Nella metafora finale, in cui il pianto, “gigante solitario”, diventa un mare che rifiuta l’offerta degli dei, si suggella l’intero percorso ideale del brano permeato da una feroce bellezza che colpisce, tra linee sinuose e scabri sentieri battuti nella comune angoscia che attanaglia l’esistenza. Ci si affaccia su mondi scientifici e onirici, infine, nell’ultimo testo nel quale i tre tempi del passato, presente e futuro si tengono in un vicendevole rapporto “parentale”. È un balenare di decomposizione, energie, “vivaio eco-sovvertibile”, una creazione in cui risuonano visioni drammatiche provenienti da lontano, da un mondo ormai sepolto nello sperduto Io di bambina ma che ancora riesce ad alimentare flussi vividi di pensiero. La poesia di Blanco necessita sempre di una decifrazione non solo semantica ma altresì temporale poiché vive di continui richiami all’infanzia tormentata da incubi, di trasfigurazioni della realtà e di un lavoro di labor limae e di revisione da perfezionista: il verso si presta a svariate interpretazioni ed è proprio questo l’obiettivo che lei stessa persegue, tra ricordi di un tempo di tregenda, foriero di suggestioni e di echi che si impastano con il presente in un vorticoso filamento di colori, di suoni, di sensazioni in cui recupera valore anche l’apparente refuso di chiusura.

Federico Migliorati