Solstizio – Roberto Deidier

Roberto Deidier, Solstizio

Solstizio è l’ultima pubblicazione di Roberto Deidier (Mondadori 2014) che il prefatore così introduce: Nella pacata ed elegante compostezza della sua dizione, nella chiarezza della sua pronuncia, Roberto Deidier riesce a dare un’espressione e una ben compiuta forma a quel groviglio di sottilissime inquietudini e tensioni che è verosimilmente all’origine di questi testi, di questo compatto organismo-libro.

Un libro della maturità, sicuramente, di un poeta capace di equilibrare il verso dall’inizio alla fine dando l’impressione che ogni cosa è al suo posto, al posto giusto. Una sobrietà, anche, che prima che poetica è evidentemente umana anche se personalmente mi ha lasciato un dubbio. Sobrietà o razionalità? Perchè inevitabilmente in Solstizio emerge un distacco, una freddezza verso le cose del mondo che copre (e bene) quell’inquietudine di fondo che il prefatore bene sottolinea, e che giocoforza genera il testo e molto probabilmente il distacco stesso.

Perchè ogni cosa in questo libro è perfettamente posizionata tanto da proteggere l’autore stesso, la sua intimità, la sua voce. Tanto da far emergere una domanda: si tratta di una qualche forma di stoicismo o di una difesa contro la vita stessa sia essa intesa come bene o male?

 
 
 
 
 
 
 
 
Come avrebbe potuto non voltarsi…
In sogno erano apparse le valigie
dei morti, lasciate in qualche stazione:
quelle dei vivi le aveva pensate
come un’improbabile carovana
confusa nella sabbia infinita,
in cammino verso un’altra città.
 
Non ci sarebbero stati più vivi,
neppure lui rivolto alla rovina:
scrutare nel presente era lo stesso
che fissare in faccia la distruzione.
Si era fermato, lo sguardo all’indietro,
il passo avanti verso l’orizzonte,
un’istantanea senza redenzione.

 
 
 
 
 
 
 
 
Ogni confine ha alle spalle un confine
ogni passato declina il futuro.
Una valigia appena chiusa, una maniglia
girata. Gesti cresciuti come ricordi
in una disarmante felicità.
 
 
 
 
 
 
 
 
Dicono morte l’istante della morte
e la sua sterminata sospensione,
soglia e stanza infinita
dove i passi non coprono misure.
 
riconosco la terra su cui poggia
il piede incerto?
Perchè gridano le strade non prese?
Il sangue si è raffreddato,
non valiamo più il peso di un ricordo.
 
 
 
 
 
 
 
 
Natura morta con libro
 
 
Quando entra nella stanza c’è silenzio,
il tavolo i quadri le pareti
piccoli vortici d’estraneità,
una sospensione leggera, una maniera
per disporsi a un canto senza note.
 
Il riflesso sopra i vetri di un titolo
– dalla finestra lo attende un cielo aperto –
campeggia oltre l’azzurro e le antenne
sui palazzi al di là della strada
e le acacie di un prato in lontananza.
 
Nella misura del suo alfabeto
che a volte grida a inseguirlo
come belva o creatura d’amore,
si ripopola il vuoto, si avvicina la terra,
si ferma la vita in ascolto.
 
 
 
 
 
 
 
 
I
 
 
Per quanti volti invano abbia cercato
al chiarore d’una luce straniera,
le vie, le piazze dove ho camminato
e atteso che giungesse infine sera
ruotano vuote spazzate dal vento:
ma dei tuoi occhi devi farne cento
o il sole anche quest’oggi t’ha abbagliato.
  Non loro guardano, ma te che arrivi,
ladro d’ogni figura, sia che dica
vicinanza o da un attracco remoto
gomena liberata dia gli abbrivi:
felice del tuo niente, la fatica
lascia le spalle, cede al ritmo noto
dell’incessante passeggio dei vivi.
 
 
 
 
 
 
 
 
Guardo i passi dei cirri, i filari
bianchi tra le scie di kerosene
mentre cade il muro del suono.
Vento terso, sabbia tra i piedi
scalzi fuori stagione. Oscilla
l’apparecchio all’atterraggio.
Ed è là che mi piace pensarti.
Gracchia una persiana, si riapre
una casa all’ammezzato. È marzo
e tu non sai questo ritorno.
 
 
 
 
 
 
 
 
È venuta la nebbia
 
 
È una lenta scia di muco
che si perde nel prossimo fogliame
e alzando gli occhi già mi sono perso il cielo.
Vorrei dormire, come l’uomo del Getsemani
nel suo più incerto rifugio. Ascolto passi,
brevi voci a chissà quale distanza,
rumori di portiere che sbattono e più in là
il rallentìo dei motori sulla strada.
Ora tutto è perso e niente s’è fermato:
per questo silenzio bianco, di neve,
sarebbe bastato chiuderli, gli occhi,
rifiutarsi a quest’aria invernale.