Rosso malpelo: Nerone e i “nati per i piedi”


 

La famiglia dei Domizi Enobarbi, alla quale apparteneva il futuro imperatore Nerone, aveva elaborato un racconto piuttosto bizzarro per spiegare l’origine del suo cognome, che significa letteralmente “dalla barba rossiccia”. Era capitato dunque che un remoto esponente di quella famiglia, Lucio Domizio, si era visto avvicinare lungo un sentiero di campagna da due giovani che tradivano nel loro aspetto sfolgorante la propria natura sovrumana e lo avevano incaricato di portare in Senato la notizia di una splendida vittoria militare di cui ancora nessuno era a conoscenza; e per cancellare ogni dubbio sul fatto che quella informazione aveva un’origine divina, i due accarezzarono a lungo la barba di Domizio, in precedenza nera, fino a farle assumere il caratteristico color rame rimasto poi come una sorta di eredità genetica a tutti i suoi discendenti.

Già nel mondo romano il colore rosso è oggetto di alcuni dei pregiudizi che saranno ereditati dalla cultura medievale e colpiranno ancora il protagonista della celebre novella di Giovanni Verga. E Nerone, lo abbiamo imparato sui banchi di scuola, era certo «malizioso e cattivo», anzi «un fior di birbone», come lo scrittore catanese definiva il suo personaggio: un tiranno sanguinario e matricida, divenuto nell’immaginario collettivo l’icona stessa del potere assoluto. È questo, del resto, il profilo dell’ultimo imperatore giulio-claudio a noi consegnato dalla storiografia antica: con buona pace del poligrafo rinascimentale Gerolamo Cardano, che nel suo Elogio di Nerone cercò di ribaltare il cliché, e dei non pochi moderni che lo hanno seguito sulla stessa strada.

Va detto peraltro che il principe fece ben poco per liberarsi da questa fama sinistra: forse non fu lui a volere il devastante incendio che nel 64 d.C. distrusse buona parte della città di Roma e certo quell’evento catastrofico fu la premessa di una ricostruzione razionale dell’urbe, realizzata con criteri moderni e tesa a evitare il ripetersi di analoghi disastri; ma certo non giovò alla popolarità di Nerone il fatto che negli enormi spazi liberati dalle fiamme il principe edificasse la sua Domus aurea, una residenza talmente enorme da contenere al suo interno laghi, boschi, campi coltivati e animali di ogni genere, oltre agli ambienti destinati al principe.

Ma Nerone non era solo rossiccio come tutti i Domizi Enobarbi. A quanto risultava dalle memorie scritte dalla stessa madre, il futuro imperatore era nato in posizione podalica: un parto che i Romani consideravano contro natura in quanto violava la regola secondo cui si viene al mondo con la testa in avanti, ma anche perché i “nati per i piedi” assomigliavano pericolosamente ai cadaveri che secondo la consuetudine erano vegliati in casa con i piedi orientati verso la porta. Oltre a mettere a rischio la vita delle madre, insomma, questi bambini nascevano con un presagio malaugurante, anche per via della loro contiguità con la sfera della morte: una convinzione diffusa in moltissime culture umane, che spiega perché una nascita del genere era attribuita a figure diversissime tra loro come il re inglese Riccardo III, protagonista di una celebre tragedia di Shakespeare e non meno sanguinario di Nerone, o il malvagio per eccellenza della tradizione cristiana, Giuda, al quale, per non sbagliare, l’iconografia medievale finì per attribuire anche i capelli rossi.

I Romani, dal canto loro, assegnavano ai bambini venuti alla luce per i piedi un nome specifico, Agrippa, che nella loro interpretazione significava “nato a fatica”, ed erano persuasi che chi portava quel nome era destinato a una vita infelice o a rendere infelice la vita di quanti avevano la sventura di incrociare la loro strada. A dire il vero, il nome in questione era appartenuto anche a Marco Vipsanio Agrippa, generale di primo piano, stretto collaboratore e più tardi genero di Augusto, e chiunque visiti Roma può ancora vederlo fare bella mostra di sé sulla facciata del Pantheon, uno degli edifici che proprio Agrippa fece realizzare nell’area del Campo Marzio. La sua biografia sembra dunque un’eccezione all’universale infelicità di quanti si chiamavano come lui, ma si trattava in realtà della proverbiale conferma della regola: Agrippa non solo era di salute malferma e aveva trascorso tutta la sua vita sui campi di battaglia, ma da lui discendevano le due Agrippine, madri di altrettanti mostri come Caligola e, per l’appunto, Nerone. Come volevasi dimostrare.