Ritualismo e prescrizioni alimentari in Giuliano Imperatore

Alla Madre degli dei è il discorso che Giuliano Imperatore (definito “l’Apostata” a motivo della sua volontà di ripristinare l’antico credo pagano) redige tra il 22 e il 25 marzo 362, dedicandolo alla dea di origine frigia Cibele, già da tempo importata nel cuore dell’Impero e assimilata a una grande divinità femminile dalle svariate funzioni, in conformità con lo spirito del sincretismo religioso tardoantico.

In questa orazione l’imperatore filosofo si addentra nell’interpretazione in chiave neoplatonica del mito di Cibele e Attis, mito fortemente attaccato dai Cristiani, da una parte, e dai Cinici, dall’altra. Simili letture filosofico-teologiche erano piuttosto usuali per i pensatori vicini al neoplatonismo; nello specifico, l’autore dichiara di non dipendere da alcuno a riguardo, dato che non ha neanche avuto modo di leggere le opere di Porfirio di Tiro sullo stesso tema.

Il discorso si apre con la storia del culto della Magna Mater, introdotto a Roma al tempo della terza guerra punica. Segue l’esegesi del racconto mitico di Attis. Giuliano spiega che questo dio, al gradino più basso nella gerarchia divina, rappresenta il principio del mondo intelligente che discende e mette ordine nel divenire. La mutilazione subita da Attis ha una valenza positiva, in quanto simbolizza l’arresto della commistione tra l’elemento intellettuale e la materia, mentre il richiamo presso la Grande Madre è la risalita, il ritorno dell’anima presso la sede celeste.

Di particolare interesse è la parte finale, dedicata alle prescrizioni alimentari in rapporto ai riti. Qui Giuliano presenta, motivandoli, una serie di divieti imposti dalle sacre leggi della dea. La tradizione filosofica conosce le norme prescrittive in ambito alimentare, riferibili al pitagorismo e fulcro delle riflessioni di Plutarco (nell’opera De esu carnium) e di Porfirio (in De abstinentia ab esu animalium), che vertono intorno all’astensione dalla carne. In particolare, nel trattato di Porfirio il vegetarianismo è motivato tanto dal rispetto verso gli animali quanto da una pratica ascetica tesa a escludere un’alimentazione che stimola le passioni: «La dieta senza carne contribuisce non solo alla buona salute, ma anche alla conveniente resistenza alle fatiche della filosofia (de abst. I, 2, 1). In questo modo lo stile di vita vegetariano agevola l’accesso alla salvezza. Per evitare di estirpare i vegetali dalle loro sedi naturali – osserva Porfirio – ci si può nutrire di quanto cade spontaneamente a terra o si secca, come la frutta e i legumi. Si riporta inoltre un’abbondante documentazione sulle abitudini gastronomiche e rituali delle diverse culture dell’antichità e della tarda antichità; apprendiamo così che i Fenici e i Giudei si astenevano dal mangiare il maiale e la vacca e i Siriaci dai pesci. Nel contestare l’obiezione secondo cui è lecito uccidere gli animali, in quanto gli dei apprezzano il sacrificio cruento, il filosofo di Tiro ricostruisce la storia del sacrificio, che sarebbe iniziata con offerte di vegetali, frutta e fiori, per poi degenerare nel corso del tempo.

Per tornare a Giuliano Imperatore, è subito evidente che questi, pur attingendo verosimilmente al pitagorismo, fa riferimento a un insieme di consuetudini che esulano dal credo vegetariano in senso stretto. Nel dettaglio, Giuliano precisa che la sacra legge permette l’uso della carne, ma vieta quello dei semi, benché possa sembrare paradossale che sia consentito il consumo di cibi impuri, pieni di sangue e pregni di sofferenza; il motivo di ciò è che i semi si trovano sotto terra, e la terra è l’ultimo degli esseri. A tal proposito si richiama il punto di vista di Platone, secondo cui nella terra si muove il male scacciato dagli dei (Teet. 176a). Perciò la dea, generatrice di vita, proibisce di far uso di quanto si immerge nella terra, esortandoci a sollevare lo sguardo in alto. Sono consentiti quei frutti e quelle verdure che si elevano nell’aria: è lecito cibarsi dei gambi, ma non delle radici. Non è permesso mangiare i pomi, in quanto «sacri e dorati», immagine dei misteri iniziatici. Sono bandite le melegrane, in quanto ctonie, e i frutti della palma, sacri al sole. Il divieto si estende ai pesci, i quali, immersi nelle profondità delle acque, sono da ritenersi più ctoni dei semi. L’autore ricorda che quest’ultimo impedimento è comune anche agli Egiziani (si è detto poco sopra che Porfirio aveva attribuito ai Siriaci l’astensione dal pesce). È invece possibile mangiare gli uccelli e i quadrupedi, ad eccezione del maiale; questo animale, reputato impuro presso vari popoli (come riportato dal filosofo di Tiro), viene bandito sia per la natura ctonia della sua figura, sia perché la sua carne è escrementizia e grassa; inoltre le sue caratteristiche fisiche gli impediscono di guardare verso l’alto.

La trattazione sugli usi alimentari termina con l’esposizione della teoria per cui l’anima, irradiata dalla luce divina, conferisce vigore ed energia al soffio vitale, garantendo la salute del corpo; tutte le malattie derivano infatti da una alterazione del soffio vitale. Anche il corpo, quindi, trae supporto e salvezza dai riti di purificazione.

Al di là degli specifici aspetti che la distinguono dalla tradizione del vegetarianismo antico, l’orazione Alla Madre degli dei testimonia una visione olistica dell’essere umano, caratterizzata da una netta interdipendenza tra la dimensione fisica e quella psichica, spirituale. Il seguace della dea, purificato nel corpo e nell’anima, potrà partecipare nuovamente all’originaria comunione con l’ultrasensibile, sperimentando uno stato di intera, perfetta beatitudine. È così che l’imperatore “apostata” si fa propulsore di una religione filosofica volta all’armonia e al perfezionamento di sé, in una mistica interiore di grande modernità.