Quando l’immagine supera il racconto: il mito di Pegaso e la distanza dai testi


 

Non tutti i miti hanno la stessa sorte. Alcuni passano dal mondo classico alla dimensione fantastica dell’età moderna senza incontrare il favore di poeti e narratori, mentre altri hanno la fortuna di vedere perennemente rivisitate e cantate le proprie forme e vicende. Eppure tutti hanno lasciato un segno ugualmente profondo nell’immaginario contemporaneo, e dove manca il racconto spesso intervengono le rappresentazioni iconografiche a fornire il supporto alla fantasia e all’invenzione.

Strano caso, per esempio, quello di Pegaso, il cavallo alato: una delle creature mitologiche maggiormente presenti nella dimensione fantasy contemporanea, benché molto rara nelle testimonianze letterarie. La sua prima apparizione risale alla Teogonia di Esiodo, dove se ne configura l’origine legata al mito di Medusa: quando Perseo recide la testa all’unica mortale tra le Gorgoni, balzano fuori il gigante Crisaore e il cavallo Pegaso, eponimo che indica il suo esser nato presso le fonti (πηγὰς pegàs) di Oceano (vv 276 ss). Del cavallo, che non viene definito alato, si dice, però, che “volò via, lasciando la terra nutrice di greggi, giunse tra gli immortali, abita la dimora di Zeus, e a Zeus, abile mente, porta il fulmine e il tuono”. E qualche passo più avanti, lo si ritrova accanto a Bellerofonte, protagonista e complice dell’uccisione di Chimera, mostro a sua volta, rappresentato, nel corso del tempo, in varie forme, ma che nella Teogonia è un ibrido a tre teste, di leone, capra e serpe. Come e perché Pegaso sia divenuto il destriero di Bellerofonte, eroe figlio di Poseidone e di Eurinome, sposa di Glauco, e destinato a dominare su Corinto, non lo racconta Esiodo, ma Pindaro e molto accuratamente nell’Olimpica XIII, ode dedicata a Senofonte di Corinto: nella celebrazione del sovrano, di tutti i suoi mitici predecessori corinzi vengono cantate le imprese, fino ad arrivare a quelle di Bellerofonte che, grazie a quanto Atena stessa gli suggerisce in sogno, e alle briglie d’oro che al risveglio ritrova al suo fianco, riesce a domare “l’alato cavallo” (ἵππον πτερόεντa, ìppon pterόenta), a sua volta frutto dell’unione di Poseidone con Medusa, unione che, per essersi compiuta in un tempio della casta Atena, ne aveva provocato la furia vendicatrice nei confronti di colei che, proprio in conseguenza di questo, sarebbe divenuta il mostro dai capelli di serpe, capace di tramutare in pietra chiunque incrociasse il suo sguardo. Quasi fratelli, quindi, Bellerofonte e Pegaso avrebbero compiuto straordinarie imprese: oltre all’uccisione di Chimera, la sconfitta delle Amazzoni – che però Pindaro non nomina, parlando, piuttosto, dell’esercito delle donne-, e dei meno noti Solimi, un popolo molto crudele collocato nelle regioni dell’Asia minore.

Solo dopo la morte del suo cavaliere, il figlio di Medusa sarebbe tornato nella dimora di Zeus, riprendendo il suo antico compito di portatore di folgore e tuono al signore dell’Olimpo. Ma di tanta ricchezza narrativa, di tanti spunti, poco o nulla viene ripreso in autori successivi: quasi del tutto assente nella poesia latina, il cavallo alato appare rapidamente solo nelle Metamorfosi di Ovidio (IV, 786) nel racconto della morte di Medusa, dove si legge un cenno al fugace Pegaso (fugacem/ Pegason), e al fratello, qui lasciato anonimo, nati dal sangue della madre. È su di lei che il poeta latino, invece, si sofferma, rievocandone la triste condanna, determinata dalla collera di Atena. Qualche riferimento al cavallo alato si ritrova poi negli Aratea di Germanico, una delle traduzioni dell’opera di Arato di Soli (III a. C), dedicata alla descrizione delle costellazioni, perché è appunto in tal forma che l’alato destriero si sarebbe conservato nell’immaginario collettivo. Per il resto, a parte le curiose ipotesi riportate da Plinio il Vecchio a proposito dei pegasi, tace la tradizione letteraria di Roma, che, probabilmente non rimase affascinata da questo mito, mentre sul versante iconografico Pegaso conosce non solo la fortuna delle rappresentazioni artistiche quanto e soprattutto la persistenza numismatica: dallo statere corinzio (IV a. C.) il cavallo alato, rivolto verso destra e sinistra, alternato prima al volto di Atena, poi, in base al mutare del tempo e dei luoghi, a varie altre forge di “testa”, persiste nella monetazione romana e persino nella moneta da dieci lire coniata in Italia per qualche anno a partire dal 1946.

Di maggior fortuna, già in età rinascimentale e moderna, godrà una delle rivisitazioni del cavallo alato: l’ippogrifo che dalle pagine dell’Orlando Furioso, nelle quali pur convive con il cavallo magico Rabicano, destriero di Astolfo, senz’ali, ma senza peso, e capace di volare sulla luna, giunge sino ai nostri giorni con il protagonista della saga di J. K. Rowling, Harry Potter.

“Ma questa è un’altra storia…”.