Pordenonelegge 2022: Riccardo Frolloni e il progetto libro

Pordenonelegge 2022: Riccardo Frolloni e il progetto libro
 
 

Domenica 18 settembre
A cura di Elisa Longo

 
 

Riccardo Frolloni ha vinto il premio letterario di Pordenonelegge dei Poeti dei Vent’anni con il suo libro Corpo striato edito da Industria e Letteratura.

Il corpo striato è una parte del cervello deputata al movimento volontario e involontario dei muscoli. Nel libro è l’organo difettoso di Nilla, uno dei personaggi di Frolloni, che scopre di essere affetta da Morbo di Parkinson. Un movimento costante e irrefrenabile si pone di fronte alla morte. Il movimento costante del vento, presente nel libro, il movimento di chi si mette alla ricerca di un nuovo punto di riferimento.

Un movimento pluridirezionale quello impresso, signatura rerum, da Frolloni, movimento che si manifesta nel sogno, nella realtà, nel passato, nella comunità, nell’impronta delle mani che passa da padre in figlio.

non riesce a trattenersi, si muove
                          il movimento

e poi ancora

noi ci muoviamo

In questi versi e nel libro di Frolloni tutta una comunità, quella intorno alla persona che non c’è più, si muove, risponde, partecipa al lutto, prende posizione, e nuove direzioni. Persino gli oggetti spostati nella stanza per accogliere l’arrivo della salma partecipano al movimento.

Il corpo striato, questa parte del cervello, risponde anche ad alcune abitudini, ai premi e alle ricompense del mondo esterno. Il libro ha una struttura compatta, ma ariosa, dove ricordi ed elementi si sovrappongono, tutto spinge, si muove più il là, anche il verso di Frolloni, si spinge a cercare un nuovo riferimento, si spinge in più direzioni, cerca qualcosa a cui rispondere nuovamente. Una scrittura poetica che riscrive partendo da un dato biografico e si copre di nuova investitura. Il ritmo del verso è armonico e fiducioso nel suo movimento di ricerca, un vento che attraversa le pagine senza essere mai frenetico, ma che incede in più direzioni calmo e bilanciato.

 

Abbiamo chiesto a Riccardo Frolloni un commento sulla vittoria al premio dei Poeti di Vent’anni.

La gioia è stata tanta. Prima di questo libro non avevo mai partecipato a premi così importanti. Ero affiancato da due libri molto diversi dal mio e la cosa mi entusiasmava, mi sembra che questo restituisca un bello spaccato, anche se parziale della poesia italiana, e immagino quale sia stata la difficoltà della giuria a dover scegliere tra testi tutti validi e tutti diversi.

 

Come si è inserito il Mario Luzi di Nel Magma, l’opera e il poeta sul quale hai scritto la tua tesi, nel tuo lavoro poetico?

Nel Magma è un’opera molto diversa rispetto a quasi tutta la produzione di Luzi, essendo una sorta di poema in parti, composto da piccoli incontri . La cosa m’interessava molto e questo è entrato nella mia versificazione e cioè fare narrazione in maniera poetica e poematica, ma non come se fosse un poema. Questo modo l’ho ritrovato anche in un poeta canadese che ho tradotto e che è stato fondamentale per la mia formazione, Richard Harrison che ha scritto un libro dal titolo Sul non perdere le ceneri di mio padre durante l’alluvione. Harrison usa una metrica simile a quella di Luzi, naturalmente con i distinguo necessari, ma che riesce a fare una poesia che è allo stesso tempo lirica, narrativa e che usa un verso che trascina, sono versi molto lunghi, ma con un andamento interessante.

 

Come hai deciso di strutturare il lavoro di fronte al tema del lutto, tema molto importante in poesia e che hai affrontato nel tuo libro?

Stiamo parlando di un tema importante, ma è ovvio che il pericolo di scivolare nel banale o nello sciacallaggio è grande. Credo che raggiungere una naturalezza del poeta può far cambiare tutto l’assetto del lavoro. Il poeta deve diventare un medium, non inteso nel senso di mezzo, ma di porsi nel mezzo tra il sentimento e il modo in cui vuole essere letto. In questo modo il poeta si avvale della finzione per rendere un fatto privato, che non è più proprio. In questo lavoro mi sono dovuto fingere figlio, fingere il personaggio di mio padre, fingermi poeta e in sostanza fare l’operazione che chi vuole maneggiare l’arte affronta.

Nel libro oltre al tema del lutto ho trovato la necessità di affrontare in poesia la perdita dei punti di riferimento e anche un mostrare come risponde il mondo circostante, mondo inteso come comunità che sta attorno a chi viene colpito da una perdita, come risponde alla morte e all’assenza di movimento che la morte rappresenta.

Stai dicendo una cosa importantissima per me, cioè che il libro racconta in poesia la perdita di un riferimento, è una riscrittura al di là del dato biografico. Come si reagisce quando qualcosa non c’è più? Non scrivo in poesia della mia storia personale, di quello ne parlo con gli amici.

 

Quanto è importante avere uno spazio di crescita letteraria, uno spazio anche dove poter sviluppare i propri progetti letterari? Mi riferisco a Lo Spazio Letterario di Bologna di cui sei fondatore, e che recentemente ha accolto Laboratori Poesia come collaboratore (nel sito il programma dei vostri eventi, QUI).

Credo nel dialogo tra i poeti e gli artisti in generale. Partecipo a laboratori da molti anni e ho visto che cercare di mettersi in ascolto di come l’altro percepisce la poesia è utile. Stare in dialogo, un dialogo alla pari, anche banalmente scambiarsi libri, leggersi, confrontarsi, serve. A Bologna con Lo Spazio Letterario ho visto crescere chi partecipa, quando si mette in discussione. Ho visto ragazzi arrivare e scrivere testi alla Carducci, per fare un esempio, ma che poi nel tempo hanno trovato la propria voce, la propria strada da percorrere, e si vedono i risultati perché creano delle sillogi che funzionano. Inoltre i partecipanti trovano i loro compagni, trovano i loro “genitori, zii, cugini”, confrontandosi creano la propria genealogia, cioè il proprio orizzonte poetico italiano, internazionale e intergenerazionale.

È un lavoro importante perché è molto difficile far capire a chi si approccia alla scrittura poetica che questa non è il proprio diarietto personale, ma che si parte da un dato biografico per poi dare una struttura e una scrittura che si stacca e viene trasformata in esperienza universale.

Una delle cose più formative come per tutto, come anche a scuola, è perdere le illusioni illusorie: io sono il grande poeta, parlando dei miei drammoni posso stravolgere il mondo. Quando novelli poeti si mettono in dialogo con chi si è già formato o da chi ha già fatto questo passaggio, vedono la loro illusione crollare e tanti mollano.

 

Tanti mollano perché non riescono a entrare in un’ottica artistica più ampia e cioè affrontare poeticamente un tema in campo lungo, raccontando da un punto di vista, cioè scegliendo una postura di fronte a un dato argomento che però non coincide con il proprio io personale, pur magari scrivendo in prima persona.

C’è sempre questa idea che per scrivere poesia bisogna mettere qualcosa su carta, parlare di un proprio sentimento. A me piace fare sempre l’esempio dei grandi musicisti. Sono artisti che si esercitano quotidianamente per anni e allora perché al poeta dovrebbe servire solo un sentimento, l’estro di un bicchiere di vino per poter essere poeta? È un lavoro costante che si deve fare necessariamente: leggere, studiare, praticare, scambiarsi libri, buttare via opere, confrontarsi, scontrarsi, starci bene e starci male. È un passaggio di crescita che abbiamo fatto tutti.

 

E la discriminante per crescere è superare la frustrazione, mettersi in discussione, scrivere e studiare.

 
 

Riccardo Frolloni nasce nel ’93 a Macerata. Laureato in Italianistica, pubblica la plaquette Languide istantanee Polaroid (Affinità Elettive 2014) e Corpo striato (Industria & Letteratura 2021). Insieme all’artista Giulio Zanet ha pubblicato il libro d’arte Claustro (Edizioni Gei 2021). Ha tradotto Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione di Richard Harrison (’roundmidnight edizioni 2018), Non praticare il cannibalismo, antologia dell’opera di Ron Padgett (Del Vecchio Editore 2021). È stato direttore del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna e ha lavorato per la School of Continuing Studies dell’Università di Toronto come lettore e assistente. Scrive per la rivista musicale «Impatto Sonoro» e ha fondato il progetto Lo Spazio Letterario. Insegna italiano e latino nei licei.