Poeti che incontrano poeti, all’incrocio dei versi, del tempo e dello spazio

Accade talvolta che poeti incontrino poeti, facendosi beffe di spazio e tempo, o di qualunque altra dimensione possa impedirne la circostanza. È accaduto, dunque, che Silvio Mattoni, poeta argentino, nato a Cordova nel 1969, abbia incontrato alcuni antichi poeti latini, tra cui Giovenale, o – come preferisce chiamarlo – Giunio, poi Properzio e, prima ancora di loro, Livio Andronico, dal cui verso la letteratura latina, secondo la tradizione, ebbe inizio. Ed è accaduto che da questi incontri siano nati ritratti densi di una lirica cui è possibile, ora, prender parte grazie all’intuizione di Igor Esposito, poeta italiano nato a Napoli, che li sta traducendo in questi mesi dallo spagnolo.

Livio Andronico
 
Enfermo, abandonaba Roma, en las afueras
está su villa tranquila, los recuerdos
de discursos, placeres y dolores
esperaban en vano acompañarlo.
Quizá una lágrima extraña perturbó su mirada,
hacia el cielo, recitando
en silencio versos griegos, despidiéndose
sin poder traducirlos con mayor precisión;
pero igual agradece lo dado por los dioses:
dos lenguas, por instantes, sonriéndose en sus manos
cuando Marcia leía sobre sus hombros fuertes
en palabras latinas el mensaje de Homero.
 
 
 
 
Malato, abbandonava Roma, nei sobborghi
c’è la sua villa tranquilla, rimembranze
di discorsi, piaceri e dolori
aspettavano invano accompagnarlo.
Forse una rara lacrima perturbò il suo sguardo,
verso il cielo, recitando
in silenzio versi greci, congedandosi
senza poterli tradurre con maggior precisione;
tuttavia grato a ciò che gli donarono gli dei:
due lingue, per un istante, sorrisero nelle sue mani
quando Marzia lesse sulle sue forti spalle
con parole latine il messaggio di Omero.

La traduzione poetica di Igor Esposito, ancora in fase di elaborazione, è partita da alcune liriche tratte dalla prima raccolta di Mattoni: Il bizantino, edita da Alciòn (1994) e ripubblicata nell’antologia La división del día, Mansalva (2008). E rivela, essenzialmente, un’aderenza impressionante con il testo di partenza, che a sua volta aderisce in modo quasi commosso alla figura dell’antico nell’orizzonte immoto della classicità: Livio Andronico, primo nome in cui si imbatte lo studioso di letteratura latina, ha finalmente la possibilità di esistere come personaggio di una storia che esce dal manuale per colorarsi di tinte umane. Il travaglio della composizione in transito da una lingua all’altra, la fatica della traduzione poetica cui Livio Andronico consacra la sua attività letteraria, rivive nella parola di Mattoni, poeta traduttore di poeti, che trova nella versione di Esposito, poeta a sua volta traduttore di poeta, un riflesso fedele. Due lingue, per un istante, sorrisero nelle sue mani: si impone quella che resta la più emblematica tra le espressioni del Mattoni, la gioia più grande del poeta che sa quanto sia improbabile poter “dire quasi la stessa cosa” in una lingua diversa dalla propria, rammaricandosi, costantemente, come Livio Andronico, di congedarsi senza poter tradurre con maggior precisione. A dispetto delle ere e delle lingue, i poeti, tuttavia, si riconoscono e si scelgono, si intuiscono e sanno prestarsi la voce: Mattoni disegna il proprio orizzonte di suggestioni classiche; non solo autori, ma anche alcune tra le loro storie. Trovano posto, nei suoi versi, un Epitaffio canino, in omaggio ad Omero, e all’Argo di Ulisse, così come L’ombra di Achille in cui il desiderio di Briseide si impone come sostanza unica nella parola dell’eroe che chiede, supplice, ad Ulisse: Non parlarmi della morte, Ulisse, parlami di lei, / molti anni passarono, i suoi capelli conservano ancora/ l’oscurità delle piume di un corvo, cadono/ appena come un velo sopra i suoi occhi? (No me hables de la muerte, Ulises, háblame sobre ella, /muchos años pasaron? su pelo aún conserva/ la oscuridad de las plumas de un cuervo, cae/ apenas como un velo sobre sus ojos?).

Potrà, forse, accadere, grazie a sperimentazioni come questa, che si nutrono di coraggiose intuizioni e inspiegabili rispecchiamenti che poeti perennemente in bilico tra fama e oscurità, incerti tra l’adesione a una codice, e la rottura dello stesso, persistano nell’immaginario lirico dell’umanità, spaziando da un emisfero all’altro, come accade per Properzio, poeta elegiaco di età augustea, che rivendica più dello spazio di una lirica ai dissidenti di ogni tempo:

 

Properzio

Accusato d’oscurità, scrissi elegie
dove avrei potuto conservare la verità e la storia
della mia epoca offuscata, ma
sento davanti alla luce crepuscolare, il silenzio
prodotto dalle cose nella mia voce,
aver perso già la gioventù, avvicinarsi
un tocco fatale e la disseminazione
della misura dei miei versi, la dispersione
della mia memoria; tuttavia,
cerco stile e parole questa sera,
forse temendo di non essere compreso,
se qualcuno almeno ci provasse, credo,
non romperebbe questo incorretto scritto

 
 
 
 

Propercio

Acusado de oscuridad, escribí elegías
donde pudiera guardarse la verdad y la historia
de mi época ensombrecida, pero
siento ante la luz crepuscular, el silencio
producido por las cosas en mi voz,
haber perdido ya la juventud, acercarse
un toque fatal y la diseminación
de la medida de mis versos, la dispersión
de mi memoria; sin embargo,
busco estilo y palabras esta tarde,
tal vez temiendo no ser comprendido,
si alguien siquiera lo intentase, creo,
no rompería este incorrecto escrito.