Poesie a Beny – Filippo Tommaso Marinetti

Bozza automatica 313

Poesie a Beny, Filippo Tommaso Marinetti (Diana Editore 2018).

Uno dei luoghi letterari più tradizionali è quello del canzoniere, nel quale viene trattato il più delle volte un solo tema: l’amore, corrisposto o meno che sia. Sembra strano, allora, trovare in questo filone anche il più iconoclasta e violento avanguardista della storia italiana: Filippo Tommaso Marinetti.

Eppure è così: nel 1971 vennero infatti scoperte (e pubblicate da Einaudi, sebbene in un’edizione a quanto pare poco attenta sul versante filologico e bibliografico) le Poesie a Beny, una raccolta di poesie in francese dedicate alla moglie Benedetta Cappa, pittrice e scrittrice, anch’essa molto attiva nel movimento futurista fondato dal marito. Si tratta di poesie in francese, che per Marinetti, come per D’Annunzio, era una seconda lingua madre (e, come per il Vate, una lingua sentita come più intima e al contempo essenziale). In questi versi, mai pubblicati in vita e pensati ad esclusivo uso privato della coppia, ci viene restituito un Marinetti libero dalle urgenze futuriste e sperimentali, consapevolmente inserito in una tradizione che affonda le sue radici negli anni francesi della sua formazione, quando il Nostro era promettente poeta simbolista-liberty. Non che questa silloge sia scevra da momenti di autentico paroliberismo (peraltro, a quanto pare, auspicati e pretesi dalla stessa Benedetta): anzi, sembrerebbe quasi che il bagaglio sperimentale e simbolico che Marinetti maturò lungo tutta la sua carriera trovi il suo naturale collocamento in questo breve canzoniere, al quale il poeta lavorò a partire dal 1920 e seguitò a farlo per quasi un ventennio. Le occasioni autobiografiche in esso descritte sono trasfigurate attraverso parole in libertà e lunghe liriche in versi sciolti, ma anche in precisi alessandrini e addirittura sonetti; la tavolozza musicale e tematica tocca sia il gesto di estenuante vitalismo tipico del futurista, che l’ammirazione per l’esotico e il primitivo, elementi visti come portatori di energia e verità. Questo coacervo di aspetti apparentemente slegati e contradditori creano tuttavia una dimensione ieratica, quasi di preghiera, come acutamente nota la prefatrice della presente edizione (Diana, 2018), Giusi Baldissone. Non ci si sorprenda: quale migliore luogo della preghiera, della contemplazione mistica per trovare evocazioni potenti, commossi salti logici, slanci di sentimento e abbandono e al contempo un aggancio a qualcosa di più antico di noi, eppure sempre presente? Non basta: Baldissone individua un percorso dantesco da parte di Marinetti, a partire dalla progressiva assunzione di Benedetta ad una dimensione celeste, dove la donna è contemporaneamente ritratta nel ruolo di eroina futurista avvolta nella voluttà dell’estate e in quello di Vergine Maria (soprattutto dopo la nascita delle tre figlie che ebbe con il marito), passando attraverso richiami più o meno espliciti alla Vita nova e ad atteggiamenti di totale resa di fronte all’amata.

 

Federico Rossignoli

 
 
 
 
Oceano Equatore oh caldaia impazzita
lavanderia immensa di continenti sommersi
i cui vasti incensi e i fermenti d’inferno
hanno ostruito l’oblò del sole navigante
Oceano tu mi chiudi nel cuore di Beny
bianca cabina dove passa sfrecciando la rondine di mare
Oceano-belva formato da centomila lente schiene
di elefanti in marcia liquida
sul grande arco rosa delle sere umide
Oceano indolente di una greve felicità cupa
che senza fine mi propone
il suicidio orizzontale
di andarsene di onda in onda lontano laggiù
al di là delle solitudini amare
Tu mi disponi a conoscere meglio
l’infinito del suo fascino
ad assaporare l’aroma e il gusto profondo
del suo sangue più vasto del tuo
Oceano consanguineo!
L’agilità elastica della sua pelle tropicale
il frutto succoso della sua bocca immortale
e i grandi fiotti ritti
della sua intelligenza abbagliante
che aprono le tenebre
davanti a questo promontorio dal profilo di Cesare
che cammina imponendoti le sue leggi Oceano-belva
 
(A BORDO DEL GIULIO CESARE – 5 MAGGIO 1926)
 
 
 
 
Ballata a Beny
 
Passare languidamente dall’acciaio alla rosa
Estrarre un po’ d’aurora dal cuore della sera
Sorridere all’Infinito che la speranza cela
Lasciare che il futuro cada come una pera
Un dolce lasciar fare certo è una buona cosa
 
Farfalla ogni giorno sorride all’avventura
Ma ogni sera ritorna all’oasi calma e pura
Assopirsi sul cuore di una rosa assopita
Sognare scettro e oro negli occhi dell’amata
È certo la musica ideale per la vita
 
Le ali del mio Angelo dalle piume di opale
Han cullato sul mare il tramonto infernale
Io navigo tra loro coi miei alberi sacri
E i miei demoni gonfi di spezie nella stiva
I velieri protestanti subiranno massacri
 
 
 
 
Commiato
 
Ti dedico questi quindici versi alessandrini
Domati dalla legge e sottomessi al destino
Tu preferisci il verso libero ma amali comunque
E non dimenticare: la vecchia fedeltà
È la più nuova delle parole in libertà.
 
Traduzione di Lorenzo Fiorito
 
 

Arbasino diceva che Marinetti, insieme a D’Annunzio, è il più grande cadavere in cantina di tutte le letterature di tutti i tempi. Alla rimozione di questi cadaveri illustri ha certo contribuito il loro rapporto con il fascismo (sebbene i recenti lavori di studiosi come Giordano Bruno Guerri dimostrino storiograficamente le criticità e la sostanziale distanza dei due poeti verso il regime), che ha messo in disparte l’enorme influenza che il loro lascito culturale ha pur avuto in Italia e all’estero, consapevole o meno che fosse tale influenza. Questa edizione delle Poesie a Beny è un ulteriore, interessante passo nella direzione di una doverosa presa di coscienza di tale eredità.