Poesía Italiana / La Lengua Incansable – 10 Voces Contemporáneas


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Da tempo ormai in Italia ci stiamo interrogando sullo stato di salute della nostra poesia. Ne sono prova le varie antologie, i censimenti. Anche i giornali, quelli che mantengono la rubrica di settore, talvolta provano una mappatura che quasi sempre appare incontestabilmente corretta pur mancante di pezzi fondamentali (con dichiarazioni contrastanti tra chi vuole la poesia morta e chi invece vede un suo nuovo risorgimento). Allo stesso modo con ciclica ritualità appaiono operazioni editoriali che hanno come obiettivo la proposizione di voci nuove (ad esempio I nuovi poeti italiani di Einaudi e I quaderni di poesia italiana coordinati da Franco Buffoni), premi letterari che negli anni hanno consolidato importanza e prestigio (fra tutti il Viareggio, il Camaiore, il Pagliarani, il Fogazzaro), riviste che cercano con lodevolissima costanza di fotografare lo stato della poesia (Poesia, Nuovi Argomenti, Atelier) e non ultime le riviste cartacee e online che promuovono lo scambio interculturale puntando alle traduzioni (ad esempio il Centro Cultural Tina Modotti, Italian Poetry Review, Laboratori Poesia, Iris News di Chiara De Luca).

La difficoltà a rispondere a questa domanda deriva dalla complessità del panorama contemporaneo che negli ultimi vent’anni della storia nazionale (e potremmo arrivare addirittura a dire trent’anni) si è dimostrato all’insegna della moltiplicazione, della pluralità delle voci. Si ricorda ancora l’antologia pubblicata da Luca Sossella Editore nel 2005, Parola plurale, sessantaquattro poeti italiani fra due secoli a cura di Giancarlo Alfano, Alessandro Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli e Paolo Zublena. Ma anche l’antologia Poeti italiani del secondo novecento (Mondadori 1996, 2004) a cura di Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi, che contava 71 autori. O Il pensiero dominante, Poesia italiana 1970-2000 (Garzanti 2001) a cura di Franco Loi e Davide Rondoni, che contava addirittura 157 nomi. O Dopo la lirica (Einaudi 2005) a cura di Enrico Testa, che contava 43 poeti.

Per ricordare operazioni più recenti possiamo citare Poeti degli Anni Zero, gli esordienti del primo decennio a cura di Vincenzo Ostuni (Edizioni Ponte Sisto, 2011) che conta 13 poeti. Poesia Presente in Italia dal 1975 al 2010 (Raffaelli Editore 2011) a cura di Francesco Napoli, che conta 27 inserimenti. Antologia di poeti contemporanei: tradizioni e innovazione in Italia a cura di Daniela Marcheschi (Mursia Editore, 2016) che ne conta 21. Passione poesia, Letture di poesia contemporanea, 1990–2015 (Edizioni CFR, 2016) a cura di Sebastiano Aglieco, Luigi Cannillo e Nino Iacovella, che conta ben 115 nomi.

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Quando Juan Arabia, ottimo Editore della Buenos Aires Poetry, mi ha commissionato quella che era molto semplicemente un’idea, ovvero il mostrare al pubblico argentino uno scorcio della poesia italiana attraverso alcuni suoi autori, pur non dovendo chiaramente confezionare un’antologia mi sono dovuto comunque scontrare con la frammentazione delle voci composta da centinaia di nomi che coesistono privi di una grata di riferimento, di un canone. Spesso si accusa di questa parcellizzazione la critica, la sua presunta latitanza, per scivolare poi nel solito discorso del disinteresse generale verso la poesia che, a ben vedere, è ormai assolutamente superato. Direi addirittura anacronistico.

In Italia ormai da anni abbiamo un florilegio di manifestazioni poetiche (su tutte si pensi a Pordenonelegge) e di laboratori. Dai Corsi di Poesia e i Ritiri Poetici della Samuele Editore a Molly Bloom di Gilda Policastro (per fare solo due esempi) la poesia desta interesse e, pur non attraendo masse enormi (anche se qualcuno potrebbe ben sottolineare i vari Lello Voce, Dome Bulfaro e via dicendo che con i poetry slam ricalcano, per quanto riguarda la presenza di pubblico, quasi la dinamica di un concerto) ha un suo seguito importante e che cresce costantemente nel tempo, varia, si amalgama coi poeti stessi. Si deve inoltre prendere atto di una tendenza chiara e palpabile della poesia contemporanea se vista dal lato editoriale. I grandi editori hanno preso l’abitudine di mantenerla con un numero di titoli annui irrisorio e questo ha fatto sì che la maggior parte degli autori, anche quelli provvisti di pubblicazioni importanti, si spostassero verso i piccoli-medi editori che a tutt’oggi rappresentano la vera fucina della poesia italiana.

Antonio Nazzaro
traduttore

Ed è stata fondamentalmente questa considerazione, accordata col traduttore Antonio Nazzaro e l’editore Juan Arabia, a fornirmi non tanto un criterio di scelta quanto un punto di vista attraverso il quale definire non più di dieci autori per fa sì che ognuno avesse uno spazio sufficientemente adeguato (una delle antologie di poesia italiana che più ho apprezzato, e che non ho citato poc’anzi, è Poesia contemporanea dal 1980 a oggi, storia linguistica italiana, Carocci 2007, a cura di Andrea Afribo e che raccoglie “solo” 8 autori). E il punto di vista, di osservazione, che abbiamo assunto è appunto quello di un piccolo operatore del settore. Dieci nomi che raccontano una parte del panorama nazionale. Dieci poeti (in realtà nove, c’è anche il sottoscritto) che nella mia vita di autore ed Editore ho incontrato e con i quali ho scambiato opinioni, riflessioni, di cui sono stato a vario titolo testimone della ricerca sulla lingua che è anche studio della poesia altrui. Quasi tutti sono infatti anche promotori culturali, sono figure di riferimento per altri poeti. Sono persone che vivono la poesia come un laboratorio continuo, chi in una casa editrice, chi in una rivista, chi come organizzatore di eventi e via dicendo.

Nasce così La lengua incansable, doverosamente sottointitolato 10 voces contemporaneas. Il titolo deriva da un verso inserito nell’antologia la lingua instancabile del mare ci riempie le orecchie (di Giovanna Rosadini) che in qualche modo riflette la ricerca che ogni autore inserito (Alessandro Canzian, Roberto Cescon, Federico Rossignoli, Sandro Pecchiari, Alberto Toni, Luigi Oldani, Giovanna Rosadini, Luigia Sorrentino, Gian Mario Villalta, Giovanna Frene) compie sulla lingua, appunto instancabile. Piena di storia, di possibilità, che si scontra con la sua stessa complessità ma che sa sempre rinnovarsi, riscoprirsi. La lengua incansable nasce anche da un incontro con Antonio Nazzaro all’interno del portale Laboratori Poesia. Straordinario e generosissimo traduttore impegnato quotidianamente nel far leggere poeti in lingua italiana e poeti in lingua spagnola, Antonio fa parte di quella comunità (anche di poeti, poeta lui stesso) che considera la parola un lavoro comune, una condivisione costante.

Un lavoro instancabile.

Alessandro Canzian
 
 
 
 

Poesia Italiana / La lingua instancabile – 10 Voci Contemporanee
Traduzione di Antonio Nazzaro

 
 

Alberto Toni
da Il dolore (Samuele Editore 2016)

 
 

Alberto Toni
foto di Dino Ignani
Che traluce nel buio a occhi aperti?
Scende più giù nel crollo, una tempesta
di sabbia e caldo, feritoia per gli occhi
e il cuore, l’asta di guerra. Guerra di natura,
di terra e limbo, pietà per gli inascoltati,
a un passo appena, case e insegne, strade
e oggetti, scarpe, maglie, legno, pietra.
 
 
 
 
 
 
Tempo di madre antica se nel volto
ora lucido traspira l’aria di giovinezza,
lascia, respira lontano il tempo dell’origine.
Gli occhi chiusi e il braccio morbido. Poi
quando spira il vento del dolore, per tutti noi,
per tutti i crolli e gli scempi che non capiamo.
 
 
 
 
 
 
Non il tempo, ma i tempi: quelli
dei ritratti e dei cieli mobili,
angeli piegati verso il basso,
schiere, viluppi, antichi
turbamenti. Fin qui, fin dove
sparsa la vita accetta le lingue
e le ragioni, il destino e il torto,
la lunga strada, gli interni, i
fuochi delle stelle, il pericolo
che sale a notte, le pareti e le
ombre, la triste tenaglia, il
lungo declino dell’occhio.
 
 
 
 
 
 
Prendilo il movimento, abbraccialo,
nell’ombra, sotto il sole freddo
di dicembre, che non sfugga
o riprenda il cammino all’alba
dei mutamenti, strade, asfalto,
brusche frenate e strappi,
i tuoi teneri drappi,
le madri, i padri,
come fosse ieri.
E non importa se
tra nebbia e varco
qui si spende di più.
 
 
 
 
 
 

Federico Rossignoli
Inediti

 
 

Federico Rossignoli
LEDA E IL CIGNO
 
Su di me si spegne il volo.
Il mio corpo è sua custodia,
dalle gambe al collo il collo
lungo è fiume che s’ingrossa.
Poi, spiegato, si disperde.
Mi rimango contemplata
piume fra la cosce e covo
la vendetta, senza alcun rancore.
 
 
 
 
 
 
MENELAO
 
Lei non mi ha lasciato:
l’amore se l’è presa,
l’ha condotta via, schiava,
e la tiene in sposa
dietro a mura di corpi
vigorosi e bronzo,
le porte splendenti ben serrate.
Le mura si abbattono,
i corpi si svuotano,
si può far tutto questo
restando amorosi?
Io credo di si: intanto
uccido.
 
 
 
 
 
 
DIOMEDE
 
Mi chiesero, che hai fatto?
Quel che faccio è battermi,
non è affar mio e nemmeno
il sorriso che mi sbecca
il volto. Dirò che è una
Dea a concedermi di farle
da bipenne, spada e scudo.
Ella è casta e feroce,
deride le mie ferite,
graffi alla mano o aste
nello stomaco non cambia;
mi solleva dalla morte,
per i lunghi capelli mi tiene
finché reggerà, la chioma, il corpo
armato – com’è dura farsi lievi.
 
 
 
 
 
 
ELENA
 
Mi lasciai trovare nuda
perché il sangue non sporcasse
i vestiti e rimanesse
dietro a me qualcosa di pulito,
testimone che la luce
non potevo rifiutare.
Qui, tra i seni, c’era il solco
per la spada, per piantarla.
Sciocco, debole maschiume!
La mia nudità divenne torre
indurita dagli scudi –
furono da allora queste altezze
le segrete dove mi rinchiusi.
 
 
 
 
 
 

Sandro Pecchiari
da Verdi anni (Samuele Editore 2012)

 
 

Sandro Pecchiari
IL MAGLIONE STRAPPATO
 
ho liberato gli anni
nello sventare di braccia
e di lenzuola
scrollando forme nuove
nel flettersi dell’aria
 
la solitudine rimbosca
trucchi per sorridere
e mi batte convinta
come in un applauso
 
così tengo la vita
in un maglione strappato
un nastro un mantello nel vento
il mio restare
 
 
 
 
 
 
ANNI VERDI
 
“verdes anos” canta un fado…
verdi? sì, verdi nel suono
che riavvolge le persiane del passato.
verde? certo, verde fresco,
innescato nelle gemme delle scelte,
che si apre in vetro scuro
per le gazze, per i falchi.
 
verde, certo, quello dolce degli occhi
tra le rughe, che dimentica le mani
e il tuo pulsare.
 
verde, forse il verde buio degli amori
resi lisi e regalati per stanchezza
a chicchessia.
 
verde marcio, verde bile del rifiuto,
della lotta per le spoglie.
 
verde, sempre verde, che non vedi,
che non senti, verde, certo, verde
luce, abbacinante
nel setaccio dei bilanci,
emozione di smeraldi rinnovati,
del sorriso, il tuo sorriso
spalancato dentro l’aria
e sperduto tra la gente.
 
 

da Le svelte radici (Samuele Editore 2013)

 
 
PANTA RHEI
 
Camaleonte inciso di pianure
e fauci lente di foci
il golfo oggi
ripercorre i colori delle nubi.
Un falco s’alza.
Alla cautela di perla dell’autunno
io intreccio miti antichi
e notizie d’ogni giorno
taccheggiando il giornale del vicino
fissando immobile mentre tutto scorre.
 
E scorrendo sul foglio
intreccia alle mie mani
Penelope il coraggio della reclusione
d’una mente invasa,
la mia che scorna, la sua forte d’olivo.
 
Intenti a dipanare quanto tramato,
la paura e la prudenza, in prudente gioia
aiutandoci a ritessere,
dice che posso, che devo
che Ulisse verrà alfine
che siamo ancora pedine nel suo viaggio
e lui nel nostro.
 
 

da An Unrehearsed Flood / L’imperfezione del diluvio (Samuele Editore 2015)

 
 
X
 
attendendo senza fine
inceppando il sole nell’andare
un silenzio impauriva vasto i movimenti
e la notte non spiava sogni
ma un suono di commiato
 
non mi sveglierò
 
la rotta si biforca
come una cerniera
 
 
 
 
 
 

Alessandro Canzian
da Il colore dell’acqua (Samuele Editore 2016)

 
 

Alessandro Canzian (Italia) - ita/espa
Alessandro Canzian
foto di Dino Ignani
OLGA
 
La ragazza di nome Olga
è una ragazza che non conosco
né me ne sono mai innamorato.
Ma se me la immagino la penso
con la pelle bianca come i capelli
di mio padre, e il seno grosso
– ma la memoria non fa vedere –
e con l’utero profondo
come il buio dentro un uomo.
 
 
 
 
 
 
La ragazza di nome Olga
cammina ogni sera alla mia porta.
A mezzanotte, undici e qualcosa,
coi tacchi ben calcati
a farsi ricordare. Qualcuno
so si è lamentato. Poi l’altra
notte l’ho sentita urlare
appesa alle mani del compagno.
 
 
 
 
 
 
Ieri si chiamava Olga, domani, Carla.
Il suo nome non ha importanza
nel trascorso del racconto. Il suo
dolore è uguale al suo piacere, Olga
sa che il bene e il male sono pari
oltre il tappetino che divide dall’esterno
il tessuto molle della vita.
Si prega di bussare per entrare.
 
 
 
 
 
 
La ragazza Olga è una ragazza
che veste sempre ben curata,
raffinata, fin nelle fessure.
Parla correntemente quattro lingue
o cinque, non l’ho mai sentita.
Viaggia spesso per lavoro.
È dalle intercapedini del muro
che conosco la sua fede, notturna,
quando prega Dio con le ginocchia.
 
 
 
 
 
 

Giovanna Rosadini
da Il numero completo dei giorni (Aragno 2010)

 
 

Giovanna Rosadini
foto di Dino Ignani
CAGE WITHIN A CAGE
 
Quest’inizio c’è già stato, molto tempo
fa: vuoto sospeso dentro un altro vuoto,
riecheggiata eleganza del gioco – muovendo
dall’informe scuro e roco. Un mondo
è germogliato sui rifugi, nominato foglia
a foglia, stella a stella, sostanza sillabata,
fatta piena – parole accorse a dare forma,
materia germinata, vita moltiplicata sopra
la traccia di un’altra vita, membrana sbiadita
fino al nulla e rinverdita. Quest’inizio parla
una lingua riesumata, fissata nell’eterno
istante in cui è già stata pronunciata –
eternamente prossima ad essere dimenticata.
 
 
 
 
 
 
NELL’ANNO BISESTILE
 
La neve sgocciola giù dai tetti, cade
a piccoli tocchi dai rami, gli alberi
sgravati rialzano la testa, si rimettono
in piedi. Le strade ritrovano i colori
spenti dell’inverno, i rumori si allargano
di nuovo fra le case. Si scioglie l’assedio
del freddo, un’aria più tenue passa
sulla pelle, gonfia il torace. Poter dire
la luce del mezzogiorno, nordica e tersa
sopra la città riaperta al cielo, ovunque
nel palpito diffuso e senza ombre, senza
nubi. Potersi muovere sincroni a questo
disgelo, nei passi slacciati.
 
                                  Potersi affidare.
 
 

inedito, da Fioriture capovolte

 
 
Respiro nel respiro, ascolto la notte.
Ombre lunghe tendono abbracci,
invitano a proseguire oltre la siepe
sul confine dello sguardo. Accade,
ancora, di ritrovarsi nudi, esposti.
Restare allora nella notte, accogliere
la sua lusinga è un balsamo per chi
non lascia tempo alla paura, tenebra
è una parola che risolve e cura.
 
 
 
 
 
 
Se volessi potrei essere un inizio di frase,
indizio che fa posare il tralcio ormai reciso
per cercare nel solco il germoglio nuovo
affacciato sulla zolla, sapienza implicita che trova
da sola orientamento, farsi strada dall’oscuro
fino all’alito di luce e all’aria che ravviva
l’impura dolcezza che si espone…
La forma che abitiamo ora non ha nome.
 
 
 
 
 
 

Luigi Oldani
da Haiku italiani (Samuele Editore 2016)

 
 

Luigi Oldani
Leggo a letto
dolce è non capire
l’alba d’autunno.
 
 
 
 
 
 
Mi guarda Ada
s’apre il suo mondo
divento gatto.
 
 
 
 
 
 
Di ogni fiore
ogni petalo esiste
per tutto il tempo.
 
 
 
 
 
 
Guardo fuori:
profumo di silenzio
tutte le stelle.
 
 
 
 
 
 
Se non ci sei
annaffio i fiori:
verde una foglia.
 
 
 
 
 
 
Come muore
il giorno senza vento
cade la stella.
 
 
 
 
 
 
Tace il campo
La vite del Chianti
Ingiallisce.
 
 
 
 
 
 
Quando piove
qualcuno si muove
non siamo soli.
 
 
 
 
 
 
L’erba ricresce
sotto il ginocchio:
il mio cuore.
 
 
 
 
 
 

Roberto Cescon
da La gravità della soglia (Samuele Editore 2010)

 
 

Roberto Cescon
foto di Giada Centazzo
Le parole quando s’impadronivano
dei giorni era un modo per salvarsi,
il solo. Di fronte a quelle teorie
di alberi rosa aveva un senso allora
guardare e metterle insieme
senza però riuscire le ferite
e i brividi a sentirli sulla pelle
che significa vivere.
 
 
 
 
 
 
La gravità della soglia divora
nel sangue l’istinto maroso
gettarsi in avanti come un migrante
perché c’era sempre qualcosa, avere
periodi, le mezze misure,
la paura di spingersi più in là
persino dell’endecasillabo,
ma dovremmo essere un’altra generazione,
invece ci hanno insegnato a pensarci
neutrini senza saperlo.
 
La distanza dal diventare è vivere
o scrivere tutti quei passi
e, mentre ti volti, già sei entrato
in un destino, come i mughetti
che fanno profumo senza saperlo.
 
E allora far la pace con gli anni
basta solo ricordarsi e sperare
con le immagini che sanno qualcosa.
 
 
 
 
 
 
Sono solo zolle come scogli
dietro un poco di robinie nodose
coi rami fino alla nebbia di luce.
 
Di fianco una strada di terra battuta
dopo la curva forse finisce
oltre la resa tenace che è stata
finora, quando potevamo essere.
 
Sotto il sole che asciuga le colpe
gli usignoli cercano ragioni
come nelle parole dopo il tempo.
 
Il vento nell’erba è tradirsi
sentire qualcosa nei passi
distante come un respiro
che deve essere ancora.
 
 
 
 
 
 
È una salita difficile oggi,
meno di ieri. Certi pesi da liberarsi
con le parole che assediano il dubbio.
 
I passi sono pagine di un moto
per resistere sotto le nuvole.
 
L’azzurro è un odore nei gesti
che sono stati annegare
nel ventre e fermare il respiro.
 
Anche se ci sarà niente lassù,
resteranno le impronte, per chi le vedrà.
 
 
 
 
 
 

Gian Mario Villalta
da Telepatia (Lietocolle-Pordenonelegge 2016)

 
 

Gian Mario Villalta
foto di Dino Ignani
Il padre chiama tutta notte.
La madre scaglia l’apparecchio
(non ce la fa più
a sentirlo) sul letto.
Lo riaccosta all’orecchio (ché è ancora là),
per sentirsi ripetere
che lui non è mai venuto meno
– lo riconosca, quello
almeno – alle sue responsabilità.
 
L’albergo dove dorme non ha gli scuri:
ogni volta che squilla di nuovo il telefono
riapre gli occhi e nell’albume di luce si vede i piedi, le gambe magre.
Potrebbe spegnere, invece aspetta, risponde, si lascia invadere.
Per punizione.
 
La bimba piange, con il padre.
 
Il padre aspetta che la bambina si riaddormenti
e chiama ancora (è mattina
ormai) la prega: “Puttana… crepa… non andare”.
 
La bimba ride, con la madre, nel sogno.
Ride fino a farsi venire la febbre.
 
La madre, disperata, scrive mio
all’uomo che nel giorno dopo,
nella vita dopo, la attende.
Lui risponde subito .
 
La bimba chiede (è andata via
la febbre) se è sabato, al padre che oggi non va al lavoro.
 
Che cosa sarebbero
queste quattro persone sole
(la bimba sola, come si è soli
a tre anni, senza neppure se stessi)
che cosa farebbero senza l’amore?
 
Perdere il dolore
a volte perdere tutto. Per questo non rinuncia
all’umiliazione di sentirsi dire che non lo vuole.
Adesso sa ancora chi Dopo c’solamente,
dove dovrebbe
ricominciare, il niente.
 
 
 
 
 
 
E all’improvviso siamo nel silenzio,
e il buio appena rotto subito si ricompone
sulla crepa di luce che ha attraversato la notte.
A volte anche la memoria è così. Adesso grosse gocce,
lente, gocce grevi sulle tende da sole
sulle auto e sulle gronde sono tracce più brevi,
si confondono con le voci
dei vicini che chiamano al riparo,
esortano a chiudere, a portare dentro.
Sono nel centro che fugge
dentro il cerchio del tempo.
Sono fermo, immaginato l’istante
che si schiude prima
della pioggia scrosciante, prima del vento
che scuote le imposte, e della grandine.
Lo so che nascere fa male. Lo so che respirare
appena nati è tremendo. E appare naturale.
Come l’amore quando arriva e chiedi
un giorno ancora un giorno un giorno ancora.
 
 
 
 
 
 
UNA SCATOLA DA SCARPE
 
C’è dentro la paglia finta dei pacchi di ceramiche (piatti,
portacandele, soprammobili, cose di mia madre
stipate in fondo all’armadio).
 
Un fiore di campo – c’è dentro – giallo arancione, detto
“bottone d’oro”.
Sopra la paglia finta, appoggiato con cura.
 
Poi un ritaglio di rotocalco
grande: cielo azzurro, nuvole bianche.
La foto mia di sette anni.
“Come passa il tempo – ha detto
ieri mia madre – sei già in seconda elementare”,
come se lo avesse appena saputo.
 
Manca ancora qualcosa?
Il coltellino con la lama rotta.
Il foglietto del calendario con il numero sette
di quando? (il tempo, è questo il tempo?).
Non ci sta altro, se devo mettere al centro
il rondinino, girato su un fianco.
 
I buchi sul coperchio, per respirare,
non servono più, ma posso incollarci sopra
un foglio dell’album, bianco, così la terra non entra.
 
 
 
 
 
 
Uno stormo di istanti, per sempre
curvò nella luce dell’una, innalzò il respiro
con tutte le radici.
 
Sarebbe un modo di dirlo.
Un altro è che avvenne,
lasciò una scia attraversò
senza ferita, senza cicatrice
fu giorno per notte per sempre:
divise il sangue, smise di essere
di qualcuno, e pensammo il nome detto
nostro una volta per tutte.
 
Prima persona plurale,
modo incondizionato,
tempo perfetto.
 
 
 
 
 
 

Giovanna Frene
da Spostamento. Poemetto per la memoria (Lietocolle 2000)

 
 

Giovanna Frene
foto di Dino Ignani
II. [CRONOMETEREOLOGIA]
 
In un anno si corrodono le carni per un anno
si sbiancano le ossa un anno svuota
dell’essenza l’apparenza: se diedero
alle serpi di trasmutare la bellezza in pelle
ai sassi di non sentire a loro di non capire
a te che non vedi la tenebra dello stare
e non eri desideroso al suolo e non ti furono
lievi i pesi della materia sulla cassa
cosa sai dell’acqua che trapassa la tua massa?
 
 

da Datità (Manni 2001)

 
 
DESIRE OF BURIALS NEAR HER SISTER
 
Fai dell’arte tua madre: così mi disse
il tempo che dimorava dall’inizio dentro di me
e mi dormiva accanto a dita incrociate
nel letto della nostra infanzia
tu non sapevi chi ero o con quale voce
ti avrei parlato nei perenni giorni dell’esilio
ma già mi amavi senza sosta con il tuo respiro
nel mio esile stato terreno: io non ho più
sorelle vive e di quell’Unica Morta
prego sorellastra assenza di trattenere le ceneri
per la bara indivisa
privata madre
 
 

da Sara Laughs (D’If 2007)

 
 
quello che ho scritto mi scava cunicoli rabbiosi alle spalle
migliaia di dentini e unghiette farcite di letteratura
per dissodare il terreno o l’intercapedine
farmi franare dentro me stessa
dalla parte persuasa
dalla parte porosa
 
 

da Il noto, il nuovo (Transeuropa 2011)

 
 
LA GRANDE GIUSTIFICAZIONE
 
dopo che è avvenuto: il sepolcro che parla per interposta persona con “egli” come
referente e soggetto, è vuoto. che è vuoto dopo che è avvenuto
non si sa che dopo, come “per natura” definisce il non-casuale, umano,
e deciso, prima. che è avvenuto neppure
è certo: certo è solo non il detto, ma il sentito dire, non il fatto,
ma il fatto fare, o il subìto senza testa, l’agito, tutte le forme del passivo
in sequenza non fanno un attimo, ma di nuovo un vuoto, la soglia dell’attesa, l’ora
perpetua della fine. che avverrà
 
il “come” sta al gioco come: si diventa nazisti par un long, immense et raisonné dérèglement
sempre sparse le sue idee, e universali, mai di fatto natura prima
 
 
 
 
 
 

Luigia Sorrentino
da La nascita, solo la nascita (Manni 2009)

 
 

Luigia Sorrentino
foto di Fabrizio Fantoni
LO SLANCIO DELLA ROSA
 
il silenzio della rosa, della pace ferma
nel gomito sulla fronte di aprile
nascesti imperlato nella casa doveva essere
l’ultima in una primavera in cui fummo
davvero soli
portavamo lo stesso sangue
la stessa cellula che fu accanimento
accadimento anche precoce
la meraviglia era voce che spariva nella stanza
voce lenta
dove rimbombava la rosa
stesa nella domenica
 
non ricordo l’esattezza del timbro
né il carnevale che provavo in quella stessa ora
 
 
 
 
 
 
II.
 
gli argini li vedi sporgendoti
connettersi all’ansa del fiume
a contemplare anche il consumo,
l’analogia commettere
qualcosa di separato, qualcuno
ti aiuta a partire, qualcuno
sembravamo forti
come l’argano che raccoglie qualcosa
come quel giorno in cui usammo il plurale
per un’alleanza di essere
sulla salita verticale nell’azione di una
lacrima
 
quel tuo vocale canto
tornato da un buio inverecondo
 
 
 
 
 
 
III.
 
perché siamo di questa
terra, la terra dei gerani e dei cento canarini gialli
 
sollevàti dall’oceano ci trovammo tutti
 
ci aspettiamo dici nella febbre
da solo non potevi immaginare volevi dire
ora la febbre
questa febbre pronunciavi
il suo volto nella veglia della rosa nel tuo trenta
d’aprile
nell’ossigeno qualcuno dimentica la sua origine
il superfluo,
l’inutile esattezza
del bacio stampato sulla guancia nella bella
mollezza della carneficina
 
 

da Inizio e fine (I quaderni della Collana – Stampa 2009, 2016)

 
 
INIZIO E FINE – VIII
 
tutti i giorni erano caduti sul suo viso
le ore di tutto l’essere erano
invase dalla sete
 
nell’angolo spento
cercò il riflesso dell’oceano
l’aveva attraversato uscendo dalla madre
 
la pioggia di vetro sulla strada
deserta aveva memoria di un uomo
 
 
 
 
 
 
Poesía Italiana / La Lengua Incansable - 10 Voces Contemporáneas
 
 
 
 
 
 
 
  
 
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Desde hace tiempo en Italia nos estamos cuestionando sobre el estado de salud de la poesía. Prueba de ello son las diversas antologías, los diferentes censos. Incluso los periódicos, los que mantienen la sección de poesía, a veces intentan un mapeo que casi siempre aparece indiscutiblemente correcto aunque faltante de piezas clave. De la misma forma con cíclica ritualidad aparecen operaciones editoriales que tienen como objetivo presentar nuevas voces (por ejemplo, I nuovi poeti italiani di Einaudi y I quaderni di poesia italiana coordinados por Franco Buffoni), perduran los premios literarios que en los últimos años han consolidado su importancia y prestigio (entre todos el Viareggio, el Camaiore, el Pagliarini, el Fogazzaro), resisten las revistas especializadas (Poesia, Nuovi Argomenti, Atelier) y no menos importante las revistas en papel u online que promueven el intercambio cultural centrándose en las traducciones (como el Centro Cultural Tina Modotti, Italian Poetry Review, Laboratori Poesia, Iris News di Chiara De Luca).

La dificultad de contestar a esta pregunta se debe a la complejidad de la escena contemporánea que en los últimos veinte años (y que incluso se podría llegar a decir treinta años) se ha mostrado en el signo de la multiplicación, de la pluralidad de las voces. Todavía se recuerda la antología publicada por Luca Sossella Editorial 2005, Parola plurale, sessantaquattro poeti italiani fra due secoli recopilada por Giancarlo Alfano, Alessandro Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli e Paolo Zublena. Pero también la antología Poeti italiani del secondo novecento (Mondadori 1996, 2004) recopilada por Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi, que contaba con 71 autores. O Il pensiero dominante, Poesia italiana 1970-2000 (Garzanti 2001) recopilada por Franco Loi e Davide Rondoni, que contaba con hasta 157 nombres. O Dopo la lirica (Einaudi 2005) recopilada por Enrico Testa, que contaba 43 poetas.

Recordando operaciones más recientes se puede citar La generazione entrante, poeti degli anni 80 (Ladolfi, 2011) recopilada por Matteo Fantuzzi que cuenta con 15 poetas. Poeti degli Anni Zero, gli esordienti del primo decennio recopilada por Vincenzo Ostuni (Edizioni Ponte Sisto, 2011) que incluye 13 poetas. Poesia Presente in Italia dal 1975 al 2010 (Raffaelli Editore, 2011) recopilada por Francesco Napoli, que cuenta con 27. Antologia di poeti contemporanei: tradizioni e innovazione in Italia de Daniela Marcheschi (Mursia Editore, 2016) presenta 21 autores.

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Cuando Juan Arabia, digno editor de Buenos Aires Poesía, me encargó lo que era simplemente una idea, o sea mostrar al público argentino una visión de la poesía italiana a través de algunos de sus autores, aunque no tenía que reunir una antología tuve que enfrentar la fragmentación de las voces congregadas por centenares de nombres que coexisten aunque carentes de un marco de referencia, para luego caer en el discurso de siempre del desinterés general hacia la poesía que, en retrospectiva, ya está del todo superado.

En Italia desde hace años tenemos un gran florecer de eventos poéticos (solo piensen en Pordenonelegge, Residencias de verano, Retratos de Poesía) y talleres. A partir de los Cursos de Poesía y los Retiros Poéticos de la Samuele Editore a Molly Bloom de Gilda Policastro (para dar sólo dos ejemplos) la poesía despierta el interés y, aunque no atraer a grandes multitudes (aunque algunos podrían señalar los diferentes Lello Voce, Dome Bulfaro y otros que con los poetry slam casi se acercan a la dinámica de un concierto) tiene un seguimiento importante y crece de manera constante en el tiempo, varía, se mezcla con los propios poetas. También se debe tomar nota de una tendencia clara y palpable: las grandes editoriales han tomado la acostumbre de mantener un número insignificante de títulos por cada año y esto ha hecho que la mayor parte de los autores, incluso los que ya llevan importantes publicaciones, se trasladaran hacia pequeñas-medianas editoriales que hoy en día representan la verdadera fábrica de la poesía italiana.

Antonio Nazzaro
traduttore

Y ha sido fundamental esta consideración, de acuerdo con el traductor Antonio Nazzaro y el editor Juan Arabia, para proveerme no tanto un criterio de elección sino un punto de vista con que definir no más de diez autores para que cada uno tuviera un espacio lo suficientemente adecuado (una de las más esclarecedoras antologías de la poesía italiana, y que no mencioné anteriormente, es Poesia contemporanea dal 1980 a oggi, storia linguistica italiana, Carocci 2007, recopilada por Andrea Afribo y reune “sólo” 8 autores). El punto de vista, de observación, que hemos tomado es por lo tanto lo de un pequeño operador del sector (también yo coordino una editorial). Diez nombres que narran una parte del panorama nacional. Diez poetas (en realidad 9, también yo soy parte de la causa) que en diferentes ocasiones he encontrado y con los que he intercambiado opiniones, reflexiones, y de los que he observado la búsqueda sobre el idioma que es también estudio de la poesía ajena. Casi todos de hecho son también promotores culturales, figuras de referencia por otros poetas. Son personas que viven la poesía como un taller continuo, quien en una casa editorial, quien en una revista, quien como organizador de eventos y a seguir así.

Así es como nace La lengua incansable, debidamente subintitulado 10 Voces Contemporaneas. El título cita un verso incluido en la antología la lengua incansable del mar nos llena los oídos (de Giovanna Rosadini) que de alguna manera refleja la investigación que cada autor incluido (Alessandro Canzian, Roberto Cescon, Federico Rossignoli, Sandro Pecchiari, Alberto Toni, Luigi Oldani, Giovanna Rosadini, Luigia Sorrentino, Gian Mario Villalta, Giovanna Frene) realiza sobre la lengua, por lo tanto incansable. Lleno de historia, de posibilidades, que choca con su propia complejidad, pero que siempre se renueva, se redescubre. Que sabe ampliarse y restringirse y que se enfrenta con la lengua hablada, con la cultura de la crisis. La lengua incansable nace también del encuentro con Antonio Nazzaro dentro del portal de Laboratori di Poesia. Traductor extraordinario y generosísimo empeñado a diario en el promover la lectura de poetas italianos y poetas latinos, Antonio es parte de esa comunidad (incluso de poetas, poeta él mismo) que consideran la palabra un trabajo en conjunto, un compartir constante de un bien común.

Una labor, por lo tanto, incansable.

Alessandro Canzian
 
 
 
 

Poesía Italiana / La Lengua Incansable – 10 Voces Contemporáneas
Traducción de Antonio Nazzaro

 
 

Alberto Toni
de El dolor (Samuele Editore 2016)

 
 

Alberto Toni
foto di Dino Ignani
¿Qué trasluce en la oscuridad a ojos abiertos?
Baja más abajo en el derrumbe, una tempestad
de arena y calor, claraboya para los ojos
y el corazón, el asta de guerra. Guerra de naturaleza,
de tierra y limbo, piedad para los desoídos,
a un paso apenas, casas y letreros, calles
y objetos, zapatos, camisetas, madera, piedra.
 
 
 
 
 
 
Tiempo de madre antigua si en el rostro
ahora límpido transpira el aire de juventud,
deja, respira lejos el tiempo del origen.
Los ojos cerrados y el brazo suave. Luego
cuando sopla el viento del dolor, para todos nosotros,
para todos los derrumbes y los estragos que no entendemos.
 
 
 
 
 
 
No el tiempo, sino los tiempos: los
de los retratos y de los cielos móviles,
ángeles doblados hacia abajo,
hilas, marañas, antiguos
turbamientos. Hasta aquí, hasta donde
esparcida la vida acepta las lenguas
y las razones, el destino y la ofensa,
el largo camino, los internos, los
fuegos de las estrellas, el peligro
que sube de noche, las paredes y
las sombras, la triste tenaza, el
largo ocaso del ojo.
 
 
 
 
 
 
Tómalo el movimiento, abrázalo,
en la sombra, bajo el sol frío
de diciembre, que no escape
o retome el camino al alba
de las mutaciones, calles, asfalto,
frenazos repentinos y arranques,
tus tiernos paños,
las madres, los padres
como si fuera ayer.
Y no importa si
entre niebla y pasaje
aquí se gasta más.
 
 
 
 
 
 

Federico Rossignoli
Inédito

 
 

Federico Rossignoli

LEDA Y EL CISNE
 
Sobre mí se apaga el vuelo.
Mi cuerpo es su custodia,
desde las piernas al cuello el cuello
largo es rio que se engruesa.
Luego, desplegado, se dispersa.
Me quedo contemplada
plumas entre muslos y guarida
la venganza, sin ningún rencor.
 
 
 
 
 
 
MENELAO
 
Ella no me dejó:
el amor se la tomó,
se la llevó, esclava,
y la tiene como esposa
detrás de muras de cuerpos
vigorosos y bronce,
las puertas esplendorosas bien cerradas.
Las muras se derriban,
los cuerpos se vacían,
¿se puede hacer todos esto
quedando amorosos?
Yo creo que sí: mientras tanto
mato.
 
 
 
 
 
 
DIÓMEDES
 
Me preguntaron, ¿qué hiciste?
Lo que hago es luchar,
no es mi asunto y ni siquiera
la sonrisa que me astilla
el rostro. Diré que es una
Diosa a concederme de hacerle
de labrys, espada y escudo.
Ella es casta y feroz,
se mofa de mis heridas,
rasguños en las manos o astas
en el estómago no cambia;
me levanta de la muerte,
por los largos cabellos me tiene
hasta que aguantará, la cabellera, el cuerpo
armado –como es duro volverse leves.
 
 
 
 
 
 
ELENA
 
Me dejé encontrar desnuda
para que la sangre no ensuciara
los vestidos y quedara
tras de mí algo limpio,
testigo que la luz
no podía rechazar.
Aquí , entre los senos, estaba el surco
para la espada, para clavarla.
Tonto, ¡débil machismo!
Mi desnudez se volvió torre
endurecida por los escudos –
fueron desde entonces estas alturas
las mazmorras donde me encerré.
 
 
 
 
 
 

Sandro Pecchiari
de Verdes Años (Samuele Editore 2012)

 
 

Sandro Pecchiari
EL SUÉTER DESGARRADO
 
he librado los años
en el ondear de brazos
y de sábanas
sacudiendo formas nuevas
en el flexionarse del aire
 
la soledad reforesta
trucos para sonreír
y me gana convencida
como en un aplauso
 
así tengo la vida
en un suéter desgarrado
una cinta una capa al viento
mi perdurar
 
 
 
 
 
 
AÑOS VERDES
 
“verdes anos” canta un fado…
¿verdes? sí, verdes en el sonido
que vuelve a enrollar las persianas del pasado.
¿verde? cierto, verde fresco,
insertado en las gemas de las elecciones,
que se abre en vidrio oscuro
para las urracas , para los halcones.
 
verde, cierto, ese dulce de los ojos
entre las arrugas, que olvida las manos
y tu latir.
 
verde, quizás el verde oscuro de los amores
vueltos gastados y concedidos por cansancio
a quien sea.
 
verde podrido, verde bilis del rechazo,
de la lucha para el despojo.
 
verde, siempre verde, que no ves,
que no sientes, verde, cierto, verde
luz, encandilada
en el tamiz de los balances,
emociones de esmeraldas renovadas,
de la sonrisa, tu sonrisa
abierta dentro del aire
y perdida entre la gente.
 
 

de Le svelte radici (Samuele Editore 2013)

 
 
PANTHA RHEI
 
Camaleón grabado de llanuras
y fauces lentas de desembocaduras
el golfo hoy
recorre los colores de las nubes.
Un halcón se alza.
A la cautela de perla del otoño
yo trenzo mitos antiguos
y noticias de cada día
rateando el periódico del vecino
fijando inmóvil mientras todo corre.
 
Y corriendo sobre la hoja
trenza a mis manos
Penélope el valor de la reclusión
de una mente invadida,
la mía que descuerna, la suya fuerte de olivo.
 
Intentos a devanar cuanto tramado,
el miedo y la prudencia, en prudente felicidad
ayudándonos a retejer ,
dice que puedo, que debo
que Ulises llegará al fin
que somos aún piezas en su viaje
y él en el nuestro.
 
 

de An unrehearsed flood / L’imperfezione del diluvio/La imperfección del diluvio (Samuele Editore 2015)

 
 
X
 
espero sin fin
encepando el sol al andar
un silencio asustaba vasto los movimientos
y la noche no espiaba los sueños
sino un sonido de despedida
 
no me despertaré
 
la ruta se bifurca
como una bisagra
 
 
 
 
 
 

Alessandro Canzian
de Il colore dell’acqua (Samuele Editore 2016)

 
 

Alessandro Canzian (Italia) - ita/espa
Alessandro Canzian
foto di Dino Ignani

OLGA
 
La muchacha de nombre Olga
es una muchacha que no conozco
ni nunca me enamoré de ella.
Pero si me la imagino la pienso
con la piel blanca como los cabellos
de mí padre, y el seno grande
-pero la memoria no deja ver-
y con el útero profundo
como la oscuridad dentro de un hombre.
 
 
 
 
 
 
La muchacha de nombre Olga
camina cada noche a mi puerta.
A medianoche, once y algo,
con los tacones bien pisados
para hacerse recordar. Sé que alguien
se ha quejado. Luego la otra
noche la oí gritar
colgada a las manos de su pareja.
 
 
 
 
 
 
Ayer se llamaba Olga, mañana, Carla.
Su nombre no tiene importancia
en el trascurso del cuento. Su
dolor es igual a su placer, Olga
sabe que el bien y el mal son pares
más allá de tapetito que divide desde el exterior
el tejido suave de la vida.
Se ruega de tocar para entrar.
 
 
 
 
 
 
La muchacha Olga es una muchacha
que viste siempre con mucha cura,
refinada, hasta en las fisuras.
Habla correctamente cuatro idiomas
o cinco, nunca la escuché.
Viaja a menudo por trabajo.
Es desde las crujías del muro
que conozco su fe, nocturna,
cuando ruega a Dios con las rodillas.
 
 
 
 
 
 

Giovanna Rosadini
de Il numero completo dei giorni (Aragno 2010)

 
 

Giovanna Rosadini
foto di Dino Ignani
CAGE WITHIN A CAGE
 
Este comienzo ya estuvo, hace mucho
tiempo: vacío suspendido dentro de otro vacío,
resonada elegancia del juego – moviendo
del informe oscuro y ronco. Un mundo
brotó sobre los refugios, nombrado hoja
a hoja, estrella a estrella, sustancia silabada,
hecha llena – palabras acuden a dar forma,
materia germinada, vida multiplicada sobre
la huella de otra vida, membrana desteñida
hasta la nada y reverdecida. Este comienzo habla
una lengua exhumada, fijada en el eterno
instante en que ya ha sido pronunciada –
eternamente próxima a ser olvidada.
 
 
 
 
 
 
EN EL AÑO BISIESTO
 
La nieve gotea por los techos, cae
en pequeños toques de las ramas, los árboles
aliviados levantan la cabeza, se ponen
de pié. Las carreteras rencuentran los colores
apagados del invierno, los ruidos se amplían
de nuevo entre las casas. Se derrite el asedio
del frío, un aire más tenue pasa
sobre la piel, hincha el tórax. Poder decir
la luz del mediodía, nórdica y tersa
sobre la ciudad reabierta al cielo, por doquier
en el pálpito difundido y sin sombras, sin
nubes. Poderse mover síncronos a este
deshielo, en los pasos desatados.
 
                                  Poderse confiar.
 
 

inedito, de Fioriture capovolte

 
 
Respiro en el respiro, escucho la noche.
Sombras largas tienden abrazos,
invitan a seguir más allá del arbusto
sobre el confín de la mirada. Ocurre,
todavía, de rencontrarse desnudos, expuestos.
Quedarse entonces en la noche, acoger
su halago es un bálsamo para quien
no deja tiempo al miedo, tiniebla
es una palabra que resuelve y cura.
 
 
 
 
 
 
Si quisiera podría ser un comienzo de frase,
indicio que hace posar el sarmiento ya cortado
para buscar en el surco el brote nuevo
asomado sobre el terrón, sabiduría implícita que encuentra
por si sola orientación, hacerse camino en la oscuridad
hasta el hálito de luz y del aire que reaviva
la impura dulzura que se expone…
La forma que habitamos ahora no tiene nombre.
 
 
 
 
 
 

Luigi Oldani
de Haiku italianos (Samuele Editore 2016)

 
 

Luigi Oldani
Leo en la cama
dulce es no entender
el alba de un otoño.
 
 
 
 
 
 
Me mira Ada
se abre su mundo
me vuelvo gato.
 
 
 
 
 
 
De cada flor
cada pétalo existe
por todo el tiempo.
 
 
 
 
 
 
Miro afuera:
perfume de silencio
todas las estrellas.
 
 
 
 
 
 
Si no estás
riego las flores:
verde una hoja.
 
 
 
 
 
 
Como muere
el día sin viento
cae la estrella.
 
 
 
 
 
 
Calla el campo
La vid del Chianti
Amarillece.
 
 
 
 
 
 
Cuando llueve
alguien se mueve
no estamos solos.
 
 
 
 
 
 
La hierba recrece
bajo la rodilla:
mi corazón.
 
 
 
 
 
 

Roberto Cescon
de La gravità della soglia (Samuele Editore 2010)

 
 

Roberto Cescon
foto di Giada Centazzo

Las palabras cuando se adueñaban
de los días era una forma para salvarse,
la única. De frente a esas teorías
de árboles rosa tenía un sentido entonces
mirar y juntarlas
pero sin lograr las heridas
y los escalofríos sentirlos sobre la piel
que significa vivir.
 
 
 
 
 
 
La gravedad del umbral devora
en la sangre el instinto ondeado
lanzarse adelante como un migrante
porque siempre había algo, tener
temporadas , las medidas inadecuadas,
el miedo de ir más allá
inclusive del endecasílabo,
pero deberíamos ser otra generación,
en vez nos enseñaron a pensarnos
neutrinos sin saberlo.
 
La distancia del llegar a ser es vivir
o escribir todos esos pasos
y, mientras te volteas, ya entraste
en un destino, como los muguetes
que hacen perfume sin saberlo.
 
Y entonces hacer las paces con los años
basta solo recordarse y esperar
con las imágenes que saben algo.
 
 
 
 
 
 
Son solo terrones como escollos
detrás de un poco de robinias nudosas
con las ramas hasta la niebla de luz.
 
Al lado una carretera de tierra pisada
después de la curva quizás termine
más allá de la rendición tenaz que ha sido
hasta ahora, cuando podíamos ser.
 
Bajo el sol que seca las culpas
los ruiseñores buscan razones
como en las palabras después del tiempo.
 
El viento en la hierba es traicionarse
sentir algo en los pasos
distante como un respiro
que tiene que ser todavía.
 
 
 
 
 
 
Es una subida difícil hoy,
menos que ayer. Ciertos pesos de que liberarse
con las palabras que sitian la duda.
 
Los pasos son páginas de un movimiento
para resistir bajo las nubes.
 
El azul es un olor en los gestos
que han sido ahogar
en el vientre y detener la respiración.
 
Aunque no habrá nada allá arriba,
quedaran las huellas, para quien las verá.
 
 
 
 
 
 

Gian Mario Villalta
de Telepatia (Lietocolle-Pordenonelegge 2016)

 
 

Gian Mario Villalta
foto di Dino Ignani
El padre llama toda la noche.
La madre lanza el aparato
(ya no aguanta más
escucharlo) sobre la cama.
Lo acerca de nuevo al oído (qué está aún allá),
para sentirse repetir
que él nunca ha venido a menos
-lo reconozca, eso
por lo menos – a sus responsabilidades.
 
El hotel donde duerme no tiene postigos:
cada vez que suena de nuevo el teléfono
reabre los ojos y en la clara de huevo de luz se mira los pies, las piernas flacas.
Podría apagar, en vez espera, contesta, se deja invadir.
Por castigo.
 
La niña llora, con el padre.
 
El padre espera que la niña vuelva a dormirse
y llama aún (ya es
mañana) le ruega: ”Puta…muérete…no te vayas”.
 
La niña ríe, con la madre, en el sueño.
Ríe hasta hacerse subir la fiebre.
 
La madre desesperada, escribe mío
al hombre que en el día después,
en la vida después, la espera.
El rápido contesta .
 
La niña pregunta (se fue
la fiebre)si es sábado, al padre que hoy no va al trabajo.
 
Qué serían
estas cuatro personas solas
(la niña sola, cómo se está solos
a los tres años, sin ni siquiera a sí mismos)
¿qué harían sin el amor?
 
Perder el dolor
a veces es perderlo todo. Por eso no renuncia
a la humillación de sentirse decir que no lo quiere.
Ahora sabe aún quien es. Después está solamente,
donde debería
recomenzar, la nada.
 
 
 
 
 
 
Y de repente estamos en el silencio,
y la oscuridad apenas rota pronto se recompone
sobre la grieta de luz que ha atravesado la noche.
A veces también la memoria es así. Ahora grandes gotas,
lentas, gotas pesadas sobre la cortinas para el sol
sobre los autos y sobre los aleros son rastros más breves,
se confunden con las voces
de los vecinos que llaman al amparo,
exhortan a cerrar, a llevar adentro.
Estoy en el centro que huye
dentro del círculo del tiempo.
Estoy parado, imaginado el instante
que se abre antes
de la lluvia fragorosa, antes del viento
que sacude los postigos, y del granizo.
Lo sé qué nacer duele. Y parece natural.
Como el amor cuando llega y pides
un día aún un día un día aún.
 
 
 
 
 
 
UNA CAJA DE ZAPATOS
 
Adentro hay la paja finta de los paquetes de cerámicas (platos,
candeleros, adornos, cosas de mi madre
estibadas en el fondo del armario).
 
Una flor de campo – está dentro – amarillo anaranjado, dicho
“botón de oro”.
Sobre la paja finta, apoyada con cuidado.
 
Luego un recorte de revista
grande: cielo azul, nubes blancas.
Mi foto de siete años.
“Como pasa el tiempo – ha dicho
ayer mi madre – ya estás en el segundo año de primaria”,
como si lo hubiera apenas sabido.
 
¿Aún falta algo?
El cuchillito con la lama rota.
El papelito del calendario con el número siete
¿de cuándo? (el tiempo, ¿es este el tiempo?).
No cabe otra cosa, si tengo que poner en el centro
la golondrinita, volteada sobre un lado.
 
Los huecos en la tapa, para respirar,
ya no sirven, pero puedo pegarle encima
una hoja del álbum, blanca, así la tierra no entra.
 
 
 
 
 
 
Una bandada de instantes, para siempre
curvó en la luz de la una, elevó el respiro
con todas las raíces.
 
Sería una forma de decirlo.
Otra es que ocurrió,
dejó una estela atravesó
sin herida, sin cicatriz
fue día por noche para siempre:
dividió la sangre, dejó de ser
de alguien, y pensamos el nombre dicho
nuestro una vez por todas.
 
Primera persona plural,
modo incondicionado,
tiempo perfecto.
 
 
 
 
 
 

Giovanna Frene
de Spostamento. Poemetto per la memoria (Lietocolle 2000)

 
 

Giovanna Frene
foto di Dino Ignani

II. [CRONOMETEREOLOGÍA]
 
En un año se corroen las carnes por un año
se blanquean los huesos un año vacía
de la esencia la apariencia: si dieron
a las serpientes de trasmutar la belleza en piel
a las piedras de no sentir a ellos de no entender
a ti que no ves la tiniebla del estar
y no eras deseoso para el suelo y no te fueron
leves los pesos de la matrería sobre la caja
¿qué sabes del agua que traspasa tu masa?
 
 

de Datità (Manni 2001)

 
 
DESIRE OF BURIALS NEAR HER SISTER
 
Haz del arte tu madre: así me dijo
el tiempo que demoraba desde el comienzo dentro de mi
y me dormía al lado con los dedos cruzados
en la cama de nuestra infancia
tu no sabías quien era o con que voz
te habría hablado en los perenes días del exilio
pero ya me querías sin pausa con tu respiro
en mi débil estado terrenal: yo no tengo más
hermanas vivas y de esa Única Muerta
ruego hermanastra ausencia de detener las cenizas
para el ataúd indiviso
privada madre
 
 

de Sara Laughs (D’If 2007)

 
 
lo que he escrito me cava galerías rabiosas a la espalda
millares de dientitos y uñitas rellenos de literatura
para roturar el terreno o la crujía
hacerme derrumbar dentro de mí misma
por la parte persuadida
por la parte porosa
 
 
 

de Il noto, il nuovo (Transeuropa 2011)

 
 
LA GRAN JUSTIFICACIÓN
 
después que ha ocurrido: el sepulcro que habla por interpuesta persona con “el” como
referente y sujeto, está vacío. que está vacío después que ha ocurrido
no se sabe que después, como “por naturaleza” define el no-casual, humano,
y decidido, antes. que ha ocurrido tampoco
 
es cierto: cierto es solo el no dicho, pero el sentido decir, no el hecho,
sino el hecho hacer, o el súbito sin cabeza, el agito, todas las formas del pasivo
en secuencia no hacen un momento, sino de nuevo un vacío, el umbral de la espera, la hora
perpetua del fin. que ocurrirá
 
el “como” está al juego como: se llega a ser nazis par un long, immense et raisonné dérèglement
 
siempre esparcidas las sus ideas, y universales, nunca de hecho naturaleza antes
 
 
 
 
 
 

Luigia Sorrentino
de La nascita, solo la nascita (Manni 2009)

 
 

Luigia Sorrentino
foto di Fabrizio Fantoni
EL IMPULSO DE LA ROSA
 
el silencio de la rosa, de la paz quieta
en el codo sobre la frente de abril
naciste rociado en la casa que tenía que ser
la última en una primavera en que estuvimos
de verdad solos
llevábamos la misma sangre
la misma célula que fue ensañamiento
acontecimiento también precoz
la maravilla era la voz que desaparecía en el cuarto
voz lenta
donde retumbaba la rosa
tendida en el domingo
 
no recuerdo la exactitud del timbre
ni el carnaval que sentía a esa misma hora
 
 
 
 
 
 
II.
 
los terraplenes los ve asomándote
conectarse al meandro del rio
para contemplar también el consumo,
la analogía cometer
algo de separado, alguien
te ayuda a partir, alguien
parecían fuertes
como la árgana que recoge algo
como ese día en que usamos el plural
para un alianza de ser
sobre la subida vertical en la acción de una
lágrima
 
ese vocal canto tuyo
vuelto de una oscuridad inverecunda
 
 
 
 
 
 
III.
 
porque somos de esta
tierra, la tierra de los geranios y de los cien canarios amarillos
 
levantados por el océano nos encontramos todos
 
nos esperamos dices en la fiebre
por ti solo no podías imaginar querías decir
ahora la fiebre
esta fiebre pronunciabas
su rostro en la vigilia de la rosa en tu treinta
de abril
en el oxígeno alguien olvida su origen
el superfluo,
la inútil exactitud
del beso impreso en la mejilla en la bella
blandura de la carnicería
 
 

de Inizo e fine (I quaderni della Collana – Stampa 2009, 2016)

 
 
INICIO Y FIN – VIII
 
todos los días habían caído en su rostro
la horas de todo ser estaban
invadidas por la sed
 
en la esquina apagada
buscó el reflejo del océano
lo había cruzado saliendo de la madre
 
la lluvia de vidrio en la calle
desierta tenía memoria de un hombre
 
 
 
 
Poesía Italiana / La Lengua Incansable - 10 Voces Contemporáneas