POESIA A CONFRONTO: Uccelli
ISSA, BAUDELAIRE, PASCOLI, PORTA
Abbiamo già dedicato precedenti confronti a gabbiani e a upupe; apriamo ora la prospettiva per analizzare una selezione di testi che riguardano l’intera classe animale degli uccelli.
Con la nota attenzione al mondo della natura, alle sue manifestazioni silenziose e epifaniche, un autore importante di haiku come Issa non poteva rimanere indifferente al fascino di questi animali: l’haiku che proponiamo ha come senso prevalente il suono, con quell’apparire improvviso dei nibbi, con il loro grido, fino a occupare completamente la scena, da protagonisti assoluti della stessa, a tutto campo: spontanea l’associazione con divinità imperscrutabili, pronte a spiccare il volo.
Baudelaire ci porta invece come ambientazione sul ponte di una nave, in un ambiente marino che ha come protagonista l’albatro, uccello maestoso quando libero e altrettanto goffo e ridicolo quando viene catturato dall’uomo. Fatto oggetto di scherno dall’equipaggio per la sua incapacità di adattarsi all’ambiente ostile che gli impone l’uomo, l’albatro, in una similitudine esplicitata nella quartina finale della composizione, diventa il traslato del poeta in esilio fra gli uomini, perché la sua eccezionalità, le sue ali di gigante, gli impediscono di muoversi tra gli altri, di adeguarsi passivamente alle convenzioni che la società gli impone.
La poesia di Pascoli si contraddistingue per l’uso originalissimo e innovativo della onomatopea che si combina e mescola con la lingua per creare associazioni inattese (si veda: “vide… vide… videvitt!), sovrapposizioni sonore e semantiche, che si ibridano reciprocamente. La punteggiatura ossessiva spezza la metrica, crea punti fermi e pause che conferiscono un ritmo personalissimo, di rottura del canone. Attraverso la contrapposizione fra passeri e rondini, fra comportamento stanziale e migratorio, nella poesia si crea appunto un dialogo ideale fra i due volatili, ciascuno protagonista di un’avventura diversa: per la rondine il lungo viaggio fino ai “palmizi di Gerusalemme, per i passeri stanziali l’attraversamento dell’intero ciclo delle stagioni, compresa la scoperta sorprendente della neve, della cui gioia la rondine sarà per sempre privata.
Antonio Porta, scrittore sperimentale della neoavanguardia, autore di grande innovazione e ricerca, nella sua raccolta “Airone”, una delle ultime, tenta la strada di un lirismo attento alle istanze della contemporaneità. Questo dialogo con l’airone diventa strumento e misura per la comprensione della propria condizione d’uomo, l’appartenenza a un complesso sistema organico e pulsante di morte e di rigenerazione, in una conflittualità sempre presente e operante alla trasformazione, il tutto alla ricerca del punto esatto in cui “il conflitto si placa”, sapendosi, uomo e airone, “potenti macchine da guerra che avanzano / che scuotono la cintura della terra / e misurano ogni altro respiro”.
Fabrizio Bregoli
KOBAYASHI ISSA
(1763-1828)
Nibbi
gridano insieme –
gli dèi partono
(da Poesie Zen, Newton Compton Editore, 2010)
CHARLES BAUDELAIRE
(Da Les fleurs du mal – Michel Lévy Frères, Libraires éditeurs, 1868)
L’ALBATROS
Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.
À peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d’eux.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid!
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!
Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.
L’ALBATRO
Spesso, per divertirsi, i membri dell’equipaggio
catturano gli albatri, maestosi uccelli marini,
che seguono, svogliati compagni di viaggio,
la nave che si trascina sugli amari abissi.
Non riescono a deporli sul ponte della nave
che questi re dell’azzurro, maldestri e timorosi,
fanno cadere con sgomento le loro grandi ali bianche
come remi abbandonati al loro fianco.
Questo viaggiatore alato, com’è imbranato e fiacco!
Lui, poco fa così bello, com’è comico e squallido!
Chi gli stuzzica il becco con la pipa, chi mima,
zoppicando, l’infermo che un tempo volava!
Il Poeta è proprio come il principe delle nuvole
che dimora nella tempesta e se la ride dell’arciere;
esiliato a terra tra gli insulti degli uomini
gli sono d’impedimento queste sue ali da gigante.
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
GIOVANNI PASCOLI
(Da Myricae, 1891)
DIALOGO
Scilp: i passeri neri su lo spalto
corrono, molleggiando. Il terren sollo
rade la rondine e vanisce in alto:
vitt… videvitt. Per gli uni il casolare,
l’aia, il pagliaio con l’aereo stollo;
ma per l’altra il suo cielo ed il suo mare.
Questa, se gli olmi ingiallano la frasca,
cerca i palmizi di Gerusalemme:
quelli, allor che la foglia ultima casca,
restano ad aspettar le prime gemme.
Dib dib bilp bilp: e per le nebbie rare,
quando alla prima languida dolciura
l’olmo già sogna di rigermogliare,
lasciano a branchi la città sonora
e vanno, come per la mietitura,
alla campagna, dove si lavora.
Dopo sementa, presso l’abituro
il casereccio passero rimane;
e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro
saluta le migranti oche lontane.
Fischia un grecale gelido, che rade:
copre un tendone i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.
E tutto è bianco e tacito al mattino:
nuovo: e dai bianchi e muti casolari
il fumo sbalza, qua e là, turchino.
La neve! (Videvitt: la neve? il gelo?
ei di voi, rondini, ride:
bianco in terra, nero in cielo
v’è di voi chi vide… vide… videvitt?)
La neve! Allora poi che il cibo manca,
alla città dai mille campanili
scendono, alla città fumida e bianca;
a mendicare. Dalla lor grondaia
spìano nelle chiostre e nei cortili
la granata o il grembiul della massaia.
Tornano quindi ai campi, a seminare
veccia e saggina coi villani scalzi,
e — videvitt — venuta d’oltremare
trovano te, che scivoli, che sbalzi,
rondine, e canti; ma non sai la gioia
— scilp — della neve, il giorno che dimoia.
ANTONIO PORTA
(Da Airone, in Tutte le poesie, Garzanti, 2009)
10. (21.9.80)
quando il mio essere si fa opaco lo distendo
ai tuoi piedi, airone
io disteso come prateria
invasa dalle acque dai semi
opposto ai buchi luminosi dello stellato
come in attesa di essere ancora luce
all’alba quando il conflitto si placa e si racchiude
in un uovo minuscolo
dove già pulsa il cuore di un usignolo
dove batte il minuscolo mio cuore neonato
come milioni di altri muscoli nascosti
potenti macchine da guerra che avanzano
che scuotono la cintura della terra
e misurano ogni altro respiro