foto di Salvatore Mayyarro
POESIA A CONFRONTO- Poesie in forma di lettera
LUZI, PLATH, FORTINI, CANDIANI
L’epistola in versi, o la poesia che si pone in forma di lettera, ha significativi ascendenti fin dalla classicità. Noi prenderemo qui in esame testi dell’ultimo secolo in cui autori, pur lontani fra di loro, si servono della forma poesia per concepire idealmente una lettera, ipotizzando quindi il colloquio con un destinatario di riferimento o presunto.
Partiamo dalla celebre poesia di Luzi indirizzata a Giuseppina, una sua cara amica dei tempi giovanili; avviene qui la rievocazione degli anni passati che diventano lo sprone per interrogarsi sul presente, fare un bilancio del tempo in cui l’autore confessa: “non so più quel che volli o mi fu imposto”, dove tutto ha la connotazione di una “vicissitudine sospesa”. Se la vita segue il suo corso, indecifrabile e diverso da quanto atteso, tutto il resto, il paesaggio, la natura, sembra stagliarsi inalterato, sottolinea la sua inalterabilità, tutto assorto in un “lungo sonno avventuroso”, che è appunto generatore del ricordo accorato da cui prendono le mosse questi versi.
Nella sua poesia Sylvia Plath, ricorrendo a un linguaggio prepotentemente simbolico, ricco di immagini forti e originali, traspone in una lettera d’amore, ma scritta in versi, la rappresentazione della nascita dell’amore, come “dono” e evento miracoloso e salvifico, capace di far risvegliare da un sonno atavico e castrante l’interiorità nella sua interezza, con la sua trasformazione “da pietra a nuvola” fino allo stato di benedizione assoluta, restituirla così alla sua dimensione più autentica.
La poesia di Fortini, tutta articolata in distici che hanno movenze che vanno dall’endecasillabo irregolare all’esametro “barbaro”, è una coinvolgente lettera al padre, tutta intrisa di significativi riferimenti religiosi e biblici della cultura ebraica, e nasce per l’urgenza di dover dire, come sostiene lo stesso autore: “Ma quello che tu non dici devo io dirlo per te”. Una storia tutta privata diventa, grazie alla compostezza maestosa di questi versi, una vicenda condivisa dai lettori, anche loro partecipi di un “mondo” che li sa vincere “giorno per giorno”.
La Candiani, usando degli abili artifici e bisticci verbali, invia, non scrivendola – lei sostiene – una lettera “di infiniti indirizzi”, una sorta di convocazione di tutti i lettori che sono invitati a uno scambio che non può mai essere unidirezionale (“mai da me a te”) perché così perderebbe la sua autenticità, diventerebbe “amo / che strappa le labbra”. In poesia si è tutti protagonisti e nessuno, nemmeno l’autore, prevale sull’altro. Ecco allora una lettera non scritta, o meglio scritta, ma sempre a rovescio o in modo imprevisto: “da me a me / da te a te / da te a me”.
Fabrizio Bregoli
MARIO LUZI
(Da Primizie del deserto, Schwarz, 1952)
NOTIZIE A GIUSEPPINA DOPO TANTI ANNI
Che speri, che ti riprometti, amica,
se torni per così cupo viaggio
fin qua dove nel sole le burrasche
hanno una voce altissima abbrunata,
di gelsomino odorano e di frane?
Mi trovo qui a questa età che sai,
né giovane né vecchio, attendo, guardo
questa vicissitudine sospesa;
non so più quel che volli o mi fu imposto,
entri nei miei pensieri e n’esci illesa.
Tutto l’altro che deve essere è ancora,
il fiume scorre, la campagna varia,
grandina, spiove, qualche cane latra
esce la luna, niente si riscuote,
niente dal lungo sonno avventuroso.
SYLVIA PLATH
(Da Poetry, 1962 – poi in Crossing the Water)
LOVE LETTER
Not easy to state the change you made.
If I’m alive now, then I was dead,
Though, like a stone, unbothered by it,
Staying put according to habit.
You didn’t just tow me an inch, no-
Nor leave me to set my small bald eye
Skyward again, without hope, of course,
Of apprehending blueness, or stars.
That wasn’t it. I slept, say: a snake
Masked among black rocks as a black rock
In the white hiatus of winter-
Like my neighbors, taking no pleasure
In the million perfectly-chiseled
Cheeks alighting each moment to melt
My cheeks of basalt. They turned to tears,
Angels weeping over dull natures,
But didn’t convince me. Those tears froze.
Each dead head had a visor of ice.
And I slept on like a bent finger.
The first thing I was was sheer air
And the locked drops rising in dew
Limpid as spirits. Many stones lay
Dense and expressionless round about.
I didn’t know what to make of it.
I shone, mice-scaled, and unfolded
To pour myself out like a fluid
Among bird feet and the stems of plants.
I wasn’t fooled. I knew you at once.
Tree and stone glittered, without shadows.
My finger-length grew lucent as glass.
I started to bud like a March twig:
An arm and a leg, and arm, a leg.
From stone to cloud, so I ascended.
Now I resemble a sort of god
Floating through the air in my soul-shift
Pure as a pane of ice. It’s a gift.
LETTERA D’AMORE
Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov’ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po’ col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l’azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell’inverno-
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l’aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt’intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d’uccello e gli steli delle piante
Non m’ingannai. Ti riconobbi all’istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in alto.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima
pura come una lastra di ghiaccio. È un dono.
(da Sylvia Plath, Tutte le poesie, Mondadori, 2019)
FRANCO FORTINI
(Da Tutte le poesie, Mondadori, 2014)
LETTERA
Padre, il mondo ti ha vinto giorno per giorno
come vincerà me, che ti somiglio.
Padre di magre risa, padre di cuore bruciato
padre, il più triste dei miei fratelli, padre,
il tuo figliolo ancora trema del tuo tremore
come quel giorno d’infanzia di pioggia e paura
pallido tra le urla buie del rabbino contorto
perdevi di mano le zolle sulla cassa di tuo padre.
Ma quello che tu non dici devo io dirlo per te
al trono della luce che consuma i miei giorni
Per questo è partito tuo figlio ed ora insieme ai compagni
cerca le strade bianche di Galilea.
CHANDRA LIVIA CANDIANI
(da Io con vestito leggero, Campanotto Editore, 2005)
La lettera che cerco
di non scriverti
scrivendo tante lettere
sulle lettere è una lettera
di infiniti indirizzi
da me a me
da te a te
da te a me
mai da me a te
non posso si trasformerebbe
comunque in un amo
che strappa le labbra