POESIA A CONFRONTO – Poesia e arte

POESIA A CONFRONTO – Poesia e arte
 
 
 
 

POESIA A CONFRONTO – Poesia e arte
KEATS, AUDEN, WILLIAMS

 
 
 
 

Trasporre opere dell’arte figurativa (pittura, affresco, scultura, etc..) in versi (procedimento noto, per i tecnici, come ecfrasi) è una sfida non semplice della quale abbiamo diverse testimonianze in poesia, tre delle quali sono oggetto del confronto di oggi.

Il primo testo, celeberrimo, è l’ode su un’urna greca di Keats. Molto probabilmente l’ode è ispirata a un’urna realmente vista dall’autore e l’impresa in versi tentata da Keats cerca di incarnare in poesia lo spirito di quella “leggenda istoriata”. Alla imperturbabilità dell’arte in cui la vita è per sempre scolpita nel marmo si contrappone la transitorietà di ogni accadimento umano, destinato a consumarsi dopo essere avvenuto nella sua bruciante fattualità. L’arte permette così di dare voce e rendere plausibili anche “arie senza suono”, è lo spazio dove tutto permane e potrebbe accadere. Ma l’arte è anche una “fredda pastorale”, manca della sostanza contraddittoria e pulsante di cui è fatta la vita, pur nella sua inevitabile imperfezione e nel suo destino che la porta all’auto-cancellazione, all’auto-consunzione. Ecco allora la chiusa sentenziosa, così misteriosa nella sua apparente semplicità: “”Beauty is truth, truth beauty”, e come intenderlo pienamente è un enigma ancora aperto a cui ciascuno può dare la sua personale decifrazione.

Altrettanto lucida e efficace è la riflessione sull’arte che ci propone Auden nella sua poesia dedicata al celebre quadro di Bruegel sulla caduta di Icaro. La prima strofa sembra prendere il discorso alla lontana, parlando della infallibilità dei maestri nel saper ritrarre la sofferenza umana, con riferimenti a dettagli, apparentemente insignificanti, che sono invece sintomi di una riflessione più ampia, che si manifesta con maggiore evidenza nella seconda strofa, tutta incentrata sul quadro in questione. Qui emerge l’idea di un’umanità indifferente alla sofferenza del singolo, tutta assorbita nella sua (spesso triviale) quotidianità. L’arte allora diventa specchio di questa estraneità, dà forma a questa intuizione con l’incisività, anche gretta, delle immagini usate da Auden come per “il cavallo del torturatore” che “si gratta l’innocente deretano contro un albero”.

Lo stesso concetto e in riferimento allo stesso quadro viene sviluppato anche da Williams; se l’idea di fondo è la medesima, completamente diversa è la scelta espressiva qui prospettava. Alla profondità argomentativa di Auden si contrappone la semplicità descrittiva di Williams; alla versificazione ampia e ragionante di Auden, attento a ogni minimo dettaglio, si contrappone la versificazione franta, breve o brevissima, al limite della spezzatura delle frasi, di Williams. Il confronto fra le due poesie è un esempio di come testi vicinissimi, addirittura concomitanti per tema e scelte terminologiche, possano avere sviluppi invece completamente autonomi grazie alle scelte stilistiche adottate.

 

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
JOHN KEATS
 
ODE ON A GRECIAN URN
 
Thou still unravish’d bride of quietness,
Thou foster-child of silence and slow time,
Sylvan historian, who canst thus express
A flowery tale more sweetly than our rhyme:
What leaf-fring’d legend haunts about thy shape
Of deities or mortals, or of both,
In Tempe or the dales of Arcady?
What men or gods are these? What maidens loth?
What mad pursuit? What struggle to escape?
What pipes and timbrels? What wild ecstasy?
 
Heard melodies are sweet, but those unheard
Are sweeter; therefore, ye soft pipes, play on;
Not to the sensual ear, but, more endear’d,
Pipe to the spirit ditties of no tone:
Fair youth, beneath the trees, thou canst not leave
Thy song, nor ever can those trees be bare;
Bold Lover, never, never canst thou kiss,
Though winning near the goal yet, do not grieve;
She cannot fade, though thou hast not thy bliss,
For ever wilt thou love, and she be fair!
 
Ah, happy, happy boughs! that cannot shed
Your leaves, nor ever bid the Spring adieu;
And, happy melodist, unwearied,
For ever piping songs for ever new;
More happy love! more happy, happy love!
For ever warm and still to be enjoy’d,
For ever panting, and for ever young;
All breathing human passion far above,
That leaves a heart high-sorrowful and cloy’d,
A burning forehead, and a parching tongue.
 
Who are these coming to the sacrifice?
To what green altar, O mysterious priest,
Lead’st thou that heifer lowing at the skies,
And all her silken flanks with garlands drest?
What little town by river or sea shore,
Or mountain-built with peaceful citadel,
Is emptied of this folk, this pious morn?
And, little town, thy streets for evermore
Will silent be; and not a soul to tell
Why thou art desolate, can e’er return.
 
O Attic shape! Fair attitude! with brede
Of marble men and maidens overwrought,
With forest branches and the trodden weed;
Thou, silent form, dost tease us out of thought
As doth eternity: Cold Pastoral!
When old age shall this generation waste,
Thou shalt remain, in midst of other woe
Than ours, a friend to man, to whom thou say’st,
“Beauty is truth, truth beauty,—that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.”
 
 
 
 
Tu, ancora inviolata sposa della quiete,
Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale intarsiata leggenda di foglie pervade
La tua forma, sono dei o mortali,
O entrambi, insieme, a Tempo o in Arcadia?
E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose?
Qual è la folle ricerca? E la fuga tentata?
E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia?
 
Sì, le melodie ascoltate sono dolci; ma più dolci
Ancora sono quelle inascoltate. Su, flauti lievi,
Continuate, ma non per l’udito; preziosamente
Suonate per lo spirito arie senza suono.
E tu, giovane, bello, non potrai mai finire
Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli;
E tu, amante audace, non potrai mai baciare
Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
E tu l’amerai per sempre, per sempre così bella.
 
Ah, rami felici! Non saranno mai sparse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera;
E felice anche te, musico mai stanco,
Che sempre e sempre nuovi canti avrai;
Ma più felice te, amore più felice,
Per sempre caldo e ancora da godere,
Per sempre ansimante, giovane in eterno,
Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che il cuore addolorato lascia e sazio,
La fronte in fiamme, secca la lingua.
 
E chi siete voi, che andate al sacrificio?
Verso quale verde altare, sacerdote misterioso,
Conduci la giovenca muggente, i fianchi
Morbidi coperti da ghirlande?
E quale paese sul mare, o sul fiume,
O inerpicato tra la pace dei monti
Ha mai lasciato questa gente in questo sacro mattino?
Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre,
E mai nessuno tornerà a dire
Perché sei stato abbandonato.
 
Oh, forma attica! Posa leggiadra! Con un ricamo
D’uomini e fanciulle nel marmo,
Coi rami della foresta e le erbe calpestate.
Tu, forma silenziosa, come l’eternità
Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!
Quando l’età avrà devastato questa generazione,
Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori
Non più nostri, amica all’uomo, cui dirai
“Bellezza è verità, verità bellezza”, questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.
 
 

(traduzione tratta da John Keats, Poesie. Con un saggio di Jorge Luis Borges. Testo originale a fronte, Oscar Mondadori, Milano 1996)

 
 
 
 
 
 
WYSTAN HUGH AUDEN
 
(da Collected Poems, Faber & Faber, 1976)
 
MUSÉE DES BEAUX ARTS
(1938)
 
About suffering they were never wrong.
The Old Masters: how well they understood
Its human position; how it takes place
While someone else is eating or opening a window or just walking dully along;
How, when the aged are reverently, passionately waiting
For the miraculous birth, there always must be
Children who did not specially want it to happen, skating
On a pond at the edge of the wood:
They never forget
That even the dreadful martyrdom must run its course
Anyhow in a corner, some untidy spot
Where the dogs go on with their doggy life and the torturer´s horse
Scratches its innocent behind on a tree.
 
In Brueghel´s Icarus, for instance: how everything turns away
Quite leisurely from the disaster; the ploughman may
Have heard the splash, the forsaken cry,
But for him it was not an important failure; the sun shone
As it had to on the white legs disappearing into the green
Water; and the expensive delicate ship that must have seen
Something amazing, a boy falling out of the sky,
Had somewhere to get to and sailed calmly on.
 
 
 
 
MUSÉE DES BEAUX ARTS
 
Sulla sofferenza non erano mai in torto,
i Vecchi Maestri: come capivano bene
la sua umana posizione; come essa si svolga
mentre qualcun’altro mangia o apre una finestra o cammina annoiato;
come, mentre i vecchi attendono rispettosi e appassionati
la nascita miracolosa, ci siano sempre
bambini a cui non importa niente che essa avvenga, e pattinano
su uno stagno al limite del bosco;
non dimenticavano mai
che anche il tremendo martirio deve avere il suo corso
in qualche modo in un angolo, in qualche squallido posto
dove i cani continuano a vivere da cani e il cavallo del torturatore
si gratta l’innocente deretano contro un albero.
 
Nell’Icaro di Bruegel, per esempio: come ogni cosa si volge
del tutto tranquilla dal disastro; il contadino
può avere udito il tonfo, il grido desolato,
ma per lui non era un problema importante; il sole splendeva
come doveva fare sulle bianche gambe che scompaiono nel verde
dell’acqua; e la nave lussuosa e snella che aveva pur visto
qualcosa di sorprendente, un ragazzo che cade dal cielo,
sapeva dove andare e calma continuava a navigare.
 
 
(da Poesie scelte, Adelphi, 2016)
 
 
 
 
 
 
WILLIAM CARLOS WILLIAMS
(da Immagini da Bruegel e altre poesie, 1962)
 
LANDSCAPE WITH THE FALL OF ICARUS
 
According to Brueghel
when Icarus fell
it was spring
 
a farmer was ploughing
his field
the whole pageantry
 
of the year was
awake tingling
with itself
 
sweating in the sun
that melted
the wings’ wax
 
unsignificantly
off the coast
there was
 
a splash quite unnoticed
this was
Icarus drowning
 
 
 
 
PAESAGGIO CON LA CADUTA DI ICARO
 
Secondo Brueghel
quando Icaro cadde
era primavera
 
un contadino arava
il suo campo
tutta la cerimonia
 
dell’anno era
in cammino formicolando
vicino
 
alla riva del mare
intenta
solo a sé
 
sudando nel sole
che fuse
le ali di cera
 
non lontano
dalla costa
c’era
 
un tuffo del tutto ignorato
era
Icaro che annegava.
 
 
(da Immagini da Bruegel e altre poesie, a cura di A. Marianni, Guanda, 1987)