POESIA A CONFRONTO: Cavalieri

POESIA A CONFRONTO: Cavalieri

 
 
 
 

POESIA A CONFRONTO: Cavalieri
ARIOSTO, TASSO, TASSONI

 
 
 
 

La poesia epico-cavalleresca è uno dei generi di più grande prestigio e tradizione letteraria, capace di segnare e contraddistinguere la letteratura italiana, rendendola nota e riconoscibile nel mondo. Il confronto di oggi sceglie quindi di fare un salto nel passato, per prendere in esame gli incipit di tre poemi epico-cavallereschi molto noti a tutti, non foss’altro per la formazione scolastica imprescindibile di ciascuno.

Il primo verso del Canto Primo de “L’Orlando Furioso” è un esempio insigne di sintesi espressiva e di perizia poetica: il tema del poema viene presentato come elencazione che gioca contemporaneamente sulle figure dell’ossimoro e del chiasmo portando immediatamente il lettore nel cuore dell’azione specificata con dettagli storici nei versi rimanenti della prima ottava. Da qui l’attenzione si concentra sul protagonista della vicenda, Orlando, di cui preme mettere in evidenza la novità nella trattazione (“cosa non detta in prosa mai né in rima”): furore e pazzia indotti dall’amore, prima ancora che dalle vicende avventurose e guerresche; istituendo anche un parallelo con la storia personale dell’autore che dovrà sapere raccogliere le forze necessarie alla scrittura, essendo stato pure lui vittima di un amore simile. E poi il tema encomiastico della terza ottava, obbligo imposto dalla commissione dell’opera, che assume allora la forma del dono al proprio signore da parte del suo “umil servo”.

La prima ottava de “La Gerusalemme Liberata”, come osservato in Ariosto, riassume il tema dell’opera, il tutto però con un’impostazione più narrativa e con una sintassi concisa e franta, appena compensata dalla simmetria ricercata con la ripetizione (“molto”, “invano”). La seconda e la terza ottava scelgono di riprendere (ciò che non è presente in Ariosto) il tema classico della invocazione alle Muse, come radice dell’autentica ispirazione poetica, rivendicando la necessità di aderenza al vero, il quale però non può essere immune da rielaborazione e aggiunte a fini estetici (“fregi al ver”): questo serve infatti a rendere la materia più accessibile e maggiormente assimilabile nel suo intento etico e educativo (bene espresso con la similitudine relativa al “egro fanciul”). La quarta ottava, come in Ariosto, propone il tema dell’elogio del signore, per il quale i versi diventano qui “voto”, caricandosi di una valenza quasi sacrale; si aggiunge poi la promessa di future opere che possano più direttamente trattare il valore del signore stesso, per via più diretta e esplicita.

Di ben altro tenore ovviamente l’incipit del Tassoni, in cui il canone della poesia epico-cavalleresca viene sottoposto a manipolazione a fini satirici. Il tema viene qui sinteticamente esposto dalla ottava introduttiva che tratta l’argomento del poema, in una sorta di didascalia ulteriore per il lettore. L’impronta paradossale del poema emerge con chiarezza fin dalla prima ottava in cui protagonista dell’opera è “un’infelice e vil secchia di legno”: non un eroe in carne ed ossa ma un oggetto e per di più vile, ossia scevro di qualunque elemento che possa contribuire a conferire onore agli uomini che se la contenderanno. La stessa invocazione a Febo nulla ha di quel tono composto che abbiamo letto nel Tasso; l’ultimo verso della prima ottava desacralizza totalmente l’invocazione, facendola degradare quasi a boutade. La seconda ottava che ripropone il classico elogio al signore risulta ancora più sferzante: consapevole che l’opera non potrà servire a magnificare il valore e l’onore del signore, il Tassoni presenta il suo poema come piacevole diversivo (“ricrearti il ciglio”) a cui il signore potrà dedicarsi nei ritagli di tempo, solo quando non sarà distolto dai maggiori impegni (quali poi?) che lo riguardano. Il mito e il valore etico del poema viene totalmente capovolto e banalizzato tanto che, come si dice nell’ultima ottava, avviene una metamorfosi tragicomica per la quale “una secchia” senza alcun valore può diventare oggetto di aspre contese alla pari di Elena nell’Iliade.

 

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
LUDOVICO ARIOSTO
(Da Orlando Furioso, 1516)
 
CANTO PRIMO
 
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
 
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sí saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sará però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
 
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
 
 
(Da Ludovico Ariosto, Orlando furioso, a cura di Santorre Debenedetti, Bari, Laterza, 1928)
 
 
 
 
 
 
TORQUATO TASSO
(Da Gerusalemme Liberata, 1581)
 
Canto l’arme pietose, e ’l Capitano
Che ’l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò col senno e con la mano;
Molto soffrì nel glorioso acquisto:
E invan l’Inferno a lui s’oppose; e invano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto:
Chè ’l Ciel gli diè favore, e sotto ai santi
Segni ridusse i suoi compagni erranti.
 
O Musa, tu, che di caduchi allori
Non circondi la fronte in Elicona,
Ma su nel Cielo infra i beati cori
Hai di stelle immortali aurea corona;
Tu spira al petto mio celesti ardori,
Tu rischiara il mio canto, e tu perdona
S’intesso fregj al ver, s’adorno in parte
D’altri diletti, che de’ tuoi le carte.
 
Sai che là corre il mondo, ove più versi
Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso;
E che ’l vero condito in molli versi,
I più schivi allettando ha persuaso.
Così all’egro fanciul porgiamo aspersi
Di soavi licor gli orli del vaso:
Succhi amari, ingannato, intanto ei beve,
E dall’inganno suo vita riceve.
 
Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scoglj,
E fra l’onde agitato, e quasi assorto;
Queste mie carte in lieta fronte accogli,
Che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia, che la presaga penna
Osi scriver di te quel ch’or n’accenna.
 
 
(Da Torquato Tasso, Gerusalemme liberata – Tomo I, Parigi, Agostino Delalain, Pietro Durand, Gio. Claudio Molini, 1771)
 
 
 
 
 
 
ALESSANDRO TASSONI
(Da La secchia rapita, 1621)
 
ARGOMENTO.
 
Del bel Panaro il pian, sotto due scorte,
A predar vanno i Bolognesi armati;
E da Gherardo altri condotti a morte,
Altri dal Potta son rotti e fugati.
Gl’ incalza di Bologna entro le porte
Manfredi, i cui guerrier co’ vinti entrati
Fanno per una secchia orribil guerra,
E tornan trionfanti alla lor terra.

 
 
 
 
I.
 
Vorrei cantar quel memorando sdegno
Ch’ infiammò già ne’ fieri petti umani
Un’infelice e vil secchia di legno,
Che tolsero ai Petroni i Gemignani.
Febo che mi raggiri entro lo ’ngegno
L’orribil guerra e gli accidenti strani,
Tu che sai poetar, servimi d’aio,
E tiemmi per le maniche del saio.
 
 
 
 
II.
 
E tu, nipote del rettor del mondo,
Del generoso Carlo ultimo figlio,
Ch’ in giovinetta guancia e ’n capel biondo
Copri canuto senno, alto consiglio;
Se dagli studi tuoi di maggior pondo
Volgi talor per ricrearti il ciglio,
Vedrai, s’ al cantar mio porgi l’orecchia,
Elena trasformarsi in una secchia.
 
 
(Da Alessandro Tassoni, La Secchia rapita con annotazioni e col canto dell’Oceano, Firenze, Gregorio Chiari, 1824)