POESIA A CONFRONTO – Alberi

 
 

POESIA A CONFRONTO – Alberi
SBARBARO, BRECHT, ALBERTI, NOTEBOOM

 
 

Il tema della natura, con particolare riferimento al regno vegetale, è da sempre molto frequentato dalla poesia e dalla letteratura in genere: l’albero esercita un suo profondo fascino e capacità di attrazione, riassumendo in sé il messaggio di un forte radicamento alla terra (con le radici) e di tensione verso l’altro, verso il cielo (la chioma), elementi che lo connotano e gli conferiscono un particolare ascendente simbolico.

Nella sua prosa poetica Sbarbaro vive la relazione con l’albero nella forma dell’invidia, vedendo riassunto nell’albero tutto l’insieme delle qualità e delle virtù che dovrebbero essere proprie dell’uomo, a cui l’uomo dovrebbe ambire. Ecco allora la necessità di ritrovare e scoprire “fisionomie d’alberi” come strada per una restituzione dell’uomo alla sua natura più profonda, quella di essere “un comune albero”, nella semplicità quindi di uomo fra gli uomini, in equilibrio sincero con la ragione delle cose.

Molto celebre la poesia qui proposta di Brecht, poesia che vede come protagonista un piccolo albero, quasi indistinguibile nella sua vera natura: un minuscolo susino, protetto dal mondo, ma incapace di crescere se non può attingere alla sua sorgente di vita, ossia il sole. Unico elemento che lo fa riconoscere tale è la foglia, perché inadatto a produrre frutti: poesia apparentemente leggera, denotativa, ma in realtà carica di riferimenti allegorici che ciascuno può personalmente tentare di decifrare, nel suo evidente riferimento alla condizione dell’uomo, al tema della libertà.

Nella intensa e delicata poesia di Rafael Alberti assistiamo invece al dramma di un albero sradicato, rappresentato con una personificazione che lo accomuna a un bambino “esiliato dalla sua culla”. La poesia invita e concretizza il forte desiderio di empatia e di compartecipazione al dolore in un’ideale identificazione fra uomo e albero, entrambi possibili oggetti di violenza e di abuso. Ecco allora la chiusa, in cui l’autore avverte il bisogno insopprimibile di rendere onore e pietà a questo albero, dedicare a lui il canto che merita, come gesto estremo di rispetto e di compassione.

Nella potente poesia di Noteboom è un albero a prendere la parola e a chiedere all’autore e, con il suo tramite, a tutti gli uomini, di comprendere la sua essenza, la sua ragione d’essere, di capire la sua “lingua di una sola parola”. L’albero, come i monaci, è un’entità spirituale, coincide con la sua stessa anima, senza alcuna distinzione fra forma materiale e immateriale; diventa qui il testimone silenzioso del male del mondo, nella sua “forma irripetibile”, consapevole di essere “senza colpa”, in un messaggio inviato all’uomo perché si riappropri di una sincera consapevolezza e volontà al bene.

 

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
CAMILLO SBARBARO
(Da Trucioli, Vallecchi, 1920)
 
38.
 
Ma ormai, se qualcuno invidio, è l’albero.
 
Freschezza e innocenza dell’albero! Cresce a suo modo. Schietto, sereno. Il sole, l’acqua lo toccano in ogni foglia. Perennemente ventilato.
 
Tremolio, brillare del fogliame come un linguaggio sommesso e persuasivo!
 
Più che d’uomini, ho in cuore fisionomie d’alberi.
 
Ci sono alberi scapigliati ed alberi raccolti come mani che pregano. Alberi che sono delicate trine sciorinate; altri, come ceri pasquali.
 
Alberi patriarcali, vasti come case, rotti dalla fatica di spremere per generazioni la dolcezza dei frutti.
 
C’è l’albero di città, grido del verde, unica cosa ingenua nel deserto atroce.
 
Ma più di ogni altro, due alberi ricordo che crescevano da un greto di torrente, allato, come svelti fratelli…
 
Essere un albero, un comune albero…
 
 
 
 
 
 
BERTOLD BRECHT
(Svendborger Gedichte, 1926-1938)
 
DER PFLAUMENBAUM
 
Im Hofe steht ein Pflaumenbaum,
Der ist so klein, man glaubt es kaum.
Er hat ein Gitter drum,
So tritt ihn keiner um.
 
Der Kleine kann nicht größer wer’n,
Ja – größer wer’n, das möcht’ er gern!
‘s ist keine Red davon:
Er hat zu wenig Sonn’.
 
Dem Pflaumenbaum, man glaubt ihm kaum,
Weil er nie eine Pflaume hat.
Doch er ist ein Pflaumenbaum:
Man kennt es an dem Blatt.
 
 
 
 
 
 
IL SUSINO
 
Nel cortile c’è un susino.
Quant’è piccolo, non crederesti.
Gli hanno messo intorno una grata
perché la gente non lo pesti.
 
Se potesse, crescerebbe:
diventar grande gli piacerebbe.
Ma non servono parole:
quel che gli manca è il sole.
 
Che è un susino, appena lo credi
perché susine non ne fa.
Eppure è un susino e lo vedi
dalla foglia che ha.
 
(traduzione di Franco Fortini)
 
 
 
 
 
 
RAFAEL ALBERTI
(Da Poemas de Punta del Este, 1945-1956)
 
Han descuajado un árbol. Esta misma mañana,
el viento aún, el sol, todos los pájaros
lo acariciaban buenamente. Era
dichoso y joven, cándido y erguido,
con una clara vocación de cielo
y con un alto porvenir de estrellas.
Hoy, a la tarde, yace como un niño
desenterrado de su cuna, rotas
las dulces piernas, la cabeza hundida,
desparramado por la tierra y triste,
todo deshecho en hojas,
en llanto verde todavía, en llanto.
Esta noche saldré -cuando ya nadie
pueda mirarlo, cuando ya esté solo-
a cerrarle los ojos y a cantarle
esa misma canción que esta mañana
en su pasar le susurraba el viento.
 
 
 
 
Han sradicato un albero. Ancora stamani
il vento, il sole, gli uccelli
l’accarezzavano benignamente. Era
felice e giovane, candido ed eretto,
con una chiara vocazione di cielo
e un alto futuro di stelle.
Stasera giace come un bimbo
esiliato dalla sua culla, spezzate
le tenere gambe, affondato
il capo, sparso per terra e triste,
disfatto di foglie
e in pianto ancora verde, in pianto.
Questa notte uscirò – quando nessuno
potrà vedere, quando sarò solo –
a chiudergli gli occhi ed a cantargli
quella canzone che stamani il vento
passando sussurrava.
 
(Tratto da R. Alberti, L’albereto perduto, Editori Riuniti, Roma, 2012)
 
 
 
 
 
 
CEES NOTEBOOM
(da Esca, 1982 – in Luce ovunque, Einaudi, 2016)
 
ALBERO
 
Sii me, diventa me
Almeno una volta nella tua vita inquieta.
Da due continenti
viene il vento che mi vortica intorno
e che danza con me come un uomo.
 
Io non ho anima,
io sono la mia anima.
Nel linguaggio del mio ininterrotto pensare
oscillo e mi piego e mormoro,
albero esemplare
con la sua lingua di una sola parola.
 
Non sono solo i monaci
a cantare, con la loro voce di esseri umani,
ci sono anch’io, sempre qui in attesa
soffrendo per il male del mondo
nella mia forma irripetibile,
senza colpa.
 
(traduzione di Fulvio Ferrari)