Città
Il giardino ha balsami, insidie —
davvero su questo rosso l’aria è espansa
d’atomi profumati, che rappacificano noi con noi;
anche i colori profumano, con lunghezze d’ onda che mandano
respiri,
non so come, e li inaliamo, e il clima
ha una densezza dolce, non si può più
pensare sotto le coronate magnolie. A pochi è dato.
— Ho carezze, erbe, che un tempo si chiamavano smalti,
ed è proprio vero, con pietre preziose, e non si può
non sentire una donna. Sebbene i sensi
di chi abita ampi giardini vadano placandosi
per palpiti di ali, forse colombi o morbide tortore lì
su quel ramo, e per il lamentoso verso
della tortora, e numerosi minimi uccelli ci distraggano
e gutturali
attutiti richiami, noi siamo attratti, fiutiamo
l’umanità del caprifoglio
coi suoi tepori tra i capelli e l’orecchio,
femminili, giovani —
e noi senza età; e un tessuto di suoni
e lucenti e brevi, e modulazioni
e velluti, e gracchi nascosti e lontani fischi
fanno una partitura d’inafferrabili e molteplici ritmi
che, simili a foglie, aghiformi
e fruscianti o pennate o impari —
pennate e le obovate e a cuore tutt’intorno
sono piacere e bellezza femminile,
né si percepisce più la complicata struttura del macchinario.
Ma poi non si sa, l’uomo nelle città
trova altre bellezze, e sia qui,
per gli intimi viottoli di casa, che per i viali
il dolore è segreto. È lì sotto, il veleno
è nelle fiabe dei funghi, e a sorpresa ti prende,
e nei mimetici aspidi.