Per me, non è più tempo di credere ai miracoli – Gabriele Borgna



 
 
La vita è un giorno
 
III
Mezzogiorno
 
Ormai è tanto prevedibile
il nostro dire e il fare
che, guardandoci, a volte ne sorridiamo.
Ogni attimo frapposto tra di noi
incede con la gravità di tutto un secolo.
Tu sarai la regina del mio tempo,
la compagna dei miei giorni maturi.
Avremo una vita degna di te,
il sole dentro agli occhi anche la notte…
E allora adesso
mentimi amore, mentimi ad oltranza.
Dimmi un’altra volta – t’amerò per sempre –
dillo eternamente…
 
 
 
 
 
 
IV
Pomeriggio
Mi chiedo da quale fonte sia sgorgata
la tenerezza del tenerci il viso tra le mani
in attesa d’un sonno non voluto
(noi che nel sogno già ci vivevamo),
ora che con rabbia ci auto-flagelliamo
gridandoci l’un l’altro
il nome dell’altro, i difetti dell’altro.
I ruoli sono due, ma ostinati recitiamo
scambiandoci le parti, senza smettere.
E così, a poco a poco, svanirà
ogni traccia della nostra vita insieme…
 
 
 
 
 
 
V
Tramonto
 
Resti umani appesi a una finestra
che seguono distratti la piena del mondo.
Tra avanzi di lucidità mi riconosco.
Per me, non è più tempo di credere ai miracoli
né all’ultima ora, che salva e redime.
Una siffatta verità è l’anticamera della polvere.
Però la morte non pretende verità, ma vita.
 
(Gabriele Borgna, Artigianato sentimentale, Puntoacapo, 2017)
 
 

Una lucida e spietata testimonianza della fragilità dei rapporti sentimentali, nel loro diventare riferimento di vita e di senso nelle esistenze individuali, e nel loro rapido mutare fino a dissolvere da evidenza del miracolo a traccia nella memoria, sintomo di dissolvenza di ogni referente di progettualità umana nel tempo; in una allegoria che si appoggia ai momenti del quotidiano, in un poemetto diviso in cinque movimenti, chiamato “La vita è un giorno”, Gabriele Borgna riesce a restituire un fugace e sapido tratto graffiante della provvisorietà del vivere, fatto di momenti pregni di significato e di valore, per chi li vive, ma anche di svolte impreviste, celeri, che costringono ognuno di noi ad affrontarne le contraddizioni, in una resistenza volta a non smarrire un senso di vitalità, di unità, che possa estendersi dal singolo prezioso momento al mistero mutaforme dell’esistere in ogni sua sfaccettatura.

Si tratteranno qui solo gli ultimi tre testi dell’opera citata, che si concentrano sulla maturità dei sentimenti amorosi in una relazione di coppia (che si estende poi alla percezione del mondo), e ne tratteggiano le dinamiche: in “Mezzogiorno” si assiste al trionfo condiviso della gioia dell’amarsi, delineato nell’immagine degli amanti che si sorridono nel prevedersi a vicenda, negli attimi che hanno “la gravità di tutto un secolo”.

Ed ecco il sogno della progettualità (“sarai … la compagna dei miei giorni maturi. / Avremo una vita degna …”) immediatamente inficiato dal germe lucido della temporaneità di quel sentire comune: “adesso / mentimi amore, mentimi ad oltranza. / Dimmi un’altra volta – t’amerò per sempre – / dillo eternamente…”, quasi come a dire che quello dell’amore, ma indirettamente anche quello dell’eternità, sia un inganno (in senso etimologico, da game, e dunque un gioco, con le sue regole) che può funzionare finché entrambe i partecipanti ne rispettano le regole, le condizioni, “i patti”.

In “Pomeriggio” questa illusione (di nuovo è utile soffermarci sull’etimologia, e ricordare la provenienza del termine da ludus, sempre un “gioco”) inizia ad incrinarsi: il “sogno” in cui “vivevamo” si scontra con la “rabbia” del gridarsi “i difetti dell’altro”, precipitando in un recitare “ostinati … senza smettere”. L’io del testo si chiede “da quale fonte sia sgorgata / la tenerezza”, mentre lucidamente assiste allo svanire di “ogni traccia della nostra vita insieme”.

E infine il “Tramonto” di questa relazione, di questa “giornata” (il che fa pensare che possa essere la prima, l’ultima, una delle tante, l’unica – chissà), in un seguire “distratti la piena del mondo”: nel disincanto “tra avanzi di lucidità … non è più tempo di credere ai miracoli”, né “all’ultima ora, che salva e redime”. Si noti ad esempio la connessione tra riuscita del contatto profondo e duraturo nella relazione umana e i concetti di salvezza e redenzione, ad evidenziarne il valore orientativo, nonostante la precarietà.

E in questa consapevolezza razionale, amara, in questa “verità” appare il presagio dello svanire, del precipitare di senso, “l’anticamera della polvere”; e la ciclicità dinamica dell’esistere è proprio nella chiusa folgorante, dove Borgna non si abbandona all’autocommiserazione o a una visione cinica delle connessioni con l’altro, ma evidenzia la debolezza e – persino – l’irrilevanza di una “verità”, frutto di raziocinio o di pensiero logico, di fronte alla desolazione del disinganno e della dissolvenza di ciò che era allo stesso tempo prezioso e fragile: “la morte non pretende verità, ma vita”, ed è in questo categorico richiamo ad una vitalità terrestre ed autentica che la contraddizione tra dolore e partecipazione sentimentale all’esistenza – in particolare in una relazione di coppia – si risolve positivamente, senza il rischio di annientare quel fondamento di significato che appare svanito – rimanendo orientamento solido nel “tendere a” e “riconoscere”la vita.

Mario Famularo