Dopo il licenziamento dovevo adattarmi a trovare un nuovo lavoro alla svelta, perché non avevo più soldi per pagare l’affitto della doppia nella quale mi ero trasferito da circa sei mesi. L’unico lavoro che si poteva fare in quegli anni – ma credo anche oggi – per guadagnare qualcosa in tempi rapidi era l’addetto vendite in un call-center.
Si trattava di un ex asilo nido dalle parti di piazza Bologna, con le pareti interamente affrescate a tema Libro della giungla. Al centro della sala c’erano due file di tavoli. Sui tavoli i computer, attaccate ai computer delle cuffiette. Un programma selezionava in automatico la chiamata e tu dovevi convincere le persone che rispondevano a prendere un appuntamento con degli agenti che, a loro volta, avrebbero provato a fargli firmare un contratto di attivazione. Ogni appuntamento corrispondeva a una crocetta sulla lavagna accanto al tuo nome. Più crocette, maggiori possibilità di rimanere.
Un po’ di tempo dopo mi si presentò l’occasione di un lavoro in un centro studi a Spinaceto. Bisognava preparare una ventina di ragazzi – che per vari motivi avevano abbandonato la scuola pubblica – con l’obiettivo di farli recuperare da privatisti. Nonostante fossero tutti riuniti in un’unica aula studiavano per indirizzi e classi diverse, per cui bisognava ingegnarsi di organizzare contemporaneamente tre o quattro lezioni.
Le mie giornate divennero molto frenetiche. Alle 9 dovevo essere al centro studi, alle 14 correvo in macchina alla più vicina stazione metro e mezz’ora dopo sbucavo a piazza Bologna, dove sarei rimasto fino alle 20, prima di tornare indietro in metro e poi a casa in macchina. Andare direttamente da A a B sarebbe stato impossibile a causa della distanza, del traffico, ma soprattutto del parcheggio che non avrei mai trovato.
In qualche modo la mia vita stava riprendendo una forma, nonostante tutti i dettagli grotteschi che ometto di raccontare – uno solo: i miei capi del call-center si riunivano in una saletta che in origine doveva essere riservata alla nanna, dato che le pareti erano dipinte di blu con tanto di stelle e luna.
Purtroppo, la mia Punto verde marino sembrava non aver retto al trasferimento nella metropoli e se la passava – se possibile – peggio di me. Una mattina, appena fatto manovra per immettermi nel traffico già intenso delle 8 sentii un rumore sinistro provenire dalle sue viscere, tirai il freno e scesi a dare una controllata. La marmitta si era staccata di netto e giaceva a terra.
Fabrizio Miliucci
Condizione
Non sapevo cosa fosse la solitudine
passavo i giorni chino sui libri – il sole
era un’ombra pallida che avanzava
dalla finestra di sopra.
I giorni erano poveri momenti
di stordimento. La mattina passava
a scrivere furiosamente,
parlavo di quella periferia nuova
e lontana. Dividevo le ore con un
taglio di luce sopra la tangenziale,
i ragazzi mi guardavano in maniera
sospetta, interrogativa, curiosi.
Chinavo la testa per il pomeriggio.
Rincasavo sul tardi, mangiavo, era
come una nuova educazione alle cose.
La macchina perdeva pezzi mentre
andavo per strada.
(da Saggio sulla paura, Pietre Vive 2022)