Mito e guerra e logos: il racconto della guerra nel mondo antico, tra logica storica e narrazione fantastica

C’è tra mito e guerra un rapporto molto stretto. È anzi spesso il racconto della guerra a costituire un mito: sostanza epica per eccellenza e necessario sfondo alla dinamiche di affermazione di una stirpe o di una fede, il tema del conflitto ospita e include le vicende salvifiche di popoli, eroi e dei, quando si allontana nel tempo e assume le sfumature delle rievocazione fantastica. Ma prima di evaporare nell’incertezza della rielaborazione mitica, la guerra passa attraverso logiche di cronaca e storia: quando ancora le ragioni sembrano definite, le argomentazioni stringenti e precise, evidenti i luoghi, i fatti, le cause e le ragioni, incontestabili i torti subiti e le violenze perpetrate.

O, forse, no. Forse anche nel presente della cronaca, e nel passato recente di una storia che giorno dopo giorno diventa tale, quella della guerra non è mai davvero una logica, ma sempre mito consolatorio di chi imbraccia le armi, per sostenere un’accusa che si finge difesa, o una difesa che si ostina in accusa. Del rischio di una tale, possibile e ostentata confusione retorica si discute in modo straordinariamente convincente in un libro recente di Andrea Cozzo1: “La logica della guerra nella Grecia antica”. Nella quarta di copertina, in particolare, l’autore si chiede se “Quando ragioniamo sulla guerra, impostiamo i ragionamenti su di essa “parlando le parole” o “venendone parlati”: cioè se utilizziamo il linguaggio avendo chiari i suoi presupposti e le sue implicazioni, oppure semplicemente credendo che esso esprima la natura delle cose e rispecchi la realtà dei fatti, mentre magari stiamo soltanto inconsapevolmente partecipando a una tradizione retorica che la guerra, anziché ostacolarla, la favorisce”. Nel volume, che vuole approfondire il concetto e la dinamica della guerra nell’orizzonte della Grecia antica, si rincorrono, solo qualche volta sovrapponendosi, i piani temporali del passato e del presente, visto che “il libro è stato scritto parallelamente allo svolgersi e al perdurare della sanguinosa invasione russa dell’Ucraina (24 febbraio 2022) «Cominciando subito al sorgere del conflitto armato e aspettandomi che esso sarebbe stato grande»”, come sostiene in apertura l’autore, mutuando non solo alcune espressioni, ma il senso stesso della propria riflessione sull’incipit delle Storie di Tucidide, l’opera che ha consegnato al mondo la magistrale, a tratti epica, narrazione della guerra del Peloponneso, più nota come guerra tra Sparta e Atene. E, ad aprire il primo capitolo, insieme a questa riflessione, la domanda delle domande: “Chi ha iniziato la guerra di Troia (e tutte le altre)?”.

Non sarà questa la sede per discuterne le possibili risposte, che il lettore interessato potrà recuperare consultando gratuitamente il volume disponibile su QUI ma la questione in sé rimanda ad una conseguente serie di interrogativi che, pur riferendosi ad un orizzonte mitologico, consentono di stabilire punti fondamentali tra le coordinate della logica e della realtà storica. Come e perché, dunque, inizia la guerra di Troia? Esiste un responsabile? Si tratta di un singolo o di un intero popolo? Nasce da una vicenda privata, come il mito del rapimento di Elena da parte di Paride sembrerebbe suggerire, o dalla scontro tra due civiltà che, pur condividendo tratti e interessi comuni, si contrappongono nel nome del potere e della ricchezza cui, diversamente, ambiscono? Potremmo cercare e trovare infinite risposte, molte delle quali ugualmente più o meno accettabili ma nessuna risolutiva, dal momento che si tratta di una guerra che è imprigionata nella barriera del mito, in quanto tale impenetrabile, inconoscibile: a cercare di dissipare le ombre si sarebbe cimentato Erodoto, considerato il padre della storiografia. Sua madre era greca, suo padre orientale: forte della sua doppia matrice culturale, si interrogò profondamente sulle cause del conflitto tra Greci e Persiani (barbari): noi diremmo tra Occidente e Oriente. E, raccogliendo testimonianze diverse, riferì possibili motivazioni strettamente connesse a vicende a loro volta ammantate da miti che connettono luoghi d’oriente e d’Europa alla Grecia: le storie di Io, Europa, Medea e, solo infine, di Elena, rielaborate, però, in una modalità lucida, razionale, compatibile con le logiche della storia piuttosto che con le fantasie del mito e dell’epos. Eppure, ciascuna delle possibili cause o provocazioni, subìte e agite, non avrebbe potuto giustificare il passaggio dalla reazione alla singola azione a quella totalizzante del conflitto: come se, rispetto a una concatenazione di eventi, prevalesse, in un determinato momento, una finalità differente, spesso irrazionale, decisamente sproporzionata. Un salto logico, quasi. Un offuscamento della mente: quello che i Greci chiamavano áte. Una perdita del suscitata da un’azione divina, innescata nella mente di uomini e donne, che finivano così per distruggere se stessi, proprio mente immaginavano di costruire la propria grandezza.

 
 
 
 
 
 

1   Docente di lingua e letteratura greca presso l’Università degli Studi di Palermo.