Leggere Luce nera di Nicola Vacca (Marco Saya Edizioni 2015, premio Camaiore 2016) mi ha riportato alla mente un piccolissimo ciclo di conferenze alle quali ero stato presente nel 2011. Il tema, dal titolo Luce segreta e luce manifesta era stato affrontato dal filosofo Alessandro Carrera e verteva appunto (semplificando molto) sull’imposizione di dualità che la filosofia ci ha consegnato nell’opposizione tra luce e oscurità (si possono ascoltare alcuni estratti qui, qui e qui). Il tema era stato trattato sia dal punto di vista religioso sia dal punto di vista filosofico ma con grandissima concretezza. Esistenza di tre tipologie di luce (luce divina consustanziale a Dio, luce creata da Dio nel primo giorno, luce creata da Dio nel quarto giorno con la creazione del sole), impossibilità di vedere la luce (se guardiamo il sole restiamo accecati, caliamo nel buio guardandola), e luce in poesia con riferimento al premio Nobel Seferis (nei versi angelicata e nera luce dal poemetto Il tordo). Una luce nera che l’altro relatore, Marco Marangoni, aveva definito necessaria tracciando una linea tra luce segreta e visibilità segreta (si può ascoltare un estratto del suo intervento qui). Citando Marco: Bisogna che la visibilità manifesta si accompagni a una visibilità segreta. Cioè, se è vero che come intuiscono i pittori, come intuiscono i poeti, non siamo così distanti dalle cose, ma in qualche modo arriviamo ad avere l’idea di toccarle, di essere un tutt’uno con esse […] è anche vero che oltre alla visibilità manifesta, cioè quella di tutti i giorni con la quale vediamo distante, dev’essere una visibilità segreta che noi non vediamo ma che dobbiamo vedere […] siamo uno con il mondo, non siamo più distinti, ma nello stesso tempo ci deve essere un po’ di distinzione per vedere questa cosa. E questa è la luce segreta, una luce nera, una luce che dobbiamo vedere senza in realtà vederla. E questo è un paradosso.
Questa necessità di vedere le cose pur all’interno di un paradosso (come paradosso è anche la definizione di luce nera) si accompagna a una constatazione dalla banalità e ovvietà disarmanti ma che in effetti è oltre la nostra (occidentale) capacità di pensare. Che ci fa toccare quei muri di luce che non si possono scalfire, creati dalla nostra filosofia a cui fa riferimento Carrera criticando la cultura a cui apparteniamo. Tale constatazione è che il giorno inizia a mezzanotte, nel buio. Questo comporta che la conoscenza si sviluppa nella luce ma deve partire da qualcos’altro, dal buio. Un buio necessario come un lampo di luce che attraversa il buio della notte e rende le cose più chiare, non tanto nella luce elettrica quand’essa è accesa ma quando è spenta, quando tutto appare effettivamente più vero e conoscibile.
Ho voluto ricordare le parole di Alessandro Carrera e di Marco Marangoni perchè mi sembrano utili ed efficaci nel momento in cui si vuole affrontare il libro di Nicola Vacca che, a fronte di un dettato estremamente colloquiale e semplice, rischia di essere un libro complesso a livello di leggibilità. O meglio di comprensibilità. Perchè versi come E adesso siamo sotto l’anticielo / la luce nera che sparge la sua cenere. / Il caos vuole il dubbio / ma poi semina disordine o Essere immanenti alle cose / e interrogare il silenzio di Dio / senza pretendere alcuna risposta rischiano veramente di poter essere letti senza essere veramente capiti.
Pasquale Vitagliano su La poesia e lo spirito fa un’intelligente distinzione che anche in questo caso ci riporta alla distanza che sussiste tra forma e significato in queste poesie: La nuova raccolta poetica di Nicola Vacca spinge all’angolo la realtà oggettiva e la storia umana. Stringe la vita che stiamo vivendo dentro il cono d’ombra del disincanto più lacerante. La sua poesia spreme all’estremo la nostra attuale condizione. Eppure – malgrado gli espliciti riferimenti e rimandi letterari – il succo che assaporiamo è amaro ma non nichilista. E più avanti: La poesia di Nicola Vacca è uno “squartamento”.
Uno squartamento che, dopo aver letto le parole di Alessandro Carrera e Marco Marangoni, diventa in qualche modo necessario e positivo. Perchè questa luce nera di Vacca altro non è che una preparazione del giorno pur essendone ancora consapevolmente distante. È il momento in cui vedere con chiarezza e onestà ciò che ci circonda, il mondo nella sua tessitura socio-culturale, nei suoi paradossi autolesionistici. Vacca compie questa operazione di spoliazione della narrazione per una consapevolezza comunicativa che in realtà non sta sopra ma dentro, e in quanto tale si allontana da tutto ciò che sta fuori.
Pur essendo una poesia che possiamo riconoscere come civile non ci sono infatti riferimenti cronachistici, elementi quotidiani riconoscibili, ma uno scavo nel pensiero (che in questo caso possiamo definire come quotidiano), un’osservazione del nostro stare nel mondo che inevitabilmente lo mostra più vero e conoscibile pur nel suo paradosso. Ma in fondo a questo serve la luce nera, a evidenziare ciò che se proprio non possiamo appellare come vero dobbiamo almeno ammettere come oggettivo, reale. Come flash che rimane dopo che si è spenta la luce, quando resta la luce nera che rende più nitidi i contorni delle cose in quanto la cornice, il rumore di fondo, non sussiste più. Ricordando però che il giorno inizia a mezzanotte, nel buio dove il buio stesso permette una maggior consapevolezza e in questo può essere (non necessariamente ma auspicabilmente) il seme umano di un giorno che verrà.
Alessandro Canzian
Luce nera
E adesso siamo sotto l’anticielo
la luce nera che sparge la sua cenere.
Il caos vuole il dubbio
ma poi semina disordine
nelle anime violate
dalla colpa, dal torto e dallo sbaglio.
Il crollo è nella mente e nel cuore
e le parole di un’apocalisse quotidiana
schiacciano la carne in un terrore
che matematicamente dirige
le operazioni di demolizione.
Dal profondo del maiale
Sopra e sotto le macerie
nella gabbia della nostra animale essenza
prigionieri di una putrefazione
che scontiamo vivendo.
Eppure ogni cosa è crollata
sotto i nostri occhi
ma volentieri porgiamo le guance
al male che ha costruito il suo impero
nei nostri cuori di maiali.
Macello sublime
Hanno disinnescato gli allarmi
adesso il pericolo non sarà più avvertito
e tutti penseranno di vivere
il paradiso in terra.
Rendersi conto secondo per secondo
delle nascite e delle morti
che avvengono nel mondo
non sarà più una priorità.
Qualcuno molto in alto
ha avuto la brillante idea
di mascherare la carneficina
di nascondere gli stermini
che avvengono in tempo reale
per offrire l’eutanasia di un macello sublime.
La malattia di un bacio
Sotto il cielo che crolla
abbracciamoci senza respiro
contiamo i passi tra le macerie
danzando con la musica del cuore
per alzare le difese
davanti a questo mondo indifendibile.
Dentro la casa della fine
abbiamo forse ancora una possibilità:
l’amore è la malattia di un bacio
che passa di bocca in bocca.
Amori senza domani
Fioriture di desiderio
per cercare una via di scampo
invece nessuno coglie più rose d’amore.
In questa grande abbuffata di male
hanno anche reciso le sue radici
affinché del cuore nulla più cresca
e a tutti sia donata soltanto
la possibilità di crollare
in compagnia di amori senza domani.
Felicità con riserva
Nei fondi del caffè
si scava per vedere se c’è un futuro
oltre la medicina amara
delle parole che sputano sangue.
La grammatica arida delle cose
e la decadenza del cammino
non indicano ancora una via da percorrere.
La strada ci parla
e noi dovremmo ascoltarla.
Questi giorni senza amore
non tollerano nemmeno
una felicità con riserva.
Le cose quotidiane
La vita morde gli anni
e si sta tutti nell’avamposto del mondo
in cerca di una difesa:
l’attacco porta con sé minacce.
La vita non aspetta nessuno
ma scorre e noi corriamo il pericolo
di lasciarla andare.
Allora addentiamo gli attimi
fumiamoci i suoi istanti
non perdiamo nemmeno un secondo
del suo permanere nelle nostre assenze.
Essere immanenti alle cose
e interrogare il silenzio di Dio
senza pretendere alcuna risposta.
Una rosa nel caos
Eppure ci deve essere uno spiraglio
in questa luce nera che illumina il mondo.
Non possiamo credere all’infinito
al vangelo del nulla
e a predicatori di un verbo senza anima.
Anche nel deserto ci vuole coraggio
per coltivare la bellezza di una rosa.
Per ogni petalo che nasce
il caos è soltanto un avversario
da affrontare a viso aperto.
La notte fa freddo
La notte ha il colore del vuoto
manca il soffio di una mano
che conduce il gioco.
È crudele la stazione dell’anima
che non conosce passaggio di treni
disumani gli aeroporti del cuore
dove non atterrano emozioni.
Il nero è il colore del freddo
ma qualcosa di noi resterà
anche se siamo venuti al mondo
per scomparire.