L’ombra lontana d’un luminoso fiore – Bianca Battilocchi

L'ombra lontana d'un luminoso fiore
 
 
 
 
[Intermezzo in terzine]  
Imparare di nuovo a leggere
a percepire
 
I territori al di qua dell’occhio
l’interno l’onirico
il sempre mutevole
 
Lenti curve sovrapposte alla tela
indicano la direzione
del dentro
 
Approdare
nelle scompaginate geografie
di tracce organiche e surreali
 
In dissoluzione e miscela
per infiniti mondi
fatti di danze da navigare
 
Nuovi vocaboli nuove piante
ancora sconosciute
da cui farsi insediare
 
 
 
 
 
 
schiudere
 
penetra in abisso
sprofonda nel sonno vigile
dell’anima mundi
 
e traduci in idioma nuovo
 
 
 
 
 
 
Quarto movimento (sublunare in fiore)
 
le cornici in frantumi
soffiavano e ridevano
sulle radici del grande rizoma
 
rosa croce
croce rosa
 
le tavole si sovrapponevano
in un’arte scompaginata
in una danza schizofrenica
della memoria
 
in grumo
 
un viale stretto e polveroso
costeggiato gravido
giallo e verde
i limoneti fitti e grondanti
d’estate
 
l’approdo
non segnalato
da raggiungere
metteva alla prova
 
ma v’era l’ombra lontana
d’un luminoso fiore
 
(Bianca Battilocchi, Herbarium Magicum, Anterem Edizioni, 2021)
 
 
 
 

Questi versi di Bianca Battilocchi suggeriscono una risemantizzazione della stessa esperienza del linguaggio, e in particolare di quello poetico, come immagine di un nuovo confrontarsi di fronte all’esperienza della percezione del mondo: quello che in apparenza appare come un gioco letterario nasconde l’istanza di ferire un pregiudizio prima di tutto lessicale e linguistico, per carpire un metodo di rideterminazione della realtà da applicare in seconda istanza all’esistere, alle relazioni e all’altro in senso pieno.

Tale invito viene ornato da immagini di una fioritura impreziosita di suggestioni misteriche, che ammiccano alla conoscenza della filosofia esoterica, senza indugiare eccessivamente su tali argomenti (limitandone la presenza a titolo di rinvio amplificativo del senso e di arabesco iconico): in ogni caso ciò che viene restituito alla lettura è una parola poetica densa, che spinge alla riconsiderazione di senso e suono verso una rinnovata nominazione delle cose e del mondo, che riesca a trasmetterne appieno la carica vitale.

“imparare di nuovo a leggere” è il primo invito, che si amplia in un “a percepire”, in necessità di individuazione sensoriale del mondo (“l’interno l’onirico” del mondo del sé, ma anche “il sempre mutevole” che il sé contiene ed avvolge, difficile da cristallizzare se non proprio nella stessa impermanenza di ogni cosa). Non è un naufragio quello che si raffigura, ma una possibilità di approdo “nelle scompaginate geografie / di tracce organiche e surreali”, tra materia corporale e dimensione dell’oltre e del sogno: “in dissoluzione e miscela” (regola prima del divenire costante e del fragile svanire e rinascere di ogni cosa, ma anche solve et coagula, processo alchemico per eccellenza e infine dogma dell’alta magia, richiamato successivamente anche dal rimando ai rosa croce), “per infiniti mondi … nuovi vocaboli nuove piante / ancora sconosciute / da cui farsi insediare”. È dunque un invito a esercitare una volontà forte di percepire in modo nuovo, “altro”, il mondo, e da questa visione rinnovata farsi travolgere, accoglierla per essere da essa trascesi.

Il secondo testo riassume e potenzia il concetto finora espresso, nel suo “schiudere”: dopo essere penetrati “in abisso”, sprofondati “nel sonno vigile” dell’anima del mondo, invasi dunque da una vitale e fino a quel momento sconosciuta esperienza della realtà, è necessario tradurre tale esperire “in idioma nuovo”, riconfigurando l’intero procedimento della nominazione del mondo, adattandolo alla rinascita della propria percezione.

Il testo finale, infine, restituisce la complessità del percorso, ricollocando il viaggio (che è in primo luogo un’iniziazione verso una nuova autoconsapevolezza) in una dimensione naturale, dove gli elementi del mistero “in frantumi /soffiavano e ridevano”, e le “radici” solide, derise, si affiancano a “una danza schizofrenica / della memoria”, quasi invitando a riconsiderare tali elementi – la memoria e le radici – e la loro valenza tradizionale di punti di riferimento solidi ed immutabili: “l’approdo / non segnalato” sembra dunque essere altrove, al di là di una prova impegnativa da superare – anche solo da comprendere in senso pieno, fisico – ma che non appare né terribile né fatale, per “l’ombra lontana / d’un luminoso fiore”, simbolo finale di un terreno sterile e fin troppo battuto cui viene data una possibile occasione di sorprendente e inaspettata fioritura.

 

Mario Famularo