Linea di cattedra – Alice Serrao


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Linea di cattedra, Alice Serrao (Samuele Editore, 2021, collana Scilla, prefazione di Claudio Damiani)

La poesia che si fa vita, carne, speranza e sofferenza, che assorbe le sonorità e i silenzi delle pareti di casa trasformata a mesi alterni in una scuola improvvisata: il respiro dei versi della giovanissima insegnante e poetessa Alice Serrao si tramuta in un vortice di immagini con questa silloge che accende i riflettori sulla pandemia, virulento periodo che ha strozzato l’adolescenziale spinta alla conoscenza. “È nuda la classe” è l’espressione in cui si raggruma il significato della Dad, acronimo di recente creazione seppur ormai introiettato nell’immaginario collettivo, che sfilaccia i comportamenti e le relazioni sino a renderli virtuali, voci fuggite da un dispositivo elettronico verso un altro dispositivo elettronico, metalliche presenze in cui non esiste più lo spazio-tempo eroso dalla Gorgone del Covid-19. Così non resta altro da fare che “riappropriarsi del gesto” fino a che la connessione regge: l’amore, invece, quello regge, resta, si sedimenta pur nella distanza “che brucia sulla pelle”, perché quale altro sentimento poteva contrastare l’inferno se non l’agape dell’insegnante verso i suoi allievi e la materia che li fortifica e li unisce ancora, come sui banchi silenti e vuoti. Uno sprazzo di vita estinto, soffocato davanti ad un monitor in quello che è un “esilio a casa” mentre “la scuola soffre nella parola/politica a vanvera/che non ci guarda preziosi/che non fa abbastanza”. Lo iato, la cesura che staccano il mondo dei governanti da quello degli insegnanti aumentano fino a logorare completamente ogni interazione e ‘trascolora’ l’Italia: “La scuola nella nuova fascia/cambia, trasecola/, mentre l’italietta canta i fiori/ginepraio della riviera”. Eppure tutto questo rende audaci poiché “l’uomo si riconosce solo nel cambiamento” sia pure quello figliato da una metamorfosi forzata, violata dagli eventi, tra mascherine indossate naturaliter e distanziamenti a negare ogni contatto. La solitudine, secondo Leopardi, rappresenta una magnifica lente d’ingrandimento e così appare anche nella composizione di Serrao dove l’essere soli si sostanzia nel sentirsi soli, drammaticamente tali: presenti sì, costantemente, “in ventotto posti dalle nostre postazioni” eppure sideralmente distaccati dal cuore, dalle mani, dagli occhi dei compagni. Se la scuola costituisce una finestra aperta sul mondo, come bene scrive Claudio Damiani nella prefazione, il docente, colui che insegna, istruisce, ammaestra, è l’occhio che vede, che coglie in profondità tumulti e sommovimenti di un’età di cambiamenti, di avvisaglie sulle esistenze di futuri uomini e donne, nel bene e nel male. Dante, Virgilio, Omero, Anna Frank, Sant’Agostino riprendono ad essere l’interrotto fermo immagine tra i banchi. Dopo la tregenda la memoria non si è affievolita (“conosco cosa si vede da tutte le finestre”) e si rafforza quel senso di umanità, quel comune destino che la natura ci ha recato con sé e che ha unito docenti pur diversi per indole ed esperienze (“Toccare nei tuoi fianchi la rabbia che è anche la mia” e ripassare “il lungo debito che ho con questo posto”). L’esperienza temibile del distacco e delle regole obbligate che fanno “gli occhi vuoti ai vetri” si è (forse) definitivamente compiuta: si avanza ma a passi felpati e timorosi, e un’eco lontana ci giunge a ricordarci: “Non abbiate paura”. Solo così, probabilmente, si tornerà a germogliare nel prato verde di una scuola che troveremo cambiata e lei con noi, per una nuova sfida della conoscenza da vivere insieme, nonostante tutto.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Prestare
 
Usa il mio – non si può più dire
il libro alla distanza di un metro
tra le bocche
mettere in mezzo per colmare
la dimenticanza
è sempre bastato almeno per due.
 
occorre riappropriarsi del gesto
imparare a implicarsi nell’altro
senza dare nulla in prestito.
 
 
 
 
 
 
Primo giorno di scuola
 
Il primo giorno ha la gioia
nella bocca riversa dello stomaco
nell’essere chiamato dentro l’accoglienza
da quella frase di Isaia sulla vetrata:
“Tu sei prezioso ai miei occhi”
inizia la prima.
                Invece
la gioia lo sbilancia viene
rimessa tutta sul corridoio e si scaglia
la prima pietra delle procedure
inevitabili, un esilio a casa.
 
La scuola soffre nella parola
politica a vanvera
che non ci guarda preziosi
che non fa abbastanza.
 
 
 
 
 
 
Balconi
 
“Dopo dovremo ricostruire tutto”
la sigaretta nascosta nell’azzardo del balcone,
nell’azzurro affacciato su Legnano;
alcuni non sono più capaci di sporgersi.
“Abbiamo bisogno ciascuno del cuore
di un altro per sentire” – diceva Agostino.
“Prof, è d’accordo?”
“Anna Frank si è giocata la libertà
in uno stanzino “finché puoi
guardare il cielo senza timore – diceva –
potrai ridiventare felice”. Fuma
la prossimità dei sabati perduti.
Sono miei come fioretti dopo la gelata,
titubanti nel cinquanta per cento
del sole in presenza. “Possiamo ancora
diventare grandi a qualcosa?”
“Non abbiate paura”.