Le cose che importano – Fabia Tolomei


Le cose che importano, Fabia Tolomei (Samuele Editore, 2022)

È una sorta di cartografia dei luoghi familiari e degli affetti quella che Fabia Tolomei traccia con il libro Le cose che importano (Samuele Editore, 2022). Il titolo già fornisce un’indicazione di poetica, la scrittura intesa come volontà di preservare e racchiudere nello spazio fisico e simbolico di un libro il nucleo valoriale del proprio stare al mondo, escludendo, sia dal vissuto che dal linguaggio, ciò che è inessenziale, esornativo, innecessario. Le parole nascono dall’osservazione intima e discreta degli ambienti familiari, le case, ora disabitate ora risonanti di voci, sono fitte di indizi e dettagli di storie al crocevia tra passato e presente: “Non vorrei mandare via / i fantasmi da queste stanze / – vorrei solo non facessero più male” (Incroci). L’autrice si sofferma sugli oggetti appartenuti alle figure amate e perdute, tiene a bada il dolore del distacco rievocando i gesti degli assenti, sapendo che neanche il passare del tempo può affievolire i ricordi: “Dopo un anno la stupisce / la memoria delle dita / – l’abitudine è un cassetto / che si chiude inosservato.” (Chi resta). Sin dai primi testi della sezione Neve ritornano alla mente alcune atmosfere di Mario Benedetti: “Penso a come dire questa fragilità che è guardarti, / stare insieme a cose come bottoni o spille, / come le tue dita, i tuoi capelli lunghi marrone. / Ma d’aria siamo quasi, in tutte le stanze / dove ci fermiamo […]” (A D.). Nella poesia di Tolomei la concretezza degli oggetti sembra collidere con il vuoto lasciato da chi è scomparso. Tuttavia, pronunciare l’uno dopo l’altro i nomi degli oggetti, stilare una sorta di inventario affettivo, consente di ricreare la trama di gesti e consuetudini di chi ha vissuto. Ogni cosa è lì a testimoniare il passato, a impedire la dimenticanza: Chi mi ha dato conforto, ieri / è stato il tuo armadio. / Dentro non ci ho trovato / la cravatta rosa / ma tutta la mia vita / – ora so il suo odore / e so che è stata. Non c’è ripiegamento sul dolore in queste pagine, piuttosto la forza del legame e del ricordo è ribadita dall’intensa fisicità delle percezioni, che siano olfattive, tattili o visive.

È una innegabile risorsa quella di far tesoro di ogni esperienza – anche la più disperante, come la perdita delle persone care – e non chiudersi al presente. Nelle poesie della sezione La casa buona si accoglie con gratitudine ogni piccolo evento del quotidiano, ogni gesto di spontanea complicità (“L’immediatezza nel capire / senza sapere di averlo fatto / o il piacere schietto / di ricevere carezze / senza sapere / quale ferita stanno curando”). Se c’è un senso da dare al proprio tempo è quello di essere quanto più possibile consapevoli di sé e del mondo (“Realtà che non cerca altro / o altrove – insomma, vita”), e in sintonia con chi ci sta accanto (“È quando cerco di afferrare / questo stare io e te, soli / e sapere che non lo so dire”). Si conferma in questi testi la misura e la limpidezza dei sentimenti, cui corrisponde il nitore della lingua: essenziali due termini, luce e silenzio, che “insieme tessono un manto / sotto il quale succede la vita” (L’ora nuova).

La terza e ultima sezione dichiara nel titolo la sua prospettiva temporale, Futuro semplice. È il compimento di una parabola affettiva: la presenza di una nuova vita è inevitabilmente una proiezione nel tempo a venire, un mutamento che travolge e meraviglia: “Come ho fatto a farti io / tutto intero, che di queste cose / non so niente – come ho fatto a fare te / solo con un desiderio”. I versi seguono passo dopo passo l’avvento di un figlio: dall’istante in cui è ancora solo un’idea all’annuncio di nascita portato dal glicine, dalle notti trascorse a cullarlo alla futura nostalgia degli anni dell’accudimento. Ecco allora che tornano i due elementi chiave, luce e silenzio: “Mi mancherà quel crescerti / nella luce e nel silenzio / come fosse per sempre” (La prima estate). Anche in questa sezione si trovano versi dedicati alle figure care scomparse, come a riunire in un unico abbraccio chi se ne è andato e chi ha appena iniziato a vivere. Fabia Tolomei raccoglie un lascito, lo affida alle parole della poesia: e ora tocca ricucire tutto / – il passato al presente, dall’inizio. / […] / Poi, sono certa, / sceglieremo la vita.

Daniela Pericone

 
 
 
 
Incroci
 
non vorrei mandare via
i fantasmi da queste stanze
– vorrei solo non facessero più male
i lettini rossi ancora intatti
la crema per le mani della mamma
e la mia voce che anticipa
il ritornello della fiaba.
 
È un dolore che mi incastra
sulla soglia di ogni stanza,
e sa di vita che è stata
in questa casa vuota e piena
mentre mi muovo scoordinata
pensando da che parte
cominciare ad aprirla.
 
 
 
 
 
 
Chi mi ha dato conforto, ieri
è stato il tuo armadio.
Dentro non ci ho trovato
la cravatta rosa
ma tutta la mia vita
– ora so il suo odore
e so che è stata.
 
Adesso mi aspettano
innumerevoli domani
dopo oggi, senza di te
e non ci stanno
in un armadio.
 
Ma come un ritornello infinito
avrò le ore nei luoghi di noi
talmente tante, talmente dentro
da non saperle ricordare
ma saperle e basta.

 
 
 
 
 
 
L’ora nuova
 
La luce quando si attarda
accoglie bene il silenzio.
Insieme tessono un manto
sotto il quale succede la vita
che ha la forma intraducibile
di cinguettii lontani.
 
 
 
 
 
 
Ti sei portato via tutto
dalle radici.
 
Restano rami e foglie
verdi ancora per un po’
e un tronco, appoggiato
tra la terra e il vento.
 
In bilico – senza memoria
di come stare in piedi

 
 
 
 
 
 
Futuro semplice
 
Avremo una casa nuova.
Una casa senza odore
o nascondigli familiari.
 
Una casa di cui scoprire tutto
senza storie, senza storia
– a quella penseremo noi.
 
Porte da chiudere e aprire
come i giorni e gli anni
piante di cui non sappiamo il nome
alberi a cui dare un nome
parole nuove per nominare spazi
e lune che spuntano da chissà dove.
 
La faremo noi
ma sarà dei bambini che verranno.
a chiudere gli occhi si vede bene:
 
un puntino bianco
tra il cielo
e gli ulivi di sempre.